Intervista a Monica Moschioni

Conciliazione necessaria tra sicurezza individuale e collettiva, costruzione concreta dello Stato di Diritto, contro ogni discriminazione aprioristica tra detenuti e detenuti, l’emergere di stati più elevati di coscienza, per sensibilizzare verso diritti umani universali: sono questi ed altri i temi di questo dialogo con Monica Moschioni. Avvocata di Parma, è particolarmente ispirata, grazie alla sua limpida logica, espressa con dolce veemenza, nel rendere l’esecuzione penale conforme ai principi di umanità della Costituzione. Tra i molti casi dei quali la dottoressa Moschioni si è occupata ricordiamo, tra l’altro, quello di Michele Pepe, deceduto purtroppo ancora giovane, in circostanze da chiarire. Si rimarca anche quanto numerosi siano anche i casi di detenuti “parcheggiati”, anche stabilmente, in un centro clinico dipendente dal carcere, oltre che in qualche centro di cura esterno: come differimenti non ufficiali; si tratta forse di una via “intermedia”, tra timori sulla sicurezza collettiva di diversi magistrati, e subentrare del dovere di cura dei medici. Viene esaminato soprattutto il caso di Parma, ma diversi sono i casi di persone, alle quali, in alcuni casi, non è stato tolto il 41 bis, non è stato dato differimento ufficiale della pena, ma sono in strutture diverse dal carcere, per seri problemi di salute: un caso emblematico tra i vari (pur non compreso tra quelli seguito dalla Moschioni), è quello di Vincenzo Stranieri, ex boss della Sacra Corona Unita, da anni una “casa di lavoro”: una fattoria in cui è confinato; Stranieri ha perso la libertà dal 1984, nonostante non abbia ergastoli e non abbia commesso omicidi. Tornando all’approfondimento con l’avvocatessa Moschioni, è importante ricordare che ha collaborato con il collega Gaetano Aufiero, sostituendolo temporaneamente per una udienza su eventuale differimento della pena, riguardo il caso di Raffaele Cutolo. la vicenda rimane noto, sia per il passato famoso, che per alcuni sviluppi più recenti: qualche anno fa, una petizione di 100.000 persone aveva chiesto gli arresti domiciliari per Raffaele Cutolo, in una villetta al Nord: persone che non sono certo parte della Nuova Camorra Organizzata, ormai non più attiva, e che aveva contato al massimo 7000 effettivi; si tratta piuttosto di una fetta della società civile che chiedeva una attenuazione dell’intensità della pena, in un caso che era risultato estremo per durata della detenzione: un tentativo di non aggiungere male al male. Del resto, è possibile spesso avvicinare alle istituzioni con lo Stato di diritto, e non con la pura repressione, che può invece, spesso, generare proprio disprezzo per autorità non sempre rispettose della legalità stessa e dei principi costituzionali. Tornando a sviluppi ancora più recenti, l’avvocato Gaetano Aufiero è sempre, naturalmente, attuale difensore di Raffaele Cutolo: ha promosso ricorso in Cassazione contro un no alla revoca del 41 bis, in ottobre, oltre a portare avanti un ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, al fine di far sì che l’Italia riconosca benefici anche senza collaborazione con la giustizia. Più volte, la Corte di Strasburgo aveva dato ragione a singoli detenuti contro la negazione automatica dei benefici; inoltre, in Italia, la sentenza numero 259 della Corte Costituzionale (Consulta), del 2019, aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 4 bis, che vietava benefici, quindi attenuazioni del grado di attuazione della pena, senza collaborazione; il criterio fondamentale doveva essere semplicemente l’interruzione dei contatti con la criminalità: in quei casi, anche in caso di ergastolo dovrà essere possibile un parziale ritorno alla libertà, dopo 26 anni di carcere espiati. Il dialogo con Monica Moschioni è utile, comunque, anche per capire meglio alcuni aspetti attuali della situazione dell’ex boss della Nuova Camorra Organizzata, che in carcere era molto deperito, fino ad un tracollo nel 2020: Raffaele Cutolo era detenuto dal 1963, con pochi periodi di libertà, ed ininterrottamente dal 1979. Nel momento in cui era stato visitato in clinica, Raffaele Cutolo era in stato soporoso: un’alterazione dello stato di coscienza e dei meccanismi di sonno e veglia; le cause di ciò non sono sempre certe, ma a volte si registrano in casi di interazioni non sempre positive con psicofarmaci e in situazioni di deprivazione sensoriale; nei fatti, la presenza di vetro divisorio per i detenuti al 41 bis, a volte per decenni, con coloro che li visitino (tranne che i propri avvocati) e per minori di 12 anni), porta spesso i prigionieri a problemi legati a tale alienante deprivazione, dato il quasi totale annientamento della possibilità di contatto fisico con gli altri. Successivamente vi sono stati alcuni miglioramenti, solo grazie alle cure esterne, ma l’incompatibilità con il carcere emerge dai fatti e permane. La domanda di differimento della pena, nel settembre 2020, era orientata affinchè tale pena potesse essere scontata in luogo diverso dal carcere: ad esempio, in una casa, o casa di riposo, o centro di cura; tale domanda non è stata ufficialmente accolta dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna (presidente Antonietta Fiorillo, a latere Marta Vassallo, coadiuvate da degli esperti), territorialmente competente nonostante le condizioni di evidente bisogno di cure, e la motivazione consisteva nella considerazione che la situazione non sarebbe cambiata rispetto ad un primo ricovero ospedaliero, di febbraio-marzo 2020, e che lo stesso Raffaele Cutolo fosse ben curato anche attualmente, proprio in un centro esterno alla prigione. Eppure, proprio la considerazione che le cure fossero necessarie, può confermare le posizioni portate avanti dalla dottoressa Moschioni, poichè solo un centro esterno al carcere può garantire cure ed assistenza più specialistiche. Nei fatti, Raffaele Cutolo, considerato non dimissibile, rimane in un centro sanitario di cura, esterno al carcere: una situazione che si sta stabilizzando; proprio le valide cure nel centro sanitario esterno rendono evidente che una sistemazione adeguata debba essere definitivamente esterna alle più limitate possibilità di assistenza di una prigione… Cure talmente primarie, che hanno evitato un precipitare della situazione, per cui neanche la difesa si oppone attualmente alla permanenza in tale struttura; peraltro, l’accoglimento in un centro del genere era stato proprio richiesto meritoriamente ed ottenuto, a suo tempo, anche dall’avvocato Gaetano Aufiero; diversa la valutazione sul 41 bis, mantenuto (per disposizione del Tribunale di Sorveglianza di Roma, con competenza accentrata) perfino all’esterno del carcere, e ritenuto dalla difesa del tutto ingiustificabile, dato il non rispetto dei fatti, in merito all’impossibilità di contatto con una organizzazione deviante che non esiste più, alla dichiarata chiusura con la camorra già da decenni, ed all’avere ignorato nei fatti la sentenza della Corte Costituzionale.

