Infanzia scomparsa, ma non per il calo delle nascite
Da tempo si dibatte sul drammatico e, pare, inarrestabile fenomeno dell’infanzia scomparsa. Psicologi, sociologi, pedagogisti, docenti, psicoterapeuti, pediatri analizzano il “problema”, fanno considerazioni e proposte ma la risoluzione del problema si presenta alquanto complessa e non appare vicina nel tempo.
Alcuni, con una notevole superficialità, spiegano il fenomeno dell’infanzia scomparsa con il calo, costante e progressivo, delle nascite ma questi ignorano, o fanno finta di ignorare, che i bambini sono sempre esistiti ma l’infanzia no.
Già negli anni ’80 (1982) Neil Postman (New Jork Citi 1831 – 2003), sociologo, educatore, tecnico dei media e critico culturale nel libro “The disappearance of childhood – La scomparsa dell’infanzia” sosteneva che l’avvento della cultura dei computer avrebbe eliminato l’asimmetria nella relazione adulto-bambino e avrebbe rivoluzionato non poco il sistema scolastico. La maggiore facilità da parte dei bambini nell’acquisire la tecnologia elettronica avrebbe capovolto il gap culturale rispetto agli adulti. Purtroppo, la profezia di Postman non solo si sta realizzando ma in parte si è già realizzata, anche se per motivi diversi: il mondo adulto ha paura del futuro e con i bambini non condivide più sentimenti, anzi li considera “esseri potenzialmente pericolosi” e l’azione dei media elettronici sta portando lentamente alla scomparsa dell’infanzia come categoria: guardare la televisione non richiede particolari competenze alfabetiche cosicché il bambino può attingere a contenuti che nella società tradizionale erano accessibili all’individuo solo quando entrava nell’età adulta, ovvero quando aveva sviluppato un’adeguata capacità di comprensione e valutazione. La conseguenza è che l’infanzia sta progressivamente scomparendo per lasciare il posto ad un soggetto ibrido, il “bambino adulto” che, privato della sua infanzia, non è mai abbastanza maturo per assumere nei confronti di ciò che vede un serio atteggiamento critico.
L’esperto di Pedagogia e Didattica Mario Maviglia recentemente, 5 gennaio 2021, ha stigmatizzato l’atteggiamento del nostro Paese riguardo ai temi dell’infanzia e alle sue istituzioni educative, un atteggiamento di disattenzione, incuria e disinteresse, come se la vecchiezza che caratterizza l’età media della popolazione italiana impedisse di scommettere sul futuro, di puntare sull’infanzia e sui giovani.
Pietro Barbetta, Direttore del Centro di “Terapia della Famiglia” di Milano e Docente di Psicologia dinamica e Teorie psicodinamiche dell’Università degli Studi di Bergamo, sulla “scomparsa dell’infanzia” ha scritto che “ciò che va scomparendo non è l’infanzia ma l’idea che l’infanzia sia una fase della vita da proteggere. I bambini sono diventati potenziali individui pericolosi, abitati dall’impulsività e potenziali adulti improduttivi come nei casi di autismo. Questo giustifica che la loro infanzia venga rapita dalla tecnologia”.
Non a caso il pediatra e psicoanalista Donald Woods Vinnicot (Londra 1986 – 1971) nel rivolgersi alle madri sosteneva che è indispensabile riprenderci l’infanzia e riattivare codici materni e, amaramente, concludeva “quel sapere degli affetti, dei sentimenti, dov’è finito?”.
La sociologa Maria D’Amato nel dossier “Lo sguardo degli adulti sui bambini” sul mensile “Vita Pastorale”, n. 3, marzo 2021, impietosamente ha scritto che “I bambini scompaiono perché ne nascono sempre meno, ma soprattutto perché gli adulti, trattandoli da grandi, finiscono pe annullarli. Un’aporia tutta italiana che attribuisce ai piccoli importanza ma non li accoglie nella loro specificità. Adulti e bambini non si distinguono perché fanno le stesse cose: guardano la TV, giocano con videogiochi, navigano su Internet, si vestono, mangiano, parlano e interagiscono allo stesso modo, con gli stessi gesti e parole. Lo iato tra adulti e bambini è venuto meno. Molte indagini sulla trasformazione della famiglia evidenziano quanto la caratteristica precipua del nostro tempo sia l’adultizzazione dei piccoli e l’infantilizzazione dei grandi, e come la maggiore preoccupazione degli adulti verso i bambini venga scambiata per attenzione. Una generazione di genitori sembra delegare alla scuola, ai media, alle tecnologie, al gruppo dei pari, ai giochi, la responsabilità di crescere ed educare i figli. (…) In sintesi i bambini scompaiono perché l’ideale educativo del nucleo familiare non contempla più forme di abdicazione da parte di nessun membro: in primis, la realizzazione del sé individuale, che è desiderata per i figli ma egualmente ambita dai genitori. Il bambino si trova a non essere più l’unico destinatario delle tensioni ideali familiari ma a doverle spartire con i genitori. La pronunciata indifferenziazione dei ruoli ha scosso gli squilibri derivanti dai rispettivi bisogni di soddisfacimento, e il bambino ha perso la sua specificità infantile divenendo un adulto in miniatura”.
Pertanto il delicato e attuale problema della “scomparsa dell’infanzia” non interessa solo il tempo presente ma va proiettato sul futuro, più vicino di quanto si pensi, e se non si prestano, prima che sia troppo tardi, le dovute, necessarie e indispensabili attenzioni alla “persona bambino”, questi non diventerà mai una “persona adulto” in grado di svolgere un ruolo adeguato ai bisogni e alle esigenze che la società esige.
Si vuole essere ottimisti ma all’orizzonte il cielo, purtroppo, è piuttosto plumbeo e l’azzurro stenta ad apparire.