Gli Influencer durante la Seconda guerra mondiale la strategia USA per finanziare lo sforzo bellico
«La pubblicità è l’anima del commercio» o così almeno ci hanno insegnato i fautori dell’anima capitalistica e consumistica occidentale, quella sorta dall’occupazione angloamericana che cancellò definitivamente, dal ’45 in poi, i nostrani sogni di potenza mediterranea, dividendo sostanzialmente il mondo in due grandi blocchi contrapposti. Sulla base di questo leitmotiv il mondo pubblicitario, sorto dai banditori di strada, dalle urla dei commercianti, come pure dai richiami di botteghe e ristoranti, ha seguito nel corso del tempo le trasformazioni delle tecnologie di comunicazione, passando dalla radio alla televisione fino a giungere alla potente rete globale di Internet.
Oggigiorno, infatti, i tanto attuali “influencer”, passati dal primordiale sistema dei blog personali ai social, attualmente con un robusto trend di crescita soprattutto su Instagram, muovono le voglie d’acquisto di grosse fette di popolazione, spesso delle fasce più giovani, garantendo a tante aziende di medie e grandi dimensioni, alcune ampiamente globalizzate, un costante aumento delle vendite. Il marketing moderno, non senza polemiche, vive quindi giornalmente del mondo social, di un ambiente comunicativo e informativo da cui trarre opinioni e consigli, apparentemente soluzioni, sfruttando testimonial famosi o comunque costruiti ad hoc per diffondere in modo più capillare e pervasivo tanti “brand” commerciali e spingere vendite al limite della mitizzazione. È in questo modo che si sono sviluppati fenomeni del calibro di Chiara Ferragni, Clio, Benedetta Rossi, Me contro Te, The Jackal o Casa Surace, giusto per citarne alcuni. Personaggi che, però, non hanno inventato nulla di nuovo ma, va detto, hanno ben compreso come padroneggiare perfettamente le moderne tecnologie messe a disposizione dal coevo modello digitale mondiale. Tale fenomeno, infatti, non è poi così attuale, anzi proviene da molto lontano, ancora una volta dal passato bellicoso di inizio ‘900, sebbene sviluppatosi in modo più simile a ciò che conosciamo oggi circa settantotto anni fa, durante la Seconda guerra mondiale. Non è un caso, quindi, se a fine novembre del ’42 gli Stati Uniti in guerra contro il nazismo lanciavano il primo famoso War Loan Drive. Il conflitto, infatti, diventato un vero e proprio pozzo senza fondo per le casse a stelle e strisce, si calcola oltre 300 miliardi di dollari dell’epoca, andava necessariamente finanziato con strategie multidisciplinari per evitare un possibile tracollo del gigante d’oltreoceano.
Nonostante politiche di detrazione fiscale, soprattutto a partire dal ’43, per spingere le famiglie americane ad investire i propri risparmi in cedole legate direttamente all’andamento di una guerra cui partecipavano i propri figli al fronte, gli States necessitavano di un vero “boost di sistema”, di un’iniezione di potenza finanziaria che consentisse all’industria bellica di produrre più armi per assicurare la vittoria in Europa e sul fronte orientale. Per garantire quindi le risorse necessarie a sostenere un conflitto di tali proporzioni, esattamente come si fa oggi, il governo si rivolse alle star del cinema, della musica e dello sport, sostanzialmente agli influencer dell’epoca, per spingere la vendita di obbligazioni finanziarie sollecitando il sentimento patriottico grazie alla leva mediatica e ai consigli elargiti con enorme fervore dalle più importanti personalità americane. Nacque, così, un potente sistema di influenza del pensiero collettivo attraverso campagne pubblicitarie chiamate “The All Star Bond Rally”, ben 7 tour in cui stelle hollywoodiane e dello sport si adoperarono per promuovere la vendita di tali prodotti arrivando addirittura a girare veri e propri film, poi proiettati nei cinema, per convincere i cittadini ad acquistare le obbligazioni dello stato americano.
Il fenomeno, conclusosi con l’ultimo “bond rally” dell’8 dicembre 1945, fu un vero e proprio successo tanto che le obbligazioni di guerra furono piazzate con un tasso di rendimento inferiore al valore di mercato e soprattutto con scadenza più lunga del normale. Il merito? Tutto degli influencer dell’epoca, colossi del calibro di Bob Hope (attore, cantante e presentatore), Betty Grable (attrice, ballerina e cantante), Harpo Marx (attore comico), Vivian Blaine (attrice e cantante) e addirittura Frank Sinatra (attore e cantante). Molte di queste star, poi, iniziarono anche a girare nei territori europei già occupati, ad esempio in Italia, nella Campania dello sbarco di Salerno del 9 settembre ’43 e dell’ingresso a Napoli il primo ottobre dello stesso tremendo anno di guerra. Ad esse si unirono anche stelle della musica che, indipendentemente dalla campagna per piazzare i bond, furono incaricate di allietare le truppe d’occupazione non solo per rendere più accettabile l’orrore degli scontri di prima linea, ma anche per convincere indirettamente le famiglie dei combattenti a dare una mano comprando le obbligazioni in patria. In questo ulteriore filone di influencer si inserirono personaggi universalmente famosi come Cole Porter (compositore), Coleman Hawkyns (sassofonista jazz), Irvin Berlin (compositore e famoso autore di White Christmas) e addirittura Marlene Dietrich (attrice e cantante). Un vero e proprio mondo in guerra già pieno zeppo di influencer che cambiarono realmente la mentalità di paesi in cui, tragicamente, fu necessario combattere il nazismo perfino a colpi di marketing e campagne pubblicitarie. Allora, siete davvero convinti che Ferragni & Company siano un’invenzione moderna?