Il Coronavirus ai tempi di Tucidide
“Ma di tutto il male la cosa più terrificante era la demoralizzazione da cui venivano presi quando di accorgevano di essere stati contagiati dal morbo …si tentava di curarsi l’un con l’altro, si moriva di contagio, come le pecore. Ciò provocò la più vasta mortalità”
Queste le parole di Tucidide, facoltoso possessore di miniere, eletto nel collegio degli strateghi nel 424 a. C. e inviato a difendere l’Egeo settentrionale. Non riuscendo a salvare Anfipoli, dall’attacco dello spartano Brasida, per un periodo conobbe anche l’esilio. Le sue parole echeggiano nelle nostre menti come litanie nel coro di una cattedrale. Siamo ai tempi del Coronavirus eppure Tucidide, storico di uno dei conflitti più cruenti della storia greca, la Guerra del Peloponneso, descrive l’arrivo della peste ad Atene con un’immediatezza tale che sembra quasi calata nel nostro presente e nel difficile momento che stiamo vivendo.
Autore delle Storie (Ίστορίαι), egli mostra una concezione storiografica moderna, lontana da quella dei suoi predecessori quali Erodoto, dipendente ancora dal mito e dalla volontà divina. Il metodo tucidideo fonde in maniera innovativa gli elementi storico e politico, con un’attenzione non più posta sull’etnografia dei popoli, ma sulle loro competenze economico-militari.
L’analisi dei fatti avviene, nello studioso ateniese, secondo uno schema causa-effetto, volto a sottolineare l’oggettività con la quale descrive gli eventi.
Tucidide dunque vuole raggiungere la verità (ἀλήθεια) senza aggiunte, orpelli o divinizzazioni e in ciò riesce mediante i discorsi, (οἱ λόγοι), che rappresentano la testimonianza attraverso la quale analizza psicologicamente le azioni e i motivi della physis, ossia della natura umana e le leggi che regolano il comportamento degli uomini, prendendo spunto dalla concezione ippocratica della medicina.