Tratti e connotazioni del dipendente affettivo
Il giudizio valutativo soggettivo che il dipendente affettivo ha di sé è misero, il senso di mediocrità lo pervade, e prova talvolta il sentore dell’abbandono e il timore dell’emarginazione. Dipendenza affettiva ed equilibrio emozionale verso sé stessi sono due concetti in antinomia, incompatibili e difformi: nel terzo libro della Bibbia, il Levitico, si legge “Ama il tuo prossimo come te stesso” (https://www.bibliacatolica.com.br/it/la-bibbia/levitico/19/), ma il dipendente affettivo non sa farlo perché il dettame biblico non ha accezione nella sua psiche, inoltre è lui che desidera essere amato per pervadere le carenze dell’anima. Talvolta provano disturbi atelofobici, si sentono manchevoli e inidonei, ed hanno un basso amor proprio, e perciò è acquiescente e conciliante, malleabile e cedevole alle esigenze del partner, anche se in contrasto con i suoi concetti etici primari: la condizione di insicurezza in cui versa, unita alla sindrome dell’abbandono, lo rende altamente indulgente e permissivo, e affida al partner la propria indipendenza, il quale ha una facoltà di azione senza limiti.
Per il dipendente affettivo l’appagamento è un fenomeno esogeno, e non immagina, o meglio non può immaginare, che ha origine nel profondo. Protagonista di esperienze frustranti, è inappagato ed infelice per lo struggimento e le afflizioni della propria interiorità, di quella “totalità psichica” del “sé personale” di junghiana memoria: non ha cognizione delle sue doti intellettuali, delle sue virtù morali, annichiliti dal diniego del sé, pur avendo una grande nobiltà d’animo, una rilevante generosità e una considerevole munificenza. Ovviamente esiste una tassonomia peculiare variegata del dipendente affettivo a seconda del vissuto e del background: il cammino che ha portato alla sofferenza sentimentale è un dedalo pieno di “nuance” esperienziali soggettive. La sua natura introspettiva è manchevole, incompleta, non finita. Le comuni peculiarità vanno rintracciate nella forte bramosia d’amore e nel demandare ad altri oneri ed onori della propria esistenza; conforma i propri convincimenti verso chi ha grande carisma e ascendente, cosa rischiosa se chi ha “appeal” è una guida antieroica; professionalmente è uno stacanovista, o forse è meglio usare il termine anglosassone “workaholic”, neologismo che il Vocabolario Treccani usa per definire colui che “dipende, in maniera ossessiva, dal proprio lavoro; maniacalmente dedicato al lavoro” (http://www.treccani.it/vocabolario/workaholic_(Neologismi)/); è alla ricerca della considerazione e del “placet” altrui; non ha coscienza di sé e vive insciente del calibro e della levatura che possiede; quando si innamora non ama, idolatra l’oggetto mitizzato dei suoi interessi che è trasfigurata quale deità terrena; è permissivo: la sua indulgenza alla disistima e al biasimo è molto vasta; appare più che essere: la metafora della maschera pirandelliana ben si addice a chi non ha un “volto” psicologico; vive un senso di colpa inconscio, e si vergogna, in quanto il “sé ideale” e il “sé reale” sono lontani; nei periodi di difficoltà si dona agli altri venendo in aiuto per il consueto assenso. Uno dei nemici del dipendente affettivo è il tempo: il trascorrere degli eventi potenzia la condizione patologica dell’errata stima di sé. È incline ai condizionamenti sociali, non è libero di agire, emula l’“habitus” e la condotta altrui assimilando energie negative. Si dedica con generosità alla persona amata provando piacere, calpestando l’amor proprio e talvolta la propria dignità, e, amando le situazioni stazionarie, assume una staticità assoluta nei legami sentimentali. È un soggetto ansioso: il logorio psico-fisico lo assale, e la sua necessità di premure lo rende simile ad un “vampiro energetico”. Lo stato emotivo in cui vive è quello del sospetto e del timore di perdere l’“oggetto” amato: ha paura del rifiuto, prova terrore di essere lasciato, ed è per questo che spesso genera un rapporto pesante e opprimente che sortisce l’effetto opposto. Millanta per galanteria, è mendace per compiacere il partner mimetizzando il suo punto di vista per non deludere.