Veterinari: più donne che uomini. Le veterinarie sono oltre la metà (51,8%)
Più donne che uomini. Le veterinarie rappresentano oltre la metà di una professione, quale quella veterinaria, che sino a qualche decennio fa, nell’immaginario collettivo era rappresenta da uomini. Sono ben il 51,8 %, quasi tutte libere professioniste, titolari di Partita Iva o a regime agevolato/forfettario, e ritengono “irrinunciabile” l’indipendenza economica (95%). D’altro canto lamentano delle criticità quale il proprio reddito ritenuto “insoddisfacente” per il 44% di loro e per tale ragione invocano politiche di sostegno economico-finanziario da parte dello stato. Su tutte quelle relative alla maternità. A segnalare quest’esigenze e la realtà della professione al femminile, l’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani – ANMVI, in una ricerca dalla quale emerge una “questione di genere” concreta e priva di luoghi comuni e non meno rilevante rispetto ad altri settori. La stragrande parte del campione preso in esame (90%) è in attività professionale e il settore prevalente è la medicina veterinaria per animali da compagnia. Ha un’età compresa fra i 30 i 50 anni (il 64% del campione) ha almeno un figlio (48%) e vorrebbe più tempo da dedicare alla famiglia attuale o di origine (70%). Le veterinarie chiedono di non dover essere costrette a scegliere fra vita extra-professionale e carriera professionale. Dal punto di vista lavorativo si trovano prevalentemente (42%) in posizioni di collaborazione presso realtà societarie o associative delle quali sono ancora poche quelle al vertice come direttrici sanitarie, comproprietarie di quote o titolari (23%). L’80% delle partecipanti non ha mai ricoperto ruoli di vertice in ambito veterinario. L’esser donna e lavoratrice vuol dire anche maternità e genitorialità. L’88% chiede sostegni strutturali allo Stato più che alle organizzazioni di categoria. Il 51,5% vorrebbe sostegni al lavoro domestico per poter ridurre il carico di lavoro extra professionale. Conciliare il tempo di lavoro con quello extra-professionale è un’abilità che riesce a poche (16%). Solo il 19% auspica una riduzione del carico in ambulatorio. E per il 52% delle rispondenti il tempo da dedicare all’aggiornamento professionale è “insufficiente”. Quando c’è discriminazione (23% sì, 22% a volte) verso la veterinaria donna, essa proviene soprattutto dai clienti (33%). In generale, la discriminazione è dovuta principalmente a pregiudizi sulle capacità professionali (66%) e alla resistenza culturale a guardare alla donna come al “dottore” e non a una figura ausiliaria. Un dato che fa riflettere è il 45% d’intervistate che intravede un’esposizione al rischio di discriminazione e di violenza di genere. Nei rapporti con i più stretti colleghi di lavoro, le veterinarie si confermano ben poco influenzate dal genere. Nei commenti liberi, le partecipanti sottolineano come la maternità, in atto o potenziale, sia un fattore sfavorevole nei colloqui di lavoro o per il mantenimento dei rapporti di lavoro. Ma il gender gap, per il 63%, è un problema culturale generale universale che va oltre lo specifico della veterinaria (solo il 15% pensa che la mancanza di pari opportunità per le donne veterinarie dipenda da fattori endogeni della Categoria). Un 10% attribuisce delle responsabilità alle stesse donne. Un dato che, tuttavia, ci preme evidenziare e che comunque abbiamo già sottolineato in passato, è il numero notevole di donne veterinarie che sono state costrette ad emigrare in altri Paesi, su tutti la Gran Bretagna, per le conseguenze del gender gap che è comunque emerso dall’indagine in commento e la crisi più in generale che stanno attraversando le libere professioni da almeno un decennio. È, quindi, del tutto evidente che le misure governative indicate e risultanti dallo studio in questione debbano necessariamente sommarsi a più generali interventi a tutela dell’intera categoria e ciò a partire da una concreta diminuzione del carico fiscale, un sostegno economico di base ai neoiscritti agli ordini professionali anche per l’avviamento degli studi e incentivi per tutti quei cervelli in fuga all’estero e che vogliono rientrare in Italia per tentare nuova fortuna.