Ricciardi: “Si è occupata di numerosi casi relativi alla tutela della salute dei detenuti, per il rispetto del diritto e dei diritti. Sicurezza collettiva ed individuale non devono essere in contrasto, sul piano dei principi, ma in che percentuale pensa vi sia realmente tale conciliazione di esigenze, per le sue esperienza personale, e forse in generale?”
Moschioni: “Allora, per la mia esperienza, è molto relativo, per la tipologia del detenuto, e per i luoghi: come molti altri detenuti, esercito non solo a Parma, in diverse ragioni. Il carcere di Parma, poi, ospita una tipologia di detenuti un po’ particolare: nel senso che abbiamo detenuti di alta sorveglianza, classificato con S1, S3, e poi la tipologia del 41 bis. Rispetto a loro, abbiamo anche quelli nel Sai, il vecchio centro clinico: è per detenuti con patologia, vi vengono mandati detenuti da tante carceri italiane…se parliamo di detenuti con una caratura criminale elevata, considerati dalla Direzione Nazionale Antimafia di un certo tipo, che per tali informative rappresentano un rischio per la sicurezza, e con una percentuale di “scorrimento” chiaramente è molto più bassa. Poi ci sono detenuti del sistema di media sicurezza, quindi del circuito per reati comuni, quindi per non per reati associativi, o reati collegati; per reati associativi, quindi, l’incidenza è molto maggiore. Il carcere di Parma è un ambiente particolare, però, devo dire. La mia esperienza non è stata particolarmente felice; l’avere individuato per questo carcere anche un centro clinico, anche per le cure per detenuti, soprattutto nella diagnosi iniziale, con condizioni croniche, sia per detenuti EIV [elevato indice di vigilanza, N.d.R.], che comuni, che del 41 bis, si presuppone che debbano essere strutture in grado di fornire tutta la gamma di terapie: anche intensive, anche di lunga durata. Oggi stesso (vorrei fare un esempio senza dilungarmi), ero in Tribunale di sorveglianza, per la discussione di alcuni fascicoli relativi a miei assistiti: alcuni sono di media sicurezza, quindi per reati contro il patrimonio: parlo di furti, furti aggravati, e rapine, e reati invece di associazione, in esecuzione pena, per il 4 bis.”
Ricciardi: “Questi ultimi, diciamo, contro la sicurezza dello Stato..”
Moschioni : “Ad alta sicurezza. Ecco, in questo caso la valutazione da parte del carcere è molto differente: per detenuti che espiano questi reati, hanno molta più attenzione alla sicurezza che a quella che dovrebbe essere la tutela della salute: contrariamente a quello che sarebbe il disposto normativo del nostro ordinamento penitenziario, che prevede una tutela del diritto alla salute indipendente dal tipo di reato che si sta espiando, che deve essere indipendente, in teoria, dal fatto che si sia dissociati da un certo tipo di reato.”
Ricciardi: “Il diritto alla salute deve essere inalienabile…”
Moschioni: “In effetti, il diritto alla salute è riconosciuto costituzionalmente, per tutti i cittadini, indipendentemente se sia cittadini che stanno espiando una pena, quindi le esigenze di sicurezze non dovrebbero collidere, ecco, con la cura.”
Ricciardi: “Credo poi che misure di sicurezza ci possano, ci debbano essere anche nel centro clinico, per conciliare le esigenze”.
Moschioni: “Il centro clinico, per come è stato previsto dall’amministrazione penitenziario, dovrebbe essere una sorta di contenitore autosufficiente, cioè dovrebbe essere in grado di ospitare i detenuti che hanno necessità di una diagnosi, e fornire le cure, per poi trasferirli, eventualmente, in centri specializzati, in reparti ospedalieri, che non sono compresi nelle amministrazioni penitenziarie, o in detenzione domiciliare. Quando sono nel centro clinico, chiaramente, sono rispettate tutte queste esigenze di sicurezza. Il centro clinico nei fatti è un’ala del carcere, con tutte le misure di sicurezza: la polizia presidenziale, le sbarre… Gli stessi detenuti, nell’ambito del centro clinico, dovrebbero godere semplicemente di una presenza costante del servizio infermieristico e del servizio medico. L’unica differenza, rispetto ad una detenzione ordinaria, è che non c’è la visita a richiesta, ma dovrebbe esserci un presidio medico, un presidio infermieristico, costante: h 24, quindi è per persone non autosufficienti, detenuti in carrozzina, o che hanno delle tetraplegie, e così via, perchè ospitiamo appunto una sezione di minorati fisici, con situazioni croniche, per cui necessitano costantemente di un’assistenza. Si tratta di assistenza di vari tipi, anche dalla pulizia della cella, alla doccia, alla propria igiene personale… Il punto è che poi ci si scontra con le carenze organiche, e con le esigenze del personale. Finchè i detenuti rimangono in un carcere come quello di Parma, la sicurezza è la maggiore esigenza tutelata; detto questo, riescono però ad avere delle cure specialistiche. Faccio un esempio: la fisioterapia, che dovrebbe essere una delle motivazioni per le quali vengono portati a Parma, può essere richiesta, ma noi non abbiamo un fisioterapista fisso, che sia in grado di dare un’assistenza quotidiana ad un detenuto con una certa patologia neurologica, che dovrebbe avere una medicazione quotidiana, per mantenere un minimo di autonomia. L’indicazione della concreta amministrazione penitenziaria è un po’ diversa dalle prescrizioni generali, teoriche… Questa è una questione anche di capacità economica: di fondi che vengono stanziati, questo è il problema”.
