Avviso agli avvoltoi: il trespolo G&G traballa!
Ci sono stati anni in cui il fenomeno è stato meno marcato, ma la via percorsa dallo Stato italiano, fin dalla sua nascita, non si è mai discostata troppo da quella che prevedeva di puntare le sue fiches, le sue risorse più importanti, in maniera territorialmente differenziata. È d’altronde sotto gli occhi di tutti (quelli che vogliono vedere) il divario infrastrutturale di un Nord arricchito (con le risorse di tutti) e di un Sud impoverito (anche con la rapina). Già nel 1900 Francesco Saverio Nitti, in polemica con i governi del suo tempo, faceva notare quanto fosse iniquo il sistema doganale che favoriva le regioni del Nord e condannava il Mezzogiorno ad essere un “feudo politico”. Notava, l’economista lucano, che per ogni 100 lire di tasse riscosse da ogni cittadino italiano se ne restituivano sotto forma di investimenti 120 alla Liguria, 74 al Piemonte, 60 alla Calabria e addirittura solo 47 alla Basilicata e che le risicate assegnazioni per le regioni meridionali erano in buona parte commesse a ditte settentrionali “giacché, come si sosteneva ufficialmente, non sarebbe stato prudente approvvigionarsi da ditte del Sud inquinate di borbonismo”.
Le denunce del Nitti di allora, fanno il paio con i dati che vengono pubblicati in questi ultimi tempi da autorevolissimi Istituti come Svimez e Eurispes (ma non solo) che analizzando i dati dei Conti Pubblici Territoriali (CTP) arrivano a quantificare il peso che ha assunto negli ultimi anni il disimpegno dello Stato nei confronti della sua “provincia subordinata” (Luigi De Rosa). La cifra sottratta al Sud che ne esce è enorme poiché si tratta, facendo conto pari per difetto, di 60 miliardi di euro l’anno che, per dare un’idea, sono l’equivalente di 2.000 chilometri di Alta Velocita (seppur agli esorbitanti costi padani), oppure a 15 ponti sullo stretto di Messina. In un solo anno.
Con le informazioni che oggi non sono più nella sola disponibilità di piccole élites, di fronte a questi studi così discordi con la narrazione prevalente di un Sud ladrone e straccione, ci si aspetterebbe un lungo, profondo, documentato e vasto approfondimento da parte di giornali e tv, per amor di chiarezza, saperne è essenziale. E invece niente di tutto questo, ha prevalso la tecnica dell’avvoltoio. Tentando di metterci la sordina, all’argomento è stato dapprima attribuito dai media uno spazio equivalente a quello strettamente dovuto per galateo istituzionale; poi si sono cominciati a leggere interventi che ammettendo la necessità di maggiore equità per il Mezzogiorno, eccepivano in qualcosa del metodo o nel merito per ridimensionare la cifra monstre di 60 miliardi; qualche giorno fa su Repubblica, infine (ma non è affatto finita), l’attacco: “Il falso mito dello “scippo” di risorse del Nord a danno del Sud” firmato da Giampaolo Galli e Giulio Gottardo.
Un articolo destinato ad essere un trespolo per avvoltoi in quanto in molti troveranno comodo appollaiarvisi, nonostante rappresenti uno spudorato condensato di capziose eccezioni escogitate ad arte contro il Sud per smentire lo scippo.
La sostanza è comunque sintetizzabile in tre punti, il primo dei quali è relativo alla cosiddetta P.A. allargata, ovvero l’insieme di società partecipate la cui spesa, a detta degli autori, non deve essere considerata poiché operano in base a logiche di mercato e non di servizio pubblico. Una tesi singolare poiché è sì vero che le partecipate operano sempre più secondo logiche di mercato, ma restano sostanzialmente delle imprese pubbliche (talvolta poltronifici) per l’erogazione di servizi. Funzionano grazie a capitali prevalentemente pubblici, e pubbliche diventano perdite e debiti che ad oggi ammontano a 104,41 miliardi per il 74% contratti dalle partecipate del Nord (relazione Corte dei Conti). Il gruppo Ferrovie dello Stato, ad esempio, è un gruppo partecipato al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e tutti i cittadini, di tutte le regioni, sono da sempre chiamati a ripianare con le tasse le ingenti perdite …come si fa a non metterle nel conto? Come si fa a sorvolare sul fatto che prende i soldi da tutti e poi li investe solo per alcuni?
Un secondo punto riguarda la previdenza, si sostiene che dev’essere totalmente esclusa dalla spesa pubblica da prendere in considerazione, quella erogata per le pensioni poiché lo Stato non può decidere a chi pagarle indipendentemente dai contributi versati. Anche questo punto è molto discutibile in quanto anche se le pensioni nell’immaginario comune paiono un “salvadanaio” riempito nel tempo dal contribuente, è da tenere in conto che tra pagamenti e incassi contributivi c’è un deficit ponderoso pari a 68 miliardi da considerare, a pieno titolo, spesa pubblica in quanto a carico della fiscalità generale. Da notare che la quasi totalità di questo deficit è dovuto alle pensioni di anzianità, sono il “tesoretto dei lavoratori maschi del Nord” (Giuliano Cazzola), corrisposte a una platea più giovane che potrà così godere più a lungo dell’extra contributivo. In aggiunta è da tenere conto che la spesa pensionistica italiana si inscrive in un contesto dove il numero e la qualità delle opportunità lavorative (e di conseguenza pensionistiche) sono profondamente diverse. La mancata rimozione di tali disuguaglianze, magari con l’infrastrutturazione del Mezzogiorno, contribuisce decisivamente alle differenze previdenziali, trattasi quindi di una sottrazione di risorse a discapito del Sud che non possono essere ignorate.
L’ultimo argomento messo in campo è un vecchio pallino della Lega Nord e dei suoi numerosi collaborazionisti, si tratta del costo della vita che, dicono, al Sud sia più basso e bisogna tenerne conto. A dargli manforte è l’ISTAT che però per calcolare il costo della vita nelle varie zone d’Italia utilizza un metodo inaccettabile e scorretto. Il procedimento utilizzato dall’Istituto prevede infatti di non comparare i prezzi di prodotti tra loro identici, ma raffrontare i prodotti che territorialmente sono più acquistati. Se ad esempio a Ferrara il frigorifero più acquistato è uno di quelli più costosi, questo sarà raffrontato a quello più acquistato a Caserta che, per via di una minore prosperità del territorio sarà più facilmente uno di quelli più a buon mercato. Serve a dire che a Ferrara la vita è più cara che a Caserta, anche se non è vero.
E sono pretestuose, strumentali e risibili anche le argomentazioni di Galli e Gottardo (suona come un duo del cabaret) che a sprezzo del ridicolo concludono che non c’è discriminazione e che se la qualità dei servizi al Sud è peggiore questo non dipende dall’ammontare delle risorse disponibili.
Una domanda sorge spontanea, da cosa dipende allora? Forse G&G vogliono dire che a Sud sono tutti truffatori? Tutti briganti? Tutti incapaci?
Avviso agli avvoltoi: il trespolo G&G traballa!!!