La Madonna della Seggiola
La Sala di Saturno della Galleria Palatina di Firenze ospita molte delle opere del celeberrimo pittore urbinate Raffaello Sanzio, rinomato artista rinascimentale e universalmente riconosciuto quale Maestro d’Arte senza tempo. Tra di esse “La Madonna della Seggiola”, realizzata nella prima decade del ‘500, un olio su tavola orbicolare dalla quale si enucleano delicate atmosfere e sensazioni intense. L’accorgimento della forma circolare della tavola è atipico per la storia dell’arte del XVI secolo, ma l’escamotage è stato utilizzato con l’intenzione di trarre a sé in misura maggiore la concentrazione dell’osservatore. È verosimile che l’opera sia stata dipinta dopo la realizzazione della cosiddetta “Stanza di Eliodoro”, una delle quattro sale affrescate da Raffaello nel polo museale dello Stato di Città del Vaticano. La Vergine Maria è seduta su una scranna, una “sedia camerale”, il seggio dei maggiorenti e degli ottimati della Corte pontificia e, con tenera espressione, guarda il visitatore comunicandogli dolcezza trascendente e le fragilità della condizione umana: la sua icona non è rigida e solenne, non presenta trasfigurazioni empiree, ma evidenzia la natura umana dell’essere e della maternità. Tra le sue amorevoli braccia il Bambin Gesù con una veste ocra, in florida salute e attento nel piglio. A destra del dipinto un altro fanciullo, San Giovannino, in atteggiamento orante con lo sguardo rivolto alla Corredentrice: l’immagine del Battista nell’età della giovinezza era la rappresentazione figurata della sua riunificazione con la Famiglia di Nazareth dopo la fuga da Betlemme in Egitto per sfuggire al terribile disegno di Erode Ascalonita di Giudea, e trova la sua genesi nelle fonti ascetiche della bassa “età di mezzo”. Le teste di Maria Immacolata e del Messia si toccano, e l’abbraccio e la posizione della gamba sinistra della Madonna creano simmetrie euritmiche e profili armonici. Il dipinto presenta un assetto esemplare di misure e proporzioni, un senso organico e soluzioni convenzionali: l’articolazione del gomito del Bambinello sembra essere il punto di partenza di un’immaginaria curva spiroide che avvolge i tre protagonisti del dipinto. Preziose le rifiniture dello stallo ligneo, pregevoli i particolari delle ricamature delle vesti di Maria Nostra Signora, raffinato l’abbinamento di nuance e policromie fredde con tonalità di colori caldi. Gli esegeti ipotizzano che il committente del capolavoro raffaellita fu il successore di Sua Santità Giulio II, il fiorentino Giovanni di Lorenzo de’ Medici, eletto Pontefice della Chiesa cattolica il 9 marzo 1513 con il nome di Leone X. In diversi repertori del XVIII secolo, l’opera risulta essere di proprietà della Casata fiorentina dei Medici: sottratta all’Italia durante le tristi “spoliazioni napoleoniche” da parte dell’Esercito d’Oltralpe, fece ritorno nella Città del Giglio nel 1882.