Ricciardi: “Certo, suppongo comunque che essere curati in questo centro clinico sia meglio che essere curati nell’infermeria del carcere: che sia un passo ulteriore…”
“Il centro clinico, quantomeno, garantisce quantomeno la presenza di infermieri e medici in modo continuativo, h 24, per cui l’eventuale emergenza potrebbe essere risolta con maggiore rapidità: non significa, però, che tutto possa essere risolto all’interno del carcere. Per questo motivo, molti detenuti devono fare riferimento alla struttura ospedaliera più vicina: parlo di un ospedale civile, che principalmente è il punto di riferimento dei detenuti, oltre al centro clinico…perchè ha una sezione, un reparto detentivo, e quindi degli ambienti ospedalieri controllati, che sono garantiti all’interno della struttura ospedaliera pubblica, nei quali possono appunto ottenere le cure dai sanitari stessi. Sono quindi equivalenti a celle, in regime di sicurezza, ma hanno le stesse caratteristiche fisiche delle stanze ospedaliere, però sono isolate dal resto della struttura ospedaliera, senza contatto col resto, ma possono essere raggiunte agevolmente da medici, infermieri, Oss, che fanno servizio per quell’area…; però la differenza è l’intervento più rapido del medico, che potrà poi smistare il detenuto bisognoso di cure più urgenti, per una diversa terapia, per una cura farmacologica, o fare una visita per una eventuale problematica nuova, o rimodulare una terapia… Del resto, purtroppo il carcere di Parma è diventato purtroppo una sorta di “cronicario: lo dico con un termine un po’ crudo”…
Ricciardi: “Può darsi che a volte, invece di dare un differimento ufficiale, molti vengano “parcheggiati” in qualche centro, dipendente dal carcere, e non solo?”
Moschioni. “Vengono parcheggiati lì, in queste circostanze. Ci sono comunque caratteristiche differenti tra la situazione a Parma e, ad esempio, il carcere di Milano Opera, che credo possa approfittare di una ricettività di di strutture ospedaliere esterne lombarde maggiore, perchè Milano per fortuna ne ha molte, più specializzate e molto migliori, maggiori. Il carcere di Parma ha queste caratteristiche un po’ di “stagnazione” , con il centro clinico, dove si rimane, con assegnazione di un posto letto, per un lungo periodo. Per sua natura, invece, quando è stato studiato questo reparto, centro clinico, avrebbe dovuto prevedere una turnazione, cioè si tratterebbe di una diagnosi, di una individuazione di una terapia, di un apprestamento di cure specialistiche, e poi un rientro nella sezione ordinaria. Questo dovrebbe essere l’iter: è come andare in pronto soccorso, è come se si andasse parcheggiati in pronto soccorso per un lungo periodo; uno ci dovrebbe andare semplicemente per avere un intervento urgente. In questo momento, il problema parmense è avere un numero di persone che non si spostano da questa struttura, per cui evidentemente c’è un difetto… La sua natura doveva essere quella, doveva essere una nuova sezione detentiva, nella quale si andava a trascorre la propria detenzione, e non necessariamente porta ad un miglioramento della condizione clinica, perchè, se si rimane in quel contesto, semplicemente si ha un monitoraggio un po’ più frequente. Per un detenuto al centro clinico, magari, la visita è quotidiana… E se ci sono delle emergenze, viene segnalato all’igiene pubblica ed alla salute pubblica, alla sanità pubblica, per andare, ad esempio, a fare un accertamento strumentale maggiore. Il problema è che abbiamo delle liste d’attesa, proprio perchè è diventato un modello di cronicario, con una lista di attesa molto lunga, con posti limitati. L’ultima lista di attesa, del nostro garante locale, portava una lista di attesa di 150 detenute, cioè persone venute da altre strutture penitenziarie, che dovrebbero essere collocate fisicamente nella struttura al centro clinico, ma poichè i posti sono esauriti, sono attualmente nella sezione ordinaria, e accedono semplicemente alle visite mediche, all’interno del centro clinico. Non è la stessa cosa: è una situazione in cui occorre sempre chiamare il medico, per potere avere l’intervento; chiamare da una sezione all’altra significa aprire i cancelli, avere un agente che intervenga, che si accorga dell’urgenza, che effettui la chiamata; quindi, faccio un esempio: un cardiopatico, se dovesse avere un evento urgente, nel cuore della notte, se collocato in un’area ospedaliera, potrebbe avere un intervento immediato, in pochi minuti. Se fosse invece collocato in una sezione detentiva ordinaria, invece che al centro clinico, potrebbe invece attendere per 20 minuti, prima avere un intervento.”
Ricciardi: “Bisognerebbe prevenire, sapendolo”
Moschioni: “Infatti; potrebbero essere anche i tempi che fanno la differenza tra un intervento tardivo e non. Facciamo invece l’esempio di una persona, ridotta in carrozzina, per effetto di una patologia degenerativa neurologica: a quel punto, in caso di necessità di intervento, la differenza non è così eclatante, perchè potrebbe esserci una sensazione di dolore, che si protrae per giorni, ma l’intervento tardivo non va ad incidere sulla possibilità di decesso. Questo è il problema”.
Ricciardi: “Può darsi, a suo avviso, che questa tendenza a parcheggiare in centro clinico sia frutto di una tendenza alla remora nel dare differimento, chissà? Forse remore per motivi di sicurezza, forse un po’ troppo in primo piano.”
Moschioni: “C’è stato questo tipo di involuzione. I magistrati, sulla sicurezza, sono stati più orientati a mantenere la prigionizzazione, a mantenere i detenuti, soprattutto di certi regimi, e quindi con una certa pericolosità sociale, all’interno del carcere: quindi sì, può essere”.
