Van Gogh, genio incompreso o eterno masochista?

Più che Post-impressionista Van Gogh può essere definito uno dei primi espressionisti. In una lettera al fratello Theo egli si definisce “un uccello in gabbia in primavera”, che sa perfettamente a cosa è destinato, ma scaglia ugualmente il capo contro le sbarre ferrose.
Solitario e fannullone, per alcuni, genio masochista per altri, Van Gogh mette in luce la drammatica consapevolezza di essere incompreso, lo sconforto e l’alienazione. Gli occhi inquieti, fissi, le labbra serrate, l’estrema magrezza fanno trasparire il carattere instabile sottolineato dai rapidi tocchi di colore in disposizione raggiata e centrifuga degli autoritratti.
Volo di corvi su campo di grano ha una resa pittorica e interpretativa che va al di là dell’osservazione, un’appercezione che penetra nell’anima di coloro i quali almeno una volta si sono trovati dinanzi al bivio della vita: due strade divise da un tratturo che peraltro conduce al nulla, una strada verso la coscienza, obbligata, lacerante.
Il soggetto è un idillio non idillio, un luogo dionisiaco che riflette l’angoscia dell’artista. Il confine con l’orizzonte marcato, il cielo plumbeo. Una natura matrigna, crudele, che come direbbe Leopardi “non rende poi quel che promette allor”. Un quadro fortemente simbolico dove figurano corvi in un turbinio vorticoso che avvolge lo spettatore, ricordando le erinni che fecero impazzire Oreste. Una sensazione di potente oppressione esistenziale e di infelicità costitutiva della vita, una catarsi interiore che inebria la tela permeandola della sofferenza umana.

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