Accorata testimonianza di Maria Morabito, moglie dell’ex boss della ‘ndrangheta, Pasquale Condello
“Quella è stata una guerra cruenta piena di vittime innocenti. In ogni guerra di cui si parla non ci saranno mai dei vincitori: siamo tutti vinti; ancora oggi ci sono madri, mogli, figli ,che piangono i loro morti”[…]
Queste ed altre parole, eloquenti, emergono nel dialogo di seguito riportato, che contiene un’accorata testimonianza di Maria Morabito, moglie dell’ex boss della ‘ndrangheta, Pasquale Condello: un appello a favore del diritto alla salute, di un lavoro costruito sull’onestà, e dei diritti costituzionali contro la violenza delle faide, che sconfiggono tutti. Nelle parole di Maria Morabito si evidenzia anche la necessità di spezzare i meccanismi di esclusione sociale, che la pura repressione indiscriminata favorisce, in realtà, ai danni della legalità e dello Stato di diritto: emarginare ad esempio i figli di padrini di un tempo, oltre ad essere ingiusto, rischia di impedirne proprio l’inserimento in un contesto slegato dalle mafie. Proprio nel corso dell’intervista, il figlio di Maria, Francesco, è stato liberato da una misura di sorveglianza speciale, per la sua condotta molto corretta, che ha convinto i Magistrati… un primo passo verso una rinascita della situazione della famiglia. Maria Morabito condanna gli errori passati del marito, ma cerca contemporaneamente di aiutare a comprendere un contesto, per cui questi, che pure inizialmente voleva tenersi fuori da un certo ambiente, si era trovato al centro di una guerra… Sullo sfondo, le vicende passate che avevano coinvolto da una parte la cosca Imerti-Condello-Fontana, dall’altra il potente clan dei De Stefano, ed altro ancora. Attualmente, Pasquale Condello, pur non essendosi sentito di percorrere la strada del pentito giudiziario, non vuole avere più contatti con il crimine; anche la Corte Costituzionale, con storica sentenza del 2019, aveva sancito la non condivisibilità della negazione automatica di tutti i benefici, cioè attenuazioni dei gradi di intensità delle pene, in mancanza di collaborazione con la giustizia: dietro tale scelta a volte possono esserci contrarietà alla delazione, timore di rappresaglie, e non sempre c’è volontà di rimanere attivi in sodalizi mafiosi. Nell’Italia delle quattro mafie principali, in effetti, molto spesso si parla di tali fenomeni, ma molto meno frequentemente delle loro cause: in questo senso, l’analisi della Consulta aiuta a fare maggiore chiarezza. Nelle parole di Maria Morabito viene espressa una coraggiosa presa di posizione contro una mentalità oppressiva arcaica, che stigmatizza la libertà delle donne, c’è la volontà di inserirsi onestamente in un contesto lavorativo interno allo Stato, in un desiderio di riscatto sociale, ed emergono anche dei fatti tangibili, tra cui la non sussistenza di grandi risorse economiche di dubbia origine per la famiglia Condello; piuttosto, sono incontrovertibili attualmente le sue ristrettezze economiche. Maria Morabito ricorda anche l’odissea del marito riguardo i problemi di salute: Pasquale Condello più volte si è definito vittima di abusi carcerari:..non sempre è chiaro quanto ciò sia eventualmente reale e quanto sia eventualmente frutto di patologie psichiatriche subentrategli in prigione, ma certamente le patologie ci sono: gravi sofferenze, che chiaramente il carcere, oltretutto gravato dalle misure estreme del 41 bis, non aiuta assolutamente ad attenuarsi. Del resto, chiedere rispetto del diritto alla salute è chiedere qualcosa di tutt’altro che contrario allo Stato di diritto. Per questi motivi, la situazione si presenta del tutto compatibile con l’ipotesi di differimento della pena, cioè lo scontarla definitivamente in una struttura esterna, in modo da potere essere curato meglio, rispetto alle limitate possibilità del carcere di Novara, e per cercare di impedire l’aggravamento delle sue patologie. In attesa di tale eventuale misura, si ricorda che è possibile, per evitare il tracollo di determinate situazioni, che a volte possa essere la stessa direzione sanitaria delle prigioni a collocare in strutture di cura esterna persone che ormai erano più pazienti che detenuti: è accaduto negli ultimi anni anche a nomi molto più noti, tra cui quello di Salvatore Riina, che aveva trascorso gli ultimi due anni di vita in struttura ospedaliera, di Bernardo Provenzano, collocato in struttura sanitaria esterna nell’ultimo anno circa, di Raffaele Cutolo, sistemato in un centro clinico esterno negli ultimi poco più di sette mesi e mezzo della sua vita; collocazioni, quindi, che si sono rivelate definitive. Sono alcuni tra i vari esempi possibili in cui il diritto alla cura è correttamente prevalso, per intervento di medici che avevano dichiarato i pazienti non dimissibili. Le parole di Maria Morabito, così, esprimono il più intenso auspicio a favore dell’affermazione dei principi del diritto, che comprendono anche i diritti dei detenuti; del resto, le leggi di emergenza, approvate dopo le atroci stragi del 1992 in Sicilia, erano però a cavallo tra costituzionalità ed incostituzionalità, e giustificate temporaneamente solo dall’emergenza: una emergenza che attualmente non sussiste più.