Ricciardi: “Però la legalità è anche garantire la salute, il carcere non deve diventare luogo, in qualche modo, di illegalità, e la sicurezza deve essere sicurezza di tutti…”
Moschioni: “In realtà la Corte di Cassazione è intervenuta più volte nell’annullare con rinvio le ordinanze di magistrati di sorveglianza, ed anche di magistrati di Bologna, stabilendo che il rispetto del diritto alla salute passi non solo attraverso la totale incompatibilità con la detenzione, ma anche nell’ipotesi in cui non siano state apprestate tutte le cure, di cui il malato avrebbe avuto bisogno, o alle quali avrebbe potuto accedere, se si fosse trovato in una situazione non detentiva. Non necessariamente devono essere disposte misure alternative al carcere, quindi misure extramurarie. Un’altra possibilità è la permanenza in strutture ospedaliere, insomma, centri sanitari, perchè non necessariamente si arriva alla detenzione domiciliare, a casa propria. Su ciò c’è una grande ambiguità, soprattutto in termini di comunicazione pubblica”.
Ricciardi:”Si può disporre misura alternativa anche in una casa di cura: qualcosa di intermedio: non piena libertà, ma qualcosa di più morbido rispetto al carcere.”
Moschioni: “Infatti: detenzione domiciliare non vuol dire solo andare a casa propria. A volte, la propria abitazione potrebbe non essere la soluzione corretta, per condizioni di salute gravi. Ci può essere una struttura ospedaliera, a volte anche una struttura privata, una struttura convenzionata, accreditata, che fornisca la possibilità di ricevere quelle cure che purtroppo, in carcere, non sono possibili. A volte l’equivoco con la comunicazione è anche questo: credo che il grosso equivoco che c’è stato, soprattutto nel periodo, diciamo, “Covid”, il periodo dell’emergenza sanitaria, che poi ha determinato, secondo me, delle storture, con dei decreti, per cui sono intervenuti con dei correttivi, a mio parere inidonei a fronteggiare la situazione. L’impressione è che i detenuti venissero ammessi alla libertà, come se venissero beneficiati di un regalo, e che fossero liberi di scorrazzare…”
Ricciardi: “C’è stata quindi una comunicazione errata”
Moschioni: “Esatto. In realtà, non era questo”.
Ricciardi: “Una comunicazione con delle carenze, con delle omissioni”
Moschioni: “In realtà, le richieste non erano queste, ma neanche i provvedimenti che sono stati emessi, perchè nei provvedimenti che ho potuto visionare io (ma probabilmente nella totalità dei provvedimenti) , emessi dal magistratura di sorveglianza, dagli uffici di sorveglianza, in via provvisoria, o in via definitiva, dei Tribunali di sorveglianza territoriali, collegiali, erano dei provvedimenti che, spesso e volentieri, stabilivano dei collocamenti in strutture ospedaliere, o che stabilivano dei collocamenti a casa, per l’accesso continuativo alle cure per le strutture ospedaliere, quindi non era libertà dall’esecuzione della pena: ci sono delle prescrizioni, delle indicazioni specifiche, la possibilità di muoversi sul territorio, in alcuni casi solo con l’accesso a cure ospedaliere, quando il carcere non sia in grado di fornire.”
Ricciardi: “Certo, è chiarissimo, ma già prima dell’emergenza Covid c’erano dei problemi, e c’era stato, tra quelli da lei trattati, il caso tragico di una persona, non ammessa, forse nei tempi giusti alle cure: Michele Pepe: detenuto per camorra, passato dal regime del 41 bis ad uno meno estremo, sebbene, comunque, di alta sicurezza. Michele Pepe è purtroppo deceduto a soli 48 anni, nel 2018. Data la concomitanza quasi completa tra decisione di nuova incarcerazione ed infarto, si è fatto abbastanza per chiarire se si sia trattato di una tragica fatalità o forse c’erano elementi emersi per continuare le cure nel centro specializzato?”
Moschioni: “Quella con Michele Pepe, per quanto mi riguarda, è stata purtroppo un’esperienza negativa: nel senso che Michele Pepe ha avuto un iter piuttosto, diciamo, “movimentato”. Era stata richiesta la detenzione ospedaliera, in questo caso, poi trasformata in detenzione domiciliare, perchè non si era riusciti ad individuare una struttura idonea ad ospitarlo: lui aveva una serie importante di patologie.”
Ricciardi: “Giovane ma con patologie”
Moschioni: “Esatto. Si è dovuti, purtroppo, arrivare nelle more dell’accertamento, di questa sua incompatibilità della sua situazione con il carcere. Nel suo caso, si è dovuti arrivare purtroppo ad un evento critico: è stato ricoverato in situazione di urgenza all’ospedale”.
Ricciardi: “Ospedale esterno, e non centro clinico”
Moschioni: “Sì. Era stato ricoverato in situazione di criticità assoluta: era entrato in ospedale in stato comatoso, quando appunto il carcere non poteva essere più in grado di fare nulla, per cui ha dovuto accedere alle cure della rianimazione. In quel caso gli era stato concesso: l’ospedale era stato in grado di risolvere la situazione, quantomeno a riportare la criticità ad un livello di stabilità; quindi, era stato ammesso alla detenzione domiciliare, dopo avere avuto un lungo periodo di ricovero ospedaliero, in una condizione di totale incoscienza, perchè aveva avuto, appunto, un periodo di coma”.
Ricciardi: “Era proprio molto grave…”
Moschioni: “Sì, e aveva avuto patologie respiratorie molto serie. Era riuscito ad avere un recupero sostanziale, nella detenzione domiciliare, per le sue patologie critiche; a quel punto, poichè la sua pena non prevedeva la possibilità di una detenzione domiciliare fino alla sua fine, perchè tale pena era ancora abbastanza lunga, gli è stata concessa la detenzione domiciliare a termine, con un termine di durata. Alla fine di questo periodo, è stato riportato in carcere, perchè aveva raggiunto un livello di stabilità clinica accettabile”.
