Freddo e gelate, i danni nel settore agricolo della Campania. L’analisi della Federazione Agronomi Campania
A rischio le colture ortive e i frutteti nella pianura Casertana. La viticoltura ad Avellino e Benevento.
Il forte abbassamento delle temperature e la neve registrata anche a bassa quota, (350-400 metri) che ha interessato la Campania in questa prima settimana di aprile, ha creato non pochi problemi al settore agricolo, già fortemente in difficoltà e lungamente provato dalla pandemia.
Sono in corso le verifiche dei danni causati da questo ritorno dell’inverno con temperature tornate a scendere sotto lo zero.
“A far paura – spiega Ciro Picariello Presidente della Federazione Regionale degli Ordini dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Campania – non è stata la neve, ma le basse temperature che sono arrivate subito dopo. Temperature che per due notti di seguito sono arrivate a 5,6 gradi sotto lo zero, fanno tremare gli agricoltori e gli imprenditori agricoli, vista la delicata fase vegetativa delle colture. In questo periodo – sottolinea Picariello – le piante, ortive e frutticole, hanno iniziato la delicata fase di risveglio vegetativo, che le rende vulnerabili a tali ritorni di freddo. A rischio ancora una volta le colture agricole, frutteti, vigneti, ortive. Tutto questo non fa dormire il mondo degli imprenditori agricoli, che sanno del rischio che si corre, veder compromesso il reddito di un anno di lavoro, in una notte”.
Notevoli danni si registrano nelle provincie di Avellino, Caserta e in alcune aree del beneventano, dove è in corso da parte dei tecnici agronomi il bilancio degli effetti provocati dal meteo in tutte le zone della Campania.
“Il danno da gelata – evidenzia Picariello- è visibile sulla vegetazione solo a distanza di qualche giorno dall’evento. Danni ingenti si sono verificati alle colture ortive precoci presenti nelle zone più fertili della pianura Casertana, ma anche ai frutteti già in fiore, come pesco, ciliegio, albicocche, ecc. Nella provincia di Avellino e di Benevento si lamentano danni per la viticoltura. I vitigni più colpiti sono quelli autoctoni a bacca bianca che si trovano nella delicata fase di germogliamento mentre i vitigni a bacca nera come l’aglianico, non hanno avuto problemi perchè ancora in riposo vegetativo”.
“L’agricoltura – aggiunge Picariello – fa i conti anche con il cambiamento climatico e sta pagando lo scotto più grande. Gli eventi climatici estremi hanno infatti un forte impatto sulle produzioni agricole e di conseguenza sui redditi delle aziende, producendo perdite produttive ed aumenti di costo.
Gli imprenditori purtroppo, non hanno molti mezzi a disposizione per prevenire e difendersi da queste calamità. La tecnica di aspersione a pioggia micronizzata sopra chioma, i miscelatori di aria con ventole, i generatori di calore con candele, non possono essere applicati per l’orografia dei nostri territori ma soprattutto per l’eccessivi costi dei mezzi di difesa rispetto al reddito annuo ad ettaro dell’azienda agricola. Queste tecniche spesso usate per aziende di medie e grandi dimensioni sarebbero per le nostre zone molto onerose e anti economiche.
In questi momenti delicati emerge il valore delle competenze professionali di agronomi e forestali capaci di una gestione tecnico-professionale mirata anche a contrastare questi fenomeni climatici.
“Per i fruttiferi e per i vigneti – afferma Picariello – le buone tecniche agronomiche di potature ritardate e la scelta di impiantare varietà tardive nelle zone più basse per cercare di sfuggire alle gelate tardive sempre più frequenti”.
Oggi le condizioni climatiche prevedono un miglioramento, il che fa ben sperare gli imprenditori agricoli
“Occorre – conclude Picariello – incentivare una difesa passiva delle colture cioè quella di prevenire il danno incerto con quello certo annuo, con polizza assicurativa, utilizzando il fondo di solidarietà nazionale o attraverso la misura 17 del PSR ai sensi dell’art. 36 del reg. UE 1305/2013 che consente di coprire anche più eventi climatici avversi. Purtroppo questa pratica largamente diffusa nel nord Italia è poco utilizzata nelle nostre zone”.