Ricciardi: “Più volte hai espresso il concetto che tuo marito, Pasquale Condello, era intenzionato a tenersi fuori da questioni relative alla ‘ndrangheta, ma si è poi trovato coinvolto, suo malgrado, in una guerra: puoi spiegare meglio questa molto drammatica dinamica? Ricordo anche, tra le altre cose, che Pasquale Condello è stato assolto riguardo l’omicidio ai danni di Paolo De Stefano, boss di Reggio Calabria…
Morabito: “Per risponderti voglio partire dall’infanzia di mio marito molto molto sfortunata. non per dare una giustificazione ai suoi sbagli…
Perché secondo me niente e nessuno devono portarci su strade sbagliate, ma è altrettanto sbagliato giudicare… di una cosa sono certa, che le situazioni socioeconomiche e familiari contribuiscono di gran lunga alle nostre scelte di vita. Mio marito è rimasto orfano da piccolissimo. La madre era rimasta vedova con 4 figli, di cui il più piccolo era un bambino paraplegico al 100%. Mio suocero è morto sul lavoro, oggi queste vengono chiamate morti ‘bianche, lavorava in una fabbrica di mattoni e un giorno ebbe un incidente: gli cadde addosso una montagna di creta. Oggi una morte del genere sarebbe risarcitoria per i familiari, ma allora non era così: mia suocera si è trovata nella miseria, cominciò allora a lavorare come colona in una vigna da cui ricavava il vino e lo vendeva, ma con tutto ciò non riusciva a sostenere la famiglia e allora ai due fratelli più grandi toccò l’orfanotrofio, da cui mio marito una volta scappò. Verso i 14 anni andò a lavorare in una officina per motorini, che erano la sua grande passione. Dopo il militare la sua vita cambiò, cambiarono le sue amicizie. Io ho conosciuto mio marito nel 1982, subito dopo il mio diploma e ci siamo fidanzati a settembre dello stesso anno. Io provengo da una famiglia cosiddetta “normale”, mio padre e nessuno dei miei parenti hanno mai avuto problemi giudiziari. Il matrimonio tra me e mio marito è stato un matrimonio d’amore; allora mio padre acconsentì, nonostante Pasquale aveva già una condanna per associazione mafiosa, perché lo conosceva da quando era un ragazzino e lo riteneva un ragazzo serio e lo stimava. “Dalla sua condanna per associazione mafiosa gli era rimasto allora un residuo di pena, che io sapevo che prima o poi doveva scontare. Cominciammo allora a fare i nostri progetti, il fratello maggiore in quel periodo stava aprendo un negozio di ceramica e bagni; lui intendeva mettersi a lavorare con suo fratello e cambiare vita, ora che stava per formare una famiglia. Dopo sposati, io aspettavo la prima figlia e vennero a casa per arrestarlo, per scontare quello che gli rimaneva da fare in carcere. Ad ottobre del 1985, dopo una bomba scoppiata a villa S. Giovanni nei riguardi di Antonino Imerti, dopo tre giorni ci fu l’uccisione di Paolo de Stefano. Come già detto, mio marito in quei giorni si trovava in carcere, non aveva fatto nessun colloquio e non aveva avuto nessun contatto con l’esterno. Infatti fu riconosciuto innocente sia dall’associazione che dall’omicidio di De Stefano. Nonostante ciò, mio marito uscito dal carcere qualche anno dopo, si è reso subito irreperibile, per paura di essere ucciso, poiché la prima vittima dopo l’uccisione di Paolo de Stefano è stato Francesco Domenico Condello il fratello di mio marito. Tutto ciò, a tre mesi esatti, nonostante mio marito non c’entrava niente con tutto ciò. Si susseguirono allora tante morti e cominciarono così le prime operazioni e i vari arresti e condanne con ergastoli e con queste i primi