Ricciardi: “Ma neanche nel centro clinico dipendente dal carcere; era stato messo proprio nel carcere “in senso stretto”? Era in cella?”
Moschioni: “In senso stretto, sì. Era in cella, in sezione ordinaria. Aveva avuto intanto, poichè nelle ore era scaduto il termine del regime differenziato del 41 bis. A quel punto, era stato trasferito dal regime differenziato, ad uno del circuito di alta sicurezza”.
Ricciardi: “Qualcosa di minore, seppure ad alta sorveglianza, rispetto al grado più estremo del 41 bis”.
Moschioni: “Sì, anche perchè il suo quadro clinico era tale, da recidere del tutto la sua pericolosità sociale: era stato anche, appunto, in stato comatoso, poi era rientrato in carcere, con una valutazione di minore pericolosità sociale: non è stato più applicato il regime del 41 bis, che nelle more era scaduto, e non gli è stato rinnovato. Era comunque in un regime di alta sicurezza, ma minore. Rientrato in carcere, però quelle patologie, che erano così importanti, hanno subito un nuovo aggravamento, perchè purtroppo lui era una persona che doveva essere proprio seguita: le sue patologie erano croniche. Nelle more di questa nuova detenzione, in carcere, intramuraria, è stata presentata una nuova istanza, di detenzione domiciliare per consentirgli di avere una nuova possibilità di cura, e purtroppo, quello che era stato segnalato da me come difensore, cioè che lui si trovava in una condizione di estrema gravità, che lo rendeva incompatibile con la detenzione intramuraria, non ha avuto un ascolto dalla magistratura di sorveglianza: è stata attivata una procedura, per l’accertamento della sua incompatibilità, con un tempo più dilatato rispetto alla gravità della situazione, per cui è deceduto prima di avere un accertamento da parte del Tribunale. Una seconda udienza avrebbe dovuto verificare le condizioni di salute: in quel caso, ritengo ci sia stata una sottovalutazione della gravità. Per la verità, è stato instaurato un procedimento penale per l’accertamento di eventuali colpe mediche, comprovate responsabilità, con riferimento a questo decesso, avvenuto in un momento in cui era ancora pendente un procedimento per l’ottenimento della detenzione domiciliare. ”
Ricciardi: “Ma l’autopsia ha detto qualcosa? Siete all’appello?”
Moschioni. “Siamo in attesa di capire meglio gli sviluppi, nel senso di registrare che il decesso è avvenuto proprio per una delle patologie che erano state segnalate, una delle patologie più gravi. non era più in coma, ma le patologie erano comunque gravi.”
Ricciardi: “Quindi si sapeva qualcosa”
Moschioni: “Sì, e ne aveva svariate, e bisogna capire se ci sia stato qualcosa di sbagliato, perchè un decesso di una persona di 48 anni, nata nel 1970, quindi addirittura prima dei suoi 50 anni è ad un’età ancora decisamente giovane prematura, per una morte naturale, di solito. Si dovrà chiarire su eventuali responsabilità. Non è purtroppo però la prima volta, e lo dico non con tono polemico, ma con dispiacere, che un mio assistito decede in carcere. Tornando a Michele Pepe, consideri che lui aveva, tra le sue patologie, un problema polmonare importante, che aveva comportato la necessità di mettergli, per almeno 18 ore al giorno, un respiratore: una terapia di ossigeno, per cui avrebbe dovuto, in una condizione ottimale, ottenere un miglioramento complessivo della sua condizione fisica, per arrivare ad essere affrancato da questa dipendenza, dall’ossigenoterapia. Gli esiti degli accertamenti da parte della Procura della Repubblica di Torino non sono stati ancora del tutto chiariti, comunque pare che il decesso sia avvenuto per un arresto cardiaco, ma per una insufficienza polmonare. Esattamente i problemi che lo avevano portato, all’epoca, ad entrare in ospedale, in uno stato comatoso”.
Ricciardi: “Una vicenda che si commenta, forse, da sola..”
Moschioni: “Si commenta da sola..”
Ricciardi: “Si continueranno, comunque, gli accertamenti… Un altro caso ancora del quale si è occupata è quello famoso di Raffaele Cutolo, in sostituzione temporanea dell’avvocato Gaetano Aufiero, che è tuttora il suo avvocato storico. In collaborazione, quindi, con l’avvocato Aufiero (che aveva chiesto la revoca del rinnovo del 41 bis), lei ha richiesto differimento della pena, cioè che potesse essere scontata in luogo diverso dal carcere: ad esempio una casa, o un centro per anziani, e con assistenza.”
Moschioni: “Avevo anche richiesto che potesse essere seguito presso una struttura ospedaliera, perchè mancava una parte degli accertamenti.”
Ricciardi: “Il medico chiesto di Aufiero”
Moschioni: “Sì, esatto”
Ricciardi: “E non era neanche di Ottaviano. E lui poi è andato in centro clinico o direttamente altrove?
Moschioni: ” Lui è andato in un reparto dell’ospedale di Parma.”
Ricciardi: ” Direttamente in un centro sanitario del tutto esterno al carcere”
Moschioni: “Sì, è un centro esterno, fuori dalla struttura penitenziaria, in un reparto che viene riservato a coloro che vengano da strutture detentive; comunque, è un reparto non per espiazione delle pene, ci si va a causa quando si entra in urgenza. Normalmente si viene ospitati in questo reparto detentivo, che prevede un pernottamento, cioè se il detenuto non deve semplicemente andare a fare solo una visita, piuttosto che un accertamento, radiografico, o ecografico, o che quel che sia, ma si deve avere un check up, che prevede un pernottamento in ospedale: è un reparto detentivo presso l’ospedale, oppure se avviene un evento critico: ad esempio, per un detenuto che un infarto, un ictus, o deve subire un accertamento, o per un intervento chirurgico. Di solito però è per un periodo temporaneo: si arrivano ad effettuare gli accertamenti che sono previsti, gli interventi di urgenza. Nel caso del signor Cutolo si sta verificando una cosa abbastanza anomala…”
Ricciardi: ” Che sta diventando collocazione definitiva?”
