La dignità dei precari e il fallimento del sistema di reclutamento degli insegnanti

Marzo 2020. Un mese, un anno che resteranno a lungo impressi nella mente, che conquisteranno di diritto un posto nella storia del XXI secolo. La drammatica pandemia, che ancora oggi attanaglia la nostra esistenza, irrompeva con violenza generando angoscia, paura e senso di smarrimento.
Quel triste periodo però ha tenuto ancor di più con il fiato sospeso il mondo della scuola. Studenti, personale ATA, insegnanti e dirigenti improvvisamente si sono ritrovati catapultati in una esperienza mai vissuta fino a quel momento: la sospensione di ogni attività in presenza e l’inizio della didattica a distanza. Impreparati a fronteggiarla con strumenti tecnologici adeguati, la DAD si è risolta in un giusto compromesso tra corpo docente e alunni per superare entrambi indenni l’ostacolo e far sì che la scuola, seppur digitale e a distanza, continuasse a rappresentare un punto di riferimento culturale e sociale.
Nonostante i numerosi sforzi profusi, l’ammirevole impegno, la pandemia e la DAD hanno evidentemente acuito le disuguaglianze sociali, ampliato la dispersione scolastica e messo a nudo le scellerate scelte politiche, non soltanto recenti, che hanno relegato, da tempo, la scuola ad istituzione di secondaria importanza nel percorso umano e formativo di ogni cittadino. Ad aggravare ulteriormente la situazione, l’incapacità politica di risolvere una delle piaghe che, ad oggi, non accenna a sanarsi: il precariato. Infatti, l’anno scolastico 2019/2020, nonostante l’allarme lanciato dai principali sindacati e da alcuni partiti, è iniziato con un numero spropositato di cattedre vacanti, assegnate, ancora una volta, ai precari, tanti dei quali di lungo corso. E con ogni probabilità i prossimi anni vedranno verificarsi la medesima situazione.
Insieme ad altre categorie di lavoratori, anche per gli insegnanti dunque il 2020 è un anno da ricordare. Ad aprile, il Ministero dell’Istruzione pubblicava il bando per il concorso straordinario, riservato ai docenti con almeno trentasei mesi di servizio, finalizzato all’immissione in ruolo dall’anno scolastico 2020/2021 di 32.000 insegnanti. Nelle intenzioni del Ministro Azzolina, allo straordinario avrebbe dovuto far seguito un concorso ordinario per i neolaureati ed un altro per il conseguimento dell’abilitazione. Il protrarsi dell’emergenza sanitaria e le forti opposizioni interne alla maggioranza hanno tuttavia decretato lo slittamento delle prove dello straordinario ad ottobre 2020; a data da destinarsi per le altre due procedure.
All’origine dello scontro il sistema di reclutamento. Facendosi portavoce delle istanze dei precari e forte del sostegno compatto delle principali sigle sindacali italiane, il Pd chiedeva di sospendere lo straordinario e di assumere i docenti, che avessero almeno un’esperienza triennale di insegnamento, attraverso un concorso per titoli e prova orale. A contrastare questa possibilità i senatori e i deputati a Cinque Stelle, fermamente convinti che il progetto del Pd significasse in realtà promuovere l’ennesima sanatoria, che avrebbe consentito l’accesso al pubblico impiego a personale non adeguatamente formato perché non sottoposto ad una prova scritta che ne accertasse le conoscenze e le competenze.
Nel timore di provocare una crisi di governo su un tema, quello della scuola, che nei fatti e nel dibattito politico era diventato secondario, il Pd ha finito per cedere alla pressione del Movimento fondato da Beppe Grillo, lasciando campo libero alla crociata culturale bandita dai pentastellati nei confronti dei precari. Ad esempio, in un lungo messaggio su Facebook, la senatrice Bianca Laura Granato, ora membro del gruppo L’Alternativa c’è, affermava che la scuola fosse diventata un enorme bacino occupazionale in cui trovava conferma, a suo avviso, il detto chi insegna, non sa. In sostanza, i precari nella rappresentazione della parlamentare diventavano non professionisti sulle cui spalle grava da anni il funzionamento della scuola pubblica, tenuto conto delle 200.000 supplenze annuali, ma lavoratori che casualmente svolgevano il proprio lavoro. Addirittura, all’accesso non controllato di insegnanti precari nella scuola era da attribuire la corresponsione di stipendi tra i più bassi d’Europa.
In sintonia con la senatrice Granato, il Ministro Azzolina, strumentalizzando l’interpretazione della Costituzione italiana, ricordava a ogni piè sospinto che l’accesso agli incarichi pubblici avvenisse esclusivamente tramite concorso, gli unici a poter effettivamente valutare il merito. Che poi il concorso per titoli e colloquio fosse anch’esso una regolare modalità di valutazione passava, nelle narrazioni del Ministro e dei parlamentari Cinque Stelle, in secondo piano. A ben leggere, invece, il comma terzo dell’articolo 97 della Carta Costituzionale prescrive, in maniera chiara, che “agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. Per cui un concorso per titoli e prova orale è da considerarsi a tutti gli effetti valido; se così non fosse andrebbero evidentemente invalidati i processi selettivi universitari per ottenere un assegno di ricerca, diventare ricercatore, professore associato o ordinario.
Ma al di là delle disquisizioni costituzionali sulla validità di una procedura rispetto ad un’altra, è lapalissiano che in piena emergenza sanitaria sia stata condotta una battaglia culturale nei confronti dei precari e che ne sia stata evidentemente calpestata la dignità professionale. Senza concedere alcun diritto di replica, i professori che avevano maturato, in alcuni casi, una esperienza decennale sono stati ingiustamente accusati di voler ricorrere a scorciatoie per aspirare all’agognato, e meritato, contratto a tempo indeterminato. All’unisono, i principali quotidiani e telegiornali nazionali si sono associati alla vulgata a Cinque Stelle per cui era un insegnante meritevole soltanto chi avesse superato un questionario a risposta multipla o aperta.
Lo scontro, di fatto ideologico, tra due diversi modi di concepire l’accesso al ruolo nascondeva in realtà l’ennesimo fallimento del sistema di reclutamento italiano dei docenti. In barba alle direttive della Commissione Europea – nello specifico quella 1999/70 – che stabiliscono l’obbligatorietà per uno Stato membro di non reiterare il ricorso a contratti a tempo determinato, l’Italia continua a servirsi annualmente degli insegnanti precari, licenziandoli al termine dell’anno scolastico per poi richiamarli ancora alle armi all’inizio del nuovo. Eppure, la soluzione sarebbe a portata di mano, pienamente rispettosa del dettame costituzionale: il ripristino del doppio canale di reclutamento, sperimentato con successo dall’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – allora Ministro dell’Istruzione – con la legge 417 del 1989. In sostanza, situazioni emergenziali giustificano ancor di più l’adozione di misure straordinarie per il reclutamento.
Restando ferma la necessità di bandire con cadenza almeno biennale concorsi ordinari per i neolaureati, si dovrebbe garantire l’accesso al ruolo a chi ha maturato una lunga esperienza di insegnamento, valutandone i titoli culturali e di servizio, mettendone alla prova le capacità di condurre una lezione e gestire una classe attraverso un esame orale. Verrebbe così salvaguardata la Costituzione, rispettato il diritto dei cittadini ad accedere alla Pubblica Amministrazione. Verrebbe soprattutto ridata dignità agli insegnanti precari.

Condividi questo articolo qui:
Stampa questo post Stampa questo post