pentiti. Allora chi si sentiva riceveva tanti benefici, anche sull’espiazione della condanna. I processi che fecero a mio marito furono basati solo su dichiarazioni di pentiti con tante incongruenze tra di loro. In quel periodo venivano creduti anche senza riscontri. Ed in questa realtà mio marito ebbe le condanne all’ergastolo ostativo. Per quanto riguarda la morte di Ludovico Ligato, io personalmente non avevo mai sentito parlare di questa persona. Io penso che mio marito non c’entra niente con questo omicidio, perché lui non ha mai avuto interessi politico economici. In tutta la sua vita mio marito non è stato mai coinvolto con politici o con affari politici mafiosi; che interesse aveva per lui la morte di Ligato? Nessuna!! Io, per come ho conosciuto mio marito, è stato sempre una brava persona seria e rispettosa. Non è stato mai un uomo che ha rincorso ricchezze. La famiglia era ed è per lui il suo più grande bene. Ad oggi, mio marito non ha contatti con nessuno, da 13 anni di carcere ha incontrato solo me e i miei figli. Per quanto riguarda noi, non abbiamo più contatti con nessuno dei parenti Condello né con quelli fuori né con quelli che sono attualmente reclusi. Tutto ciò, dopo la separazione delle mie figlie con i loro mariti e il nuovo rapporto di mia figlia con un altro uomo. Abbiamo trasgredito le regole della famiglia (anche se mio marito è d’accordo con le figlie). Siamo diventati secondo loro il disonore della famiglia. Io invece dico che abbiamo raggiunto la nostra libertà !!!”
Ricciardi: “Negli anni tragici delle faide tuo marito, va detto, aveva escluso il traffico di droga dalle proprie attività, e non erano mancate tragedie anche subite: soprattutto l’assassinio del fratello; puoi esporre di più in che modo si svilupparono queste vicende?”
Morabito: “Mio marito non ha mai avuto processi per droga, non solo durante il periodo della faida, ma da sempre: non è stato mai interessato a questi traffici. era contrario, da quando ci siamo conosciuti, e me ne parlava: mi diceva sempre questo suo concetto: la droga è la rovina delle famiglie, i giovani distruggono la loro vita e spesso trovano la morte con queste sostanze; non vorrei mai trovarmi in una situazione del genere con un mio figlio. La droga per lui era una grande piaga, e per soldi non si può bruciare la vita degli altri. Per quanto riguarda la morte di mio cognato, quel giorno della sua uccisione, come già detto, mio marito si trovava in carcere. Era il 13 gennaio 1985, ricordo quel giorno come fosse ora: avevamo fatto il colloquio con mio marito, allora si trovava nel carcere di Reggio, in via S. Pietro. Usciti dopo il colloquio, io ero un po’ indietro rispetto a mio cognato, sentii dei colpi di pistola e vidi lui steso a terra. quando mi sono avvicinata era già morto. Lasciava una moglie e tre figli tutti piccoli. Voglio precisare che mio cognato non ha mai avuto a che fare con malavita, ha sempre lavorato non so perché quella morte. Quella è stata una guerra cruenta piena di vittime innocenti. In ogni guerra di cui si parla non ci saranno mai dei vincitori: siamo tutti vinti; ancora oggi ci sono madri ,mogli, figli, che piangono i loro morti. “
Ricciardi: “Pasquale Condello era stato definito “’U supremu”, il supremo, in dialetto calabrese, ed addirittura paragonato a Bernardo Provenzano, ma, nonostante alcuni errori del passato, non si è arricchito con proventi illeciti quanto altri; le vostre difficoltà economiche sono documentate. Puoi raccontare meglio questa situazione anche attuale?”