Moschioni. “Perfetto”.
Ricciardi: “Meglio che stare in carcere, ma comunque una strana situazione, di non differimento ufficiale e di non carcere”
Moschioni: “Infatti, se un detenuto rimane in una sezione detentiva, in ospedale, è evidente che le situazioni sono due: o ha una tale situazione di gravità, per cui gli interventi di urgenza sono continuativi, sono tutti i giorni, oppure è assolutamente inidoneo a rientrare presso una struttura detentiva, e, a questo punto, normalmente doveva scattare il differimento”.
Ricciardi: “Addirittura è lampante che questa in teoria doveva essere la logica normale. Quindi, sicuramente è un bene che venga curato meglio lì, ma appunto è particolare questa situazione atipica: una situazione che somiglia a quelle simili del centro clinico..”
Moschioni: “E’ esattamente l’esempio che le ho fatto prima: è come se un cittadino, libero da misure detentive, accedesse ad un pronto soccorso, e poi vi rimanesse a dormire, per un tempo indefinito”.
Ricciardi: “Come se fosse la sua casa, in mancanza di possibilità migliori immediate, fattibili. Per quanto, quindi, richiesta di revoca del 41 bis (seguita dall’avv. Aufiero) e di assistenza a casa e in casa di riposo (seguita da lei, in collaborazione con Aufiero) siano state respinte tra fine settembre e metà ottobre circa, Raffaele Cutolo rimane in un centro clinico esterno al carcere, per la sua evidente, attuale fragilità, dove può essere meglio seguito, da medici molto preparati. La questione del regime da applicargli non è chiusa, perchè vi sarà ricorso in Cassazione contro il rinnovo del 41 bis. Lei in che condizioni aveva trovato Raffaele Cutolo quando lo aveva incontrato? E cosa pensa di questa temporanea battuta d’arresto di richieste di misure meno drastiche nei suoi confronti? Ricordiamo che l’aspetto medico della questione è prevalso, per merito anche alla direzione sanitaria del carcere di Parma, che lo ha fatto ammettere in centro sanitario esterno, e che è un fatto che la Nuova Camorra Organizzata non esista più dalla metà degli anni ’90 circa… Inoltre la Corte Costituzionale, nel 2019, aveva dichiarato incostituzionale l’articolo 4 bis, che vieta benefici senza collaborazione con la giustizia.”
Moschioni: “Io purtroppo ho avuto sempre la sfortuna di trovarlo sempre in una situazione di non presenza a sè stesso, nel senso che non era in grado di interloquire: non abbiamo avuto occasione di scambiare delle parole, perchè lui era in stato soporoso, e non era in grado di rispondere a delle mie domande: quindi, non sono neanche sicura che riuscisse ad ascoltarmi, e riuscisse a comprendere quello che io gli chiedevo. Poi, ha avuto un miglioramento, veramente è stato aiutato”.
Ricciardi: “Sì, un miglioramento anche nel tornare a riconoscere moglie e figlia, ad esempio; però, comunque, non è dimissibile”.
Moschioni: “Sì, non è dimissibile; diciamo che il signor Cutolo ha una situazione che probabilmente è quella tipica di una persona anziana, con un aggravamento ormai irreversibile della sua condizione di salute”.
Ricciardi: “Certo non ringiovanisce…”
Moschioni: “Esattamente, non diventa nè più giovane nè più sano, ammenochè non si possa considerare un miracolo! Ha delle patologie croniche: di miracoli io ne ho visti pochi…”
Ricciardi: “Proprio perchè di solito non succedono, si chiamano miracoli…Comunque è in corso un ricorso in Cassazione contro il no alla revoca del 41 bis: naturalmente, ne tratterà l’avvocato Aufiero, però, di fronte a questa non dimissibilità, di fronte al fatto che comunque è estinta la Nuova Camorra Organizzata, e di fronte anche all’incostituzionalità del 4 bis: (questo fatto che, per la Corte Costituzionale, ed anche per la Corte di Strasburgo, non è sempre giusto negare i benefici senza collaborazione con la giustizia), e considerando che il diritto alla salute è qualcosa di maggiore e prevalente anche rispetto ai benefici, stessi, lei che ne pensa di questa tendenza, anche con altre persone, di avere difficoltà a prendere provvedimenti più netti, quando l’incompatibilità con il carcere emerga?”
Moschioni: “Io sono assolutamente una sostenitrice strenua del rispetto del nostro ordinamento penitenziario, e prima ancora della Costituzione. Il nostro ordinamento penitenziario contiene veramente tutto quello che serve, e non è neanche necessario fare riferimento ad altro”.
Ricciardi: “Ed i fatti qua sembrano parlare”.
Moschioni: “Le norme sono assolutamente chiarissime, cioè nel senso che, nella misura in cui c’è un bene superiore, che è quello della salute, e del diritto alla vita, che è superiore a qualsiasi altro diritto”.
Ricciardi: “Certo Il diritto alla salute c’entra a volte con il diritto alla vita, in molti casi”.
Moschioni: “In questi casi bisogna avere un rango, una categoria, un ordine di grandezza prevalente rispetto agli altri diritti. Chiaramente, vanno commisurati, messi sui piatti della bilancia, ma con un’attenzione prevalente. Nel caso del signor Cutolo, per quanto riguarda la situazione, il rigetto della richiesta di differimento pena, nella forma della detenzione domiciliare, non è stato, ad oggi, presentato il ricorso per Cassazione: eventualmente, verrà rivalutata, in un secondo momento, una nuova istanza di detenzione domiciliare, perchè, per fortuna, lui attualmente sta avendo quelle cure, che erano l’obiettivo dei familiari.”
Ricciardi: “Ma è anche un merito della casa circondiale di Parma, che lo ha messo fuori (per quanto non libero del tutto): nel senso che ha permesso delle cure migliori?”
