Netflix e Bridgerton, la serie tv del momento

Siamo nell’alta e competitiva società londinese dell’Età della Reggenza, nella stagione in cui tra sontuosi balli, tea time, pic-nic e “promenade”, le giovani donne cercano marito, incoraggiate a trovare una buona sistemazione dalle madri in fermento. Uno scenario che sembra ricordare Orgoglio e pregiudizio, uno dei più celebri romanzi della scrittrice inglese Jane Austen, pubblicato il 28 gennaio 1813, dal celebre incipit contraddistinto da un velo di ironia che recita: «È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie» in cui l’obiettivo della signora Bennet, vista la mancanza di un figlio maschio che possa ereditare la loro tenuta di Longbourn nell’Hertfordshire, è quello di vedere sposate le sue figlie, secondo le leggi vigenti all’epoca.
Bridgerton si presenta come l’adattamento della serie di romanzi storici di Julia Quinn intitolata “La saga dei Bridgerton, formata in tutto da nove volumi. Daphne Bridgerton (Phoebe Dynevor), è la figlia maggiore della potente famiglia Bridgerton, giunta al suo debutto in società, che, sulla scia dei suoi genitori legati da un rapporto vero e sincero, spera di trovare l’amore. Ma un occhio vigile e astuto, come solo quello di una donna saprebbe fare, fotografa ogni scandalo dell’alta società, e con mano ferma riporta ogni particolare sulla sua “rivista rosa”: entra in scena la misteriosa Lady Whistledown. È risaputo che durante l’epoca georgiana e successivamente durante l’età vittoriana, essere una donna emancipata, indipendente, ma soprattutto scrittrice, era fonte di pesanti critiche e pregiudizi nei confronti della mente “feminine”, termine con valore dispregiativo della materia trattata da un punto di vista eccessivamente femmineo e utilizzato per recensire l’ultima edizione di Frankenstein o Il moderno Prometeo, romanzo gotico scritto dall’autrice britannica Mary Shelley, che recava la firma della donna. Nel disseminato contesto della ricerca della propria metà entra in gioco il tanto agognato Duca di Hastings (Regé-Jean Page), scapolo d’oro considerato il perfetto partito per ogni fanciulla, che reca i tratti del Darcy di Austen, egoista e intransigente, che tuttavia non può fare a meno della sua Elizabeth. I protagonisti del racconto si troveranno più volte a dover lottare contro una società standardizzata in cui non è possibile scavalcare una determinata casta sociale e dove viene represso ogni desiderio passionale da parte della donna, in ossequio all’arrivo impetuoso dell’Età Vittoriana, nella quale lo spettro vacuo della rispettabilità si pone come un misto di moralità e ipocrisia. La famiglia in quel periodo storico era incentrata dunque su un’unità patriarcale in cui la posizione del marito è dominante, il ruolo chiave della donna riguardava l’educazione dei figli e le faccende domestiche. La sessualità invece era generalmente repressa nelle sue forme pubbliche e private, ciò comportò la denuncia della nudità nell’arte il rifiuto delle parole con connotazione sessuale provenienti dal vocabolario quotidiano. L’idea vittoriana del ruolo della donna nella società può essere sintetizzata al meglio con la frase “un angelo in casa”, dall’opera del poeta vittoriano Coventry Patmore intitolata L’Angelo del focolare (in lingua originale The Angel in the House), dedicata alla sua prima moglie, Emily Andrews, che esemplificava la “quintessenza del credo vittoriano riguardante la sfera femminile dello spazio domestico e pubblico. Dalla serie TV realizzata dalla casa di produzione di Shonda Rhimes e scritta da Chris Van Dusen, si carpisce da Daphne la limpida insicurezza giovanile e quell’anelito zelante che sprizza indipendenza da tutti i pori, ella non facilmente si lascia trasportare dalle passioni, intimandoci di leggere l’incipit di Jane Austen in un’altra visione: “È una verità poco riconosciuta che una ragazza single in possesso di una fortuna non considerevole ha bisogno di un marito ricco”.

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