Morabito: “Non so perché hanno affibbiato questo soprannome a mio marito, mi sembra esagerato “supremo”… mio marito non ha mai cercato la ricchezza, anche se gli sono stati affibbiati miliardi, tesori, e quant’altro. Abbiamo sempre vissuto nella modestia, vivevamo in un palazzo di 4 piani: in tutto, 8 appartamenti. Al Pian terreno abitava mia suocera con il figlio disabile, al primo mia cognata, la vedova, e al secondo io; gli altri appartamenti, tra cui anche la scala, erano tutti rustici. Quando questo palazzo era stato costruito negli anni ’70, io non conoscevo ancora mio marito. Per come mi hanno sempre raccontato, è stato fatto con tanti tanti sacrifici. Allora mia suocera prendeva la pensione e pure quella di suo marito morto. Mio cognato, disabile al 100%, prendeva pure la pensione con accompagnamento e in più la parte della pensione del padre morto: in tutto 5 milioni di lire al mese, e mio cognato, Domenico Francesco, lavorava allora. Tutta questa documentazione non è bastata per non fare confiscare il palazzo. Una volta confiscato il palazzo, abbiamo dovuto lasciare i nostri rispettivi appartamenti. Pure mio cognato disabile!!! Nessun disabile può essere cacciato di casa!!! Mio cognato infatti da quel giorno non ha più sorriso, si è visto sradicare dalle sue radici dai suoi affetti!
Dopo un po’ di tempo è morto nel suo dolore. Io ho sempre vissuto con l’aiuto di mio padre, un commerciante, mia madre aveva una bottega di generi alimentari; siamo stati sempre benestanti. Andato in pensione mio padre, lasciò il suo negozio a mia figlia Angela: la più grande; appena sposata, avendo avuto la bambina, quasi subito lasciò la responsabilità del negozio a suo marito, oggi suo ex, ma questi lo ha gestito in modo disastroso!! Ha lasciato tanti debiti a mia figlia, sia con banche, con l’erario, e ora rischia di perdere pure la casa. Non abbiamo potuto far fronte a questi debiti. Io dopo essere stata cacciata dalla mia casa confiscata sono andata in affitto. Eravamo io, mio figlio e la più piccola, poiché Angela era già sposata. Tre anni dopo il matrimonio della figlia piccola, sono uscita dall’affitto, per risparmiare, e sono andata a vivere in casa di mia mamma e mio padre. Per pagare l’ultima rata del ristorante del matrimonio di mia figlia, ho venduto la mia macchina. È da allora che non ho una mia macchina, sto con una Panda condivisa: la usiamo io e le mie due figlie. Mio figlio ha solo una Punto furgonata che usa per il lavoro, se deve uscire con la fidanzata gliela presta suo cugino, il figlio di mia sorella… Tutte queste ricchezze presunte dove sono? Io ho bisogno di lavorare, da quest’anno sono in graduatoria a Roma per insegnare; è la prima volta che faccio domanda, perché mio marito non ha voluto che lavorassi, per poter seguire meglio i miei figli e anche perché mio padre non ci ha mai fatto mancare niente. Ora sono pronta anche ad andare fuori Reggio per poter insegnare. Io ho sempre imparato ai miei figli che si deve lavorare, che niente ci è dovuto. Nella vita bisogna fare sacrifici, tutti e tre i miei figli lavorano, ma devo riconoscere che i miei figli sono molto penalizzati per il lavoro; qualche anno fa una ditta a mia figlia Caterina è stata chiusa perché il padre è ritenuto mafioso… queste cose non sono affatto giuste, secondo me.”
Ricciardi: “Attualmente Pasquale Condello è molto cambiato rispetto a quando è stato arrestato nel 2008; provato da una carcerazione definita esplicitamente dura da coloro che gliela hanno applicata, subisce la misura estrema del 41 bis, ma da tempo non ha e non vuole avere rapporti con la devianza. Soprattutto soffre per una malattia che gli causa disagio mentale, parziale ma indiscutibile. Il regime di prigionia potenzialmente può favorire ed aggravare questa sofferenza, veramente straziante? Il carcere deve sì arrestare la possibilità di commettere reati, ma non rischiare di fare impazzire….puoi comunicare di più questa situazione? Una situazione che, data la cronica patologia, può fare prospettare un possibile differimento della pena , in forma stabilizzata.”