Moschioni: “Diciamo che, in questo caso, io credo che ci sia stata una coincidenza fortunata, chiamiamola così, cioè la presenza di un accertamento sulla compatibilità o meno delle condizioni di salute del signor Cutolo, ha portato il carcere di Parma ad una maggiore attenzione, perchè deve comunque relazionare il Tribunale, rispetto al trattamento terapeutico che è stato posto in essere; quindi, i sanitari, in modo molto coscienzioso, devo darne atto, hanno ritenuto che fosse il modo migliore per assicurare il prevenire problematiche maggiori. Parliamo anche del fatto che il signor Cutolo avrebbe avuto il rischio di cadute accidentali, assolutamente pericolosissime per una persona anziana. Parlo per esperienza personale, ma anche per il comune sentire: quante volte, per un ottantenne, una caduta, una frattura del femore, può incidere su patologie pregresse, che possono portare al decesso. E questo rischio, per persone vicine a quell’età, non è minore se il paziente si chiama Cutolo”.
Ricciardi: “Bisogna evitare tutto quello che si può evitare in questo, senso, con più assistenza”.
Moschioni: “Esatto: quindi, in questo caso, l’attenzione, il focus sul carcere di Parma, ha portato i sanitari ad avere, secondo me, un’attenzione maggiore, un’attenzione più elevata: quando hanno ritenuto che non fosse più possibile prevenire in carcere…Quando hanno visto che il signor Cutolo non era in grado di autogestirsi, neppure con l’aiuto di un piantone, che potesse aiutare nel pulire la cella, che potesse prendersene cura nel gestire l’igiene personale, hanno preferito farlo monitorare in ambito ospedaliero: credo sia stata una scelta molto intelligente, da questo punto di vista, da parte dell’ avvocato Aufiero, di non impugnare quella ordinanza, in presenza della situazione attuale, perchè le cure in ospedale sono fondamentali. Diversa è invece la valutazione sull’applicazione del regime differenziato, per cui lui, per assurdo, si trova collocato nella sezione detentiva dell’ospedale di Parma, ancora sottoposto al regime differenziato del 41 bis, perchè per il Tribunale di Sorveglianza di Roma può essere soggetto potenzialmente ancora in grado di mantenere i collegamenti contatti con la criminalità organizzata”.
Ricciardi: “Con la Nuova Camorra (NCO) che non c’è più”
Moschioni: “Con la Nuova Camorra (NCO) che non c’è più”
Ricciardi: “Comunque è cambiato il contesto, cioè al di là del fatto che può essere cambiata la persona: sono passati molti, molti anni.”
Moschioni: “Certo è cambiato, ma prima di fare valutazioni sull’esistenza, solo in passato, di un certo tipo di criminalità organizzata, penso non sia in grado di trasmettere messaggi, di mantenere contatti: questa persona non è sempre presente a sè stessa in modo consapevole, c’è una degenerazione legata ad una malattia cronica, che ormai è legata alla sua età, ed è legata ad una degenerazione cerebrale: è chiaro che diventa difficile pensare che possa tenere contatti con chiunque, perchè ci sarebbe una sorta di capacità discontinua, nel momento in cui ha problemi ad interloquire con gli altri”.
Ricciardi: “Lui più volte, comunque, ha detto di avere chiuso con la camorra, pur non avendo collaborato; insomma, ci possono essere molti motivi dietro una non collaborazione: non è facile uscire attivamente dalle mafie, ma non è detto che sia più collegato, e non è detto che voglia esserci ancora realmente”.
Moschioni: “Anche la Corte Costituzionale, in tempi recentissimi, ha dato questa lettura, finalmente, della questione”
Ricciardi: “A volte, non si fanno i nomi degli altri perchè si temono, in quei casi, rappresaglie, perchè si è contrari a delazioni”.
Moschioni: “La Corte Costituzionale ha sostenuto finalmente il diritto di difesa, anche senza collaborare, che significa anche difesa di sè, della propria famiglia, da rischi per l’incolumità personale. La collaborazione non significa sempre e solo una scelta personale, potrebbe implicare delle conseguenze a cascata sui propri familiari.”
Ricciardi: “Nessuna delle due è scelta facile, è chiaro; comunque, dottoressa, in quei giorni, immediatamente precedenti al trasferimento di Raffaele Cutolo, c’era stata in effetti più attenzione sul tema, con vari servizi d’informazione, tra cui anche con un programma di Radio Radicale in favore dei diritti di tutti, anche dei suoi. Lei pensa che una informazione corretta quanto possa aiutare le coscienze? Prima si parlava di una informazione invece non sempre corretta, sulla scarcerazione di certi boss…”

Moschioni: “Sì, l’informazione corretta è fondamentale. Io credo che sia stata fatta, in contemporanea alla questione della scarcerazione dei boss, una disinformazione assoluta: mi riferisco in particolare ad alcune trasmissioni televisive”.
Ricciardi: “Al tempo della prima emergenza Covid?”
Moschioni: “Al tempo della prima emergenza Covid, che purtroppo tempo si riproporrà a breve, perchè non escludo la possibilità di ritornare ad una situazione simile, quantomeno numericamente”.
Ricciardi: “Anche perchè molti di questi detenuti per mafie sono molto anziani, e quindi sono proprio loro i più a rischio, e bisognosi di cure”
Moschioni: ” Per citare la situazione che io vivo a Parma, bisogna dire che molti di questi detenuti sono con delle pene perpetue, con condanne all’ergastolo, o condanne trentennali, che magari sono arrivate ad essere pronunciate a distanza di 20 anni, dalla commissione dei fatti, quindi non è così anomalo trovare delle sentenze di condanna all’ergastolo, che vengono pronunciate per fatti degli anni ottanta, che diventano irrevocabili 20-25 anni dopo. In questi casi, la persona probabilmente ha raggiunto anche un’età anagrafica elevata. La detenzione per un lungo periodo di tempo può essere un fattore di aggravamento di una serie di condizioni di salute. Sebbene l’informazione pubblica faccia spesso disinformazione, faccia pensare che i detenuti abbiano tutti beni per godersi la vita; si critica perfino che abbiano la televisione… in realtà la ristrettezza in un ambiente in cui non c’è la possibilità di esercizio fisico più accentuato, incide.”
Ricciardi: “La detenzione in sè è una pena quasi corporale?”
Moschioni: “In parte è una pena corporale”.
Ricciardi: “In parte lo è, quindi, non nel senso di violenza attiva, ma in altro senso sì”
Moschioni: “Assolutamente sì, perchè l’incidenza di patologie cardiologiche, che sono collegate ad una situazione di restrizione, di stress, di limitazione proprio fisica, per cui non si riesce a mantenere quella salute del corpo, che dovrebbe andare di pari passo con l’aumento dell’età. E’ chiaro che molti detenuti di 70 anni, 80 anni, 85 anni, in condizione di libertà, potrebbero ambire ad una vita un po’ più lunga, arrivano con una serie di patologie, che li rendono chiaramente più fragili. Quindi preservare la salute in ambito penitenziario, a mio avviso, significherebbe anche fare una politica collettiva e sociale di diminuzione dei costi, cioè l’ammissione di detenuti a misure esterne, come la detenzione domiciliare, che poi non sono misure alternative: in questo caso, sono modalità differenti di esecuzione della pena. Per misure alternative io intendo tutte quelle modalità che prevedono un comportamento attivo: dalla possibilità di partecipare ad una risocializzazione, con il lavoro, con la partecipazione alla vita dello Stato”.
Ricciardi: “Sono tutte molto minori, insomma, le prime attenuazioni”
Moschioni: “La detenzione domiciliare, in caso di situazioni di salute fisica danneggiata, è semplicemente una modalità diversa di eseguire la pena; sarebbero, però, costi molto minori, quelli a carico dei cittadini, per il servizio sanitario nazionale: perchè un detenuto malato, all’interno del carcere, anche per prevenire danni gravi, è sottoposto ad una serie di visite, di controlli, di accertamenti diagnostici, che sono molto maggiori di quelli cui verrebbe sottoposto, se fosse detenuto affidato alle cure della famiglia, in un ambito detentivo in un ambito domiciliare, in un ambito pure molto ristretto”
Ricciardi: “Certo, sarebbero conciliati sicurezza collettiva e risparmio”
Moschioni: “Certo, ci sarebbe un risparmio, senz’altro. Io vedo il quadro clinico, ad esempio in vista di un’udienza di oggi: racconto di problemi dei miei assistiti, che avevano un peso specifico proprio elevatissimo: si dovevano prevenire eventi critici, che poi sono responsabilità dei sanitari: le persone fisiche a cui questi detenuti sono affidati; quindi viene un dubbio: piuttosto che rischiare un infarto, si fa un accertamento in più, e questa ha un costo, ma i costi in termini di sanità sono quelli della traduzione di un detenuto, che deve uscire dal carcere con una scorta, che deve essere accompagnato da un numero di agenti che lo vigilano. Non credo quindi che certa comunicazione faccia corretta informazione; se solo si verificassero i rapporti dei garanti locali dei detenuti, che sono anche rapporti sull’incidenza di spesa della sanità penitenziaria, rispetto alle spese di un comune. Questo non è nell’interesse pubblico, mantenere delle persone in condizioni di incompatibilità, all’interno delle mura di un carcere. Sarebbe molto più economico farli andare a casa o in altra struttura, con aiuti e contributi economici della propria famiglia”.
Ricciardi: “Certo, quindi purtroppo, a volte, invece di analisi anche più ragionate, ci sono slogans…”
Moschioni: “Ci sono slogans, probabilmente anche più rassicuranti, per il cittadino, che partono, però, da un’informazione errata”.
Ricciardi: “Una informazione errata, forse si fa propaganda politica: soprattutto un modo di prendersela, con chi ce la si può prendere, in modo sommario…”
Moschioni: ” A volte sì. Io credo che una informazione errata abbia portato molti magistrati di sorveglianza ad avere delle remore nel concedere qualcosa”
Ricciardi: “Forse timori di un’opinione pubblica non bene informata. A volte, invece, quando ci sono forme di informazione diversamente orientate, sul garantismo, in alcuni casi si vedono dei risultati: non so se ci sia completo rapporto di causa ed effetto, ma è possibile si raggiungano delle coscienze; a volte, si nota anche il contrario: forse non spessissimo, forse ancora troppo poco.”
Moschioni: “Ci sono magistrati assolutamente terzi, alcuni fanno giurisprudenza: sono davvero delle perle, vengono indicati come punti di riferimento: li chiamerei un patrimonio nazionale, per quanto ci riguarda: hanno un’indipendenza assoluta, fanno una valutazione assolutamente oggettiva dei dati che vengono portati avanti, indipendentemente dal nome e dal cognome, che possono essere pesanti per l’opinione pubblica: con una totale terzietà rispetto alla valutazione che potrebbe avere quel provvedimento da parte dell’opinione pubblica. E questi sono quei casi di una corretta applicazione della giustizia. Dovrebbe essere quello: il giudice non dovrebbe essere influenzato da certi fatti, dal curriculum criminale, quando valuta condizioni di salute di un individuo; così come un medico che va a fare una valutazione: per medico intendo un perito del Tribunale, che deve fare una valutazione di compatibilità, a mio parere non dovrebbe neanche conoscere l’identità del detenuto che va a valutare. La prima domanda che viene posta da alcuni periti è: “Che cosa ha fatto?”. Non dovrebbe essere questa la domanda che viene posta”.
Ricciardi: “Certo: diciamo che non c’entra”.
Moschioni: “È come fare una domanda fuori luogo: è una domanda che non dovrebbe essere posta, in quel contesto, perchè un sanitario dovrebbe valutare semplicemente delle condizioni di salute, indipendentemente anche dal nome e cognome. Spesso infatti un buon aiuto è quando si accede all’ospedale con degli omissis nella cartella clinica. Così c’è una terzietà molto maggiore del rapporto del sanitario con il paziente”.
Introduzione e quesiti di Antonella Ricciardi, novembre 2020

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