Missione umanitaria a Kanzi per l’acqua di lunga vita

A seguito del recente attentato all’Ambasciatore italiano, Luca Attanasio, nella Repubblica Democratica del Congo, si ritiene opportuno condividere la missione umanitaria in Congo, avvenuta nei mesi di luglio agosto dell’anno 2014 per merito di un ricercatore laico e la “guida”, un prete cattolico congolese, missionario benedettino. Essendo una peculiare e intensa “esperienza vissuta”, il racconto è stato suddiviso in steps, momenti particolarmente significativi per comprendere l’interazione socioculturale tra la cognitiva “visione del mondo” del ricercatore, cioè il corpo di conoscenze e credenze, il suo sentimento che attraverso un giudizio di valore esprime il rapporto con il “mondo reale” e la coerenza di fini, ideali e principi di condotta che ha riscontrato nella praxis.
Dopo un’attenta valutazione del luogo dove realizzare l’opera umanitaria, i due missionari, il laico e il clericale, s’imbarcarono in aereo ai primi di luglio, con scalo Bruxelles, qui, il laico, ebbe la prima raccomandazione da parte della guida << da questo momento siamo sotto osservazione dei servizi segreti, attento ai ruandesi, e indicando, quello è un prete ruandese>>. Non si aspettava una gravità di sorveglianza di questo genere per una missione umanitaria né ci credeva, e neanche immaginava cosa lo aspettava. La cosa iniziò a rendersi chiara quando, dopo circa nove ore di viaggio, sbarcarono a Kinshasa senza dichiarare la missione umanitaria, né di essere sociologo e geometra, perché opportunamente consigliato. La cosa che in primis lo impressionò fu un cattivo odore che sentiva nell’aria, l’attenta osservazione che riceveva dalle persone in aeroporto e la raccomandazione: <<non lasciare mai di mano il tuo bagaglio neanche vicino ai tuoi piedi>>.
All’uscita dall’aeroporto cominciò a capire, l’area era completamente circondata da militari in stretta sorveglianza, la guida allontanava con forza qualsiasi porteur che si avvicinasse, c’era un brulicare di persone. Vecchie e sgangherate auto e furgoni adattati al trasporto passeggeri colmi di persone che si aggrappavano anche sui tetti dell’auto, si spostavano a forte velocità su strade sterrate in un alone di smog e polvere. Questo era il cattivo odore, polvere e smog come una nuvola sull’aeroporto. Ad attenderli c’erano la madre superiora, Brigitte e una novizia, Bea Bea, che li trasportarono con una jeep al Monastere de l’arbre de vie (Kinshasa) R.D.P., la prima tappa. I tre giorni presso il monastero furono caratterizzati da intensa meditazione, preghiera e dal confronto, delle rispettive Weltanschauung, il modo in cui i due missionari consideravano l’esistenza, i fini del mondo e la rispettiva posizione di uomo nel mondo.
Avevano una visione del mondo alquanto diversa, che si concretizzò sui concetti, della “natura naturante”, in altre parole la natura che produce la sua stessa realtà, come perpetua attività generatrice che compie il suo divenire senza sosta, seguendo leggi intrinseche ad essa, contrapposta alla “natura naturata”, voluta da Dio e quindi perfetta e immutabile. La natura divina in sé o natura creata da Dio? E ancora, i diversi punti di vista sulla divisione cartesiana tra res cogitans e res extensa, da ritenere sbagliata in quanto la res, la sostanza è unica e coincide con Dio o con la natura divina in sé?
Seppure con questa differenza di Weltanschauung, rispetto al da farsi avevano un unico obiettivo, la realizzazione dell’opera umanitaria preposta ad ogni cosa. Si procurarono una jeep, comunque non in perfette condizioni perché perdeva acqua, per percorrere più di 1000 Km tra savana e foresta. Come due cavalieri templari che cavalcano uno stesso cavallo, si avviarono verso le successive vicissitudini: raggiungere la città di Boma, la tribù dei primitivi, la divinità arcaica, (la madre di gemelli a cui attribuivano dei poteri straordinari), la costruzione del pozzo d’acqua nel villaggio Kanzi, gli attentati civili e militari, giungere al mare, ritornare a Kinshasa e in Italia.

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