Metabolismo, leptina e scompensi grassi/carboidrati
La parola metabolismo indica “il complesso delle trasformazioni chimiche, degli effetti energetici concomitanti e dei fenomeni fisici […] che avvengono nelle cellule, nei tessuti e negli umori di un organismo vivente, animale o vegetale e che assicurano la conservazione e il rinnovamento della materia vivente” (http://www.treccani.it/vocabolario/metabolismo/). La bioenergia è di primaria importanza per la vita degli organismi sulla Terra. L’MB, il metabolismo basale, indica il consumo di energia per le attività vitali e le funzioni essenziali, ed è un’informazione fisiologica presente nel patrimonio genetico degli esseri viventi, quindi è un dato trasmissibile connaturato e strutturale dell’eredità biologica. Alcuni studiosi sostengono che le persone obese posseggono un indice “Basal Energy Expenditure” ridotto e che, quindi, tendono al “risparmio” energetico rispetto ai normopeso, ma questa formulazione però non convince un copioso numero di esperti: la parola “dieta” deriva dal greco δίαιτα, che vuol dire “modo di vivere”, quindi, secondo questi specialisti, il BEE diminuisce se vengono introdotte le chilocalorie adeguate e questo valore permane anche con un’alimentazione normale successiva. Genere, età, fattori contestuali e componenti individuali condizionano il metabolismo basale: il BEE viene condizionato anche dal tabagismo, da alterazioni organiche, da scompensi funzionali, da medicinali. Le attività sportive sono molto indicate per accrescere il valore dell’MB, ovviamente l’alimentazione deve essere calibrata su tale “modo di vivere” mediante cibo sano e quantitativi corretti. Il consumo di “junk food”, il “cibo spazzatura” con alte concentrazioni di “quantum” lipidico, porta ad un accrescimento numerico degli adipociti che può arrivare fino a 100 miliardi nelle persone sofferenti di obesità, mentre il numero usuale dei lipociti nei soggetti normopeso è all’incirca 25-30 miliardi (Cfr. https://www.my-personaltrainer.it/fisiologia/tessuto-adiposo.html). Il novero delle cellule fisse del tessuto connettivo non è determinato dal patrimonio del DNA, ma un folto gruppo di cellule staminali si tramuta in preadipociti, per poi diventare cellule adipose. Tale processo si chiama “adipogenesi” e si innesca a causa del “Peroxisome Proliferator Activated Receptor gamma” (PPARγ) (Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/adipogenesi_(Dizionario-di-Medicina)/). L’adipogenesi non è regrediente: una volta nata, la nuova unità morfo-funzionale non si estingue col tempo, e quindi la persona sarà predisposta ad imbolsirsi ed avrà maggiore inclinazione all’obesità.
Il nome dell’ormone leptina deriva dal greco λεπτός, che vuol dire “snello”: questa sostanza, lavorando sull’ipotalamo, ha un compito determinante perché disciplina la sensazione di fame. Quando la “Fatty Mass” (FM) del soggetto si sviluppa, il cervello riceve l’informazione che l’adipe corporeo è adeguato alla funzionalità richiesta. La leptina dunque abbatte la sensazione di fame, ma se il recettore LEPR, detto anche OB-R, varia geneticamente, allora si parla di “resistenza” alla leptina: questa situazione, quando c’è iperalimentazione, può portare all’obesità. La leptina ha anche altre implicazioni sul corpo umano, in quanto influisce sul composto organico del glicosio, sugli acidi grassi e sul “Resting Energy Expenditure” (REE): quindi questa citochina può essere considerata un agente contro la massa grassa. Alcuni esperti sostengono che la massa grassa è una complessione dinamica, una struttura attiva che influisce sul regime alimentare e l’appetenza diverrà maggiore in maniera direttamente proporzionale all’accumulo dei depositi adiposi. Se lo “stile di vita”, la δίαιτα di reminiscenza ellenica viene compromessa da usi e modalità non adeguati, le ripercussioni possono essere deleterie: la prima colazione e il pasto di mezzogiorno sono gli appuntamenti che le persone obese disertano più frequentemente per poi compensare in orari inconsueti, con una velocità di masticazione sostenuta, con cibo a profusione e un grande apporto di idrati di carbonio e di grassi saturi e idrogenati: questi ultimi sono i maggiori colpevoli del veloce aumento di peso per quei soggetti che sono predisposti ad assorbire “dosi energetiche” maggiori.
Siccome studi recenti hanno dimostrato che le persone affette da obesità sottostimano l’entità della roba da mangiare che divorano e mostrano un maggiore consumo di grassi rispetto agli idrati di carbonio, cerchiamo di focalizzare la nostra attenzione sulle conseguenze di tale habitus. Il cibo “insaporito”, cioè con forti concentrazioni di sale, o “zuccherino”, con forti dosaggi di zucchero, è la vivanda maggiormente gettonata dalle persone in sovrappeso; i dinamogeni, cioè gli alimenti energetici, sono ricchi di amido che arrecano vantaggi e giovamenti al corpo e alla psiche: i carboidrati, però, esigono un’energia superiore per essere bruciati, pertanto, mentre questa operazione avviene normalmente, i lipidi tendono a depositarsi. L’ipotalamo dà avvio al comportamento di risposta dell’appetenza, un effetto che implica il bisogno di alimentarsi: i macronutrienti energetici, cioè i carboidrati complessi, diminuiscono il senso di fame e portano ad un appagamento dal cibo arrecando la sensazione di pienezza, mentre gli alimenti ricchi di grassi non danno il sentore di sazietà portando la persona a ingozzarsi e ingurgitare cibo fuori misura. A questi scompensi vanno sicuramente aggiunti i fattori abiotici dell’ecosistema del vivere quotidiano, che hanno determinato comportamenti non salutari per la vita dell’uomo sulla Terra: siamo ormai avvezzi ad utilizzare l’automobile anche per coprire distanze esigue, salire poche scale viene evitato con l’uso/abuso dell’ascensore, per non parlare dell’utilizzo professionale e/o casalingo del computer e quello degli elettrodomestici.