Morabito: “Mio marito è entrato in carcere nel febbraio del 2008. Quando vi è entrato godeva di ottima salute; è stato per nove anni nel carcere di Parma, dove ha iniziato a sentire scosse elettromagnetiche, qualunque cosa toccasse. Si trovava nell’area riservata del 41bis di Parma. Il 41 più duro . Nel 2012 ancora subiva queste torture che sono durate anni, ma un giorno di questo anno lo trovarono in cella incosciente e lo trasferirono immediatamente nell’ospedale di Parma. Gli furono riscontrati ematomi alla testa, che, curato, si riassorbirono. Di certo quegli ematomi non gli erano venuti per una caduta da letto o da qualsiasi altra caduta. Una volta rimesso dall’ospedale, abbiamo subito fatto un colloquio io e i miei figli e lo abbiamo trovato con lividi sotto gli occhi!!! Lui non ha detto niente in proposito e noi non abbiamo chiesto, perché pensavamo che erano dovuti agli ematomi alla testa che aveva avuto. Iniziò a non mangiare e non bere, perché diceva che gli mettevano cose nel mangiare e pure nell’acqua che lo facevano stare molto male. Ci ribadiva sempre che non è per mancanza di fame che non mangiava, ma per le cose che gli mettevano per farlo stare male. Abbiamo mandato allora un nostro medico per visitarlo e ci avvisò che, se avesse continuato in quel modo, sarebbe potuto morire. Era dimagrito tantissimo, era irriconoscibile. Allorché un giorno siamo partiti per Parma, ma ci fu detto che non si trovava a parma bensì nel carcere di Livorno in un centro psichiatrico. È stato a Livorno più di un mese e lì cominciò un po’ a riprendersi. Là era più tranquillo, non gli venivano emesse quelle scosse di cui lui si lamentava. Tornato a Parma, ricominciò a lamentarsi per le scosse e non poteva neanche lavarsi, perché con l’acqua soffriva di più; per anni non ha potuto fare la doccia né lavarsi i denti. Si puliva con fazzolettini imbevuti… e mio marito è stato sempre un maniaco della pulizia personale e della sua cura. 4 anni fa veniva trasferito nel carcere di Novara, dove eravamo contenti che le cose sarebbero migliorate per lui…ma abbiamo avuto una dolorosa sorpresa: mio marito diceva cose senza senso, sentiva voci fuori dalla sua stanza delirava!!!!!
Allorché mandiamo uno psichiatra da Reggio che lo visitò per 4 ore, gli fece pure dei test e ci disse che aveva deliri, che era un malato psichiatrico, che aveva bisogno di cura, ma mio marito non si è fatto mai curare perchè ha paura che lo vogliano uccidere. Ancora oggi ci esprime questa sua paura: non può certo continuare in questa situazione delirante!!!! Non so come hanno fatto in tutti questi anni a trattare così mio marito. Nessuna persona umana deve avere questi trattamenti, nessuna tortura di nessun genere deve essere fatta a qualunque uomo, chiunque egli sia e qualunque cosa abbia fatto!!!!! Quando andiamo a fare il colloquio, lo troviamo con una fascia in testa perché dice che ha dolori; sono anni che non vede i nipoti, i figli delle nostre figlie, perché non è in condizioni di farlo vedere ai bambini. I gemelli di 5 anni non lo conoscono: sentono parlare di questo nonno, ma non hanno presente la sua figura, solo qualche vecchia foto: tutto questo perché? Perchè doveva pentirsi e non lo ha fatto?”
Ricciardi: “Tuo figlio, Domenico Francesco Condello, aveva subito un arresto per scommesse clandestine con cavalli. Tuo figlio rimarca la sua innocenza rispetto all’ipotesi di associazione del delinquere, e tu stessa dici che è stata fatta pressione acuta su tuo marito affinchè si pentisse, e l’arresto di tuo figlio è stato fatto per il suo rifiuto. Inoltre, sottolinei quanto tuo figlio abbia sempre avuto l’aspirazione ad una vita limpida e nel segno dell’onestà, ma l’emarginarlo con misure giudiziarie, ingigantite rispetto alla realtà, che gli ostacolino il lavoro, è proprio un modo per ostacolare, di fatto, tale progetto di vita. Puoi spiegare ancora meglio tale situazione, della quale si auspica il superamento?”
Morabito: “Mio marito nel primo periodo del suo arresto ci raccontava che andavano a trovarlo in carcere e auspicavano un suo pentimento. Quando mio figlio ha subito il primo arresto, mio marito ci replicò che lo sapeva che sarebbe avvenuto, perché era stato avvisato che se non si sentiva avrebbero arrestato nostro figlio!!! Mio figlio è stato arrestato per favoreggiamento del padre. Lui aveva appena 20 anni…quella notte che sono venuti per prenderlo, io non credevo che fosse possibile una cosa del genere!!!!
Mio figlio arrestato!!!! Un bravissimo ragazzo onesto… io vedevo il futuro di mio figlio al di fuori dalla ‘ndrangheta, al di fuori da tutte queste cose!!!! Ma non è stato così, nel processo è stato condannato a un anno e 8 mesi per favoreggiamento: una sentenza basata solo su supposizioni senza nessuna prova!!! Quattro anni fa la storia si è ripetuta hanno arrestato mio figlio nell’operazione Eracle per corse di cavalli clandestine. Mio figlio non ha mai fatto corse clandestine, aveva solo il suo cavallo dove altri avevano i loro cavalli. Si è trovato là in mezzo. Mio figlio non ha mai fatto corse né tantomeno ha mai maltrattato il suo cavallo, tanto è vero che lo amava da morire e che curava tantissimo. Ora sono 4 anni che è iniziato questo processo e ancora non è finito neanche il primo grado. Oggi mio figlio ha 31 anni e una vita davanti a sé. Con la fedina penale sporca non può auspicare a un posto di lavoro non può fare domande o concorsi. Lui ad oggi comunque lavora, fa il rappresentante di prodotti semilavorati per pasticcerie e rivende bibite. Ha un regolare contratto di lavoro e partita iva. Questa estate gli hanno messo la sorveglianza speciale con divieto di uscire dal comune con rientro con orario a casa e con limite di entrare in luoghi pubblici dalle 17 in poi. La sorveglianza perché a questo ragazzo che non ha mai avuto una accusa di associazione mafiosa. Neanche il primo grado, quando finirà tutto questo? E intanto la vita di mio figlio continua appesa a un filo, appesa a una giustizia che non ha fine. E tutto questo non è giusto. Io spero che ci sia per mio figlio una giusta sentenza e che non venga più arrestato per cose che non ha fatto. Se sbaglia, che paghi, ma non pagare per errori mai fatti. Non lo trovo giusto. Mio figlio non deve pagare per essere “il figlio di”; non ha scelto lui di nascere in questa nostra famiglia. Mio figlio ha tanta voglia di potersi riscattare fare il bravo ragazzo quale è. E io spero tanto in tutto questo e prego Dio.”
Ricciardi: “Mentre attuavamo questa intervista, subito dopo questa tua risposta, è arrivata questa notizia, per te molto positiva, che offe un enorme sollievo: mi accennavi sia arrivata la revoca della sorveglianza per tuo figlio: puoi spiegare più precisamente cosa sia accaduto?”
Morabito: “L’altra sera aspettavo mio figlio come al solito il suo rientro a casa per le 19. Quando ho visto che erano le 19 e dieci mi sono subito preoccupata: mio figlio con 10 minuti di ritardo con una sorveglianza speciale e non era rientrato!!!!!! Allora l’ho chiamato subito e mi rispose che non doveva rientrare perché gli avevano tolto la sorveglianza!!!!! L’avvocato aveva presentato l’appello e i giudici avevano deciso. Ho letto e riletto la sentenza i giudici avevano stabilito che la prima condanna per favoreggiamento per il padre non era una condanna che dava i requisiti per una sorveglianza speciale, poiché non era condanna per mafia e c’era il rapporto padre-figlio, e non portava una gravità. Poi per quanto riguardava il processo Eracle, che è ancora in corso, mio figlio ha solo a carico una associazione delinquere comune. Non c’erano neanche i presupposti per detta sorveglianza, poiché Domenico Francesco ha sempre lavorato, migliorando oltretutto la sua attività lavorativa. Ha sempre mantenuto un comportamento esemplare, senza aver a che fare con pregiudicati. Ha condotto uno stile di vita conforme al suo guadagno. E ha provveduto con il suo lavoro al mantenimento della famiglia!!!! Giustizia è stata fatta!!!! Mio figlio è stato riconosciuto per quello che è stata riconosciuta la sua vita e condotta al di fuori della cosca Condello, nonostante è il figlio del presunto “boss” Condello Pasquale. Questa è la conferma che non per forza i figli dei boss diventeranno di conseguenza dei boss. Io ho sempre cresciuto i miei figli con idee oneste legali con dedizione al lavoro. Oggi sono soddisfatta e felice, ma non è finita: da oggi ancor più mio figlio dovrà dimostrare questa sua estraneità a delinquere. Grazie Antonella Ricciardi, per avermi dato questa possibilità di farmi conoscere e far conoscere la mia famiglia !
Ci ho messo il cuore in questa intervista, tutto il mio sentimento di moglie di madre. Tutto è verità, tutto può essere documentato! E’ la mia storia, la storia di una famiglia che voleva vivere degnamente, ma è stata battuta dal destino avverso. Sia lodato Gesù!!!
Introduzione e quesiti di Antonella Ricciardi; intervista ultimata il 28 febbraio 2021