Il calcio del Vate
D’Annunzio ricordato come grande letterato era anche un grande atleta, ottimo sportivo, ma un pessimo calciatore. Il football non era per lui, almeno quello giocato. La lettera a Barbarella Leoni racconta la sua disavventura sulla spiaggia di Francavilla. È l’estate del 1887 quando all’età di soli 24 anni è vittima di un “incidente infido”. Lui e i sodali del Cenacolo si cimentano in riva al mare con questo oggetto mai visto, comprato a Londra dal musicista Francesco Paolo Tosti. La sfera di cuoio pesa quasi un chilo, circonferenza 70 centimetri ed una camera d’aria all’interno. L’oggetto ha le proprie origini in Birmingham, è cucito a mano con stringhe esterne e soprattutto costa molto, circa un quarto del salario mensile medio di un operaio. Dopo circa 33 anni, D’Annunzio si trova fra le mani un altro pallone, non è più lungo le coste abruzzesi ma a Fiume. In quei tempi spicca un articolo: “Ai cittadini di ambo i sessi va garantita l’educazione corporea in palestre aperte e fornite”. Lo sport come elemento chiave della società. Del resto, chi più di D’Annunzio? “Non sono un intellettuale in pantofole, i muscoli del mio braccio sono induriti dalla sbarra fissa e dalle parallele”, scriveva di sé. Cavallerizzo e nuotatore, si allenava ogni giorno con torsioni, piegamenti e punching ball. E nella pagella del Collegio Cicognini a Prato si riporta che “l’alunno è degno di lode nella scuola di scherma e in ginnastica”. Non solo, a fine 1921 il Vate fu eletto sportivo dell’anno dalla Gazzetta, a tal punto da organizzare una partita di calcio, la sfida si svolse al campo sportivo di Cantrida, 7 febbraio 1920. Da una parte la squadra locale di civili semiprofessionisti e dilettanti con una maglia verde con stella nera e dall’altra una compagine di arditi, fanti, bersaglieri, aviatori e marinai, completata da futuristi e avventurieri con maglia azzurra, come quella della Nazionale ufficiale. I giornali rilanciarono la foto della formazione priva dello scudocrociato bianco e rosso dei Savoia sulla divisa e la novità si diffuse ed ebbe successo. Lo scudetto venne adottato dalla Federcalcio nel ‘24 e attribuito alla squadra campione d’Italia: il Genoa per primo, poi il Bologna nel ‘25 e la Juventus nel ’26, con l’inserimento però di stemma sabaudo e fascio littorio. Per la Nazionale, Mussolini disse no al distintivo tricolore ed ai Mondiali di Francia nel ‘38 ripudiò l’azzurro per una maglia nera con il fascio dorato. Finita la guerra, il calcio si fece strada fra le macerie e la Nazionale giocò la prima partita post-bellica. Ed ecco riemergere dal passato quello “scudetto di foggia sannitica” creato da D’Annunzio a Fiume. Cucito sulla divisa dei giocatori, accompagnò il 5-2 dell’Italia sulla Svizzera a Firenze il 27 ottobre 1947. “Per me la maglia azzurra con il tricolore sul petto è la più bella del mondo. Era così da bambino e sempre così sarà”, ha spiegato alle celebrazioni pescaresi il Commissario Tecnico Roberto Mancini.