La favorita
Piaccia o non piaccia, vi fu un lungo periodo in cui Benito Mussolini fu popolare, molto popolare, e non solo in Italia. Accadde, appena sedato lo scandalo del delitto Matteotti, da quel fatidico discorso del 3 gennaio 1925, con il quale veniva sancita la trasformazione del Regime in dittatura.
Lui, il fondatore dell’Impero, aureolato di gloria, Primo Ministro, di gran lunga più potente del suo Re, ebbe qualcosa che il “casalingo” Vittorio Emanuele III non aveva: una favorita.
La vita sessuale di Mussolini, infatti, fu tanto intensa quanto arida si dimostrò quella sentimentale. La sua concezione della famiglia era patriarcale, la sua concezione della società era, come si direbbe oggi, del tutto maschilista. Le donne non contavano molto per lui, neppure quelle con cui aveva mantenuto relazioni durate anni, come Margherita Scarfatti.
Divenuto Duce, era stato oggetto di un’adorazione femminile, tra l’estatico e l’isterico. Non aveva bisogno di cercarle, le avventure. Queste, a volte disinteressate ed a volte no, gli si offrivano a Palazzo Venezia, dopo il filtro meticoloso della polizia. Il cameriere-usciere personale, Quinto Navarra, lasciò un’accurata descrizione di quegli appuntamenti, definendoli una variante quotidiana della “routine” di lavoro. Erano incontri frettolosi, rustici, senza un minimo conforto. Avvenivano, generalmente, su un lungo sedile in pietra, nella “Sala del Mappamondo”, o a terra, su di un tappeto. Non aveva il palato fine nella scelta delle sue conquiste e non disdegnava le “tardone”. Se qualcuna tra loro, illusa dalla prima esperienza, si faceva troppo insistente, Arturo Bocchini, Prefetto e Capo della Polizia dal 1926 alla morte, figura chiave del regime, tanto da essere definito il “viceduce”, provvedeva a ricondurla alla ragione con adeguati avvertimenti.
In quel carosello di visite, si era inserita anche Claretta Petacci, dopo quattro anni di visite romantico-intellettuali. Lei e Benito si erano casualmente conosciuti, una domenica del 1932, il 24 aprile per la precisione, sulla strada per Ostia. Lui era al volante della sua rossa fiammante Alfa Romeo 1750 “6C”, carrozzata Zagato, ai tempi in cui ancora si compiaceva di guidare personalmente e spericolatamente l’automobile. Trovandosi di fronte una carreggiata quasi del tutto occupata da una lunga “limousine”, che procedeva molto lentamente, aveva incominciato a strombazzare, impazientemente, per ottenere il passo. La ventenne Claretta, bruna, dal volto vivace, dal seno opulento e dalle gambe snelle, riconosciutolo, si sbracciò in gesti di saluto. Erano con lei, sulla grossa macchina, condotta da un autista, la sorella Myriam di nove anni, la madre Giuseppina ed il giovane prestante Tenente dell’Aeronautica, Riccardo Federici, suo fidanzato.
Lusingato ed incuriosito dallo slancio di quella bella figliola, Mussolini si accostò alla vettura, che nel frattempo aveva ulteriormente rallentato, non sapendo di essersi imbattuto in un’ammiratrice fanatica, che gli aveva inviato lettere traboccanti di entusiasmo, sia per il politico che per l’uomo. Un’eccitazione, che la ragazza aveva espressa anche in versi, ma di quegli sfoghi, è molto probabile che egli non ne avesse avuto nemmeno notizia. Ma ebbe modo di parlargliene, quel giorno, nei cinque minuti in cui si intrattennero in conversazione, sul bordo della strada, con il Tenente rimasto irremovibilmente impalato sull’attenti.
Così, dopo un gioco di sorpassi, con scambi di occhiate e di sorrisi, iniziò, complici quell’auto e quell’atmosfera, la storia d’amore più conosciuta e più tragica del fascismo. L’indomani, arrivato in ufficio, Mussolini ordinò di ricercare, nell’archivio della corrispondenza a lui diretta, le lettere della giovane e gliele fece galantemente recapitare, quasi gli fossero state sempre vicine e particolarmente care. Quindi invitò Claretta a Palazzo Venezia. Fino al 1936 ebbero una ventina di colloqui, sempre brevi, sempre corretti. All’adorazione della ragazza, Mussolini rispondeva in tono paterno, atteggiandosi a potente, reso malinconico e tenebroso dalla sua stessa potenza e solitudine.
Il padre di lei, il Dottor Francesco Saverio Petacci, apparteneva al cosiddetto “generone”, un termine, esclusivamente romanesco, che stava ad indicare, al tempo del tramonto dello Stato della Chiesa, le famiglie che vivevano nel benessere e ricoprivano incarichi, usualmente ereditari, nei dicasteri papalini. Discendeva, per l’appunto, da una casata di quello stampo ed era un medico pontificio. Aveva una buona clientela e si vantava di divulgazione scientifica, tanto da collaborare con il celeberrimo quotidiano capitolino, “Il Messaggero”. Possedeva una vigna ed una carrozza. Oltre a Claretta ed a Myriam, aveva anche un figlio, Marcello, l’unico che, scandalosamente, approfittò, per affari ed intrighi, della sua successiva posizione di “cognato morganatico”. Ai progressi economici della famiglia, così come alla costruzione, alcuni anni più tardi, della villa “La Camilluccia”, a Monte Mario, Benito Mussolini, amante “taccagno”, non tanto per principio ma per scarsa importanza attribuita al denaro, non diede mai nessun contributo. Al Dottore, quel legame spurio servì solo per rendere più accetta e meglio retribuita la sua collaborazione giornalistica. A Myriam, che voleva fare del cinema e del teatro, fu utile per aver spianate le vie di una carriera che, nonostante ciò, fu senza smalto ed inevitabilmente stroncata, alla caduta del fascismo.
Un giorno di ottobre del 1936, Claretta, rientrata nella casa paterna dopo appena due anni di matrimonio, infelice e burrascoso, con il Tenente Federici (solo alla fine del 1941 fu annullato dalla Sacra Rota), incontrò Mussolini, nella “Sala del Mappamondo”, per una delle ormai consuete conversazioni. Lui, con il viso contratto, le si fece incontro furioso e le confessò come fosse a conoscenza, grazie alle informazioni ricevute dall’onnipresente polizia, della sua nuova relazione amorosa. “Mentre io rispettavo in voi prima la fanciulla e poi la sposa, tradivate vostro marito con il primo venuto”, urlò. Lei, spaventata ed al tempo stesso lusingata da quella scenata di gelosia, rispose con forza e determinazione, che erano solo calunnie. E, come quasi tutte le scenate di gelosia, anche quella finì sul giaciglio…..di pietra. La dolce Claretta si insinuò così, nella vita di Mussolini e lo accompagnò fino all’ultimo passo.
Diventò, da allora tutti i pomeriggi, l’ospite fissa dell’Appartamento Cybo, dal nome del prelato a cui il Palazzo Venezia era passato, dopo che il Cardinale Pietro Barbo, salito sul trono di Pietro con il nome di Paolo II, nel 1464, lo aveva lasciato incompiuto. A quell’appartamento si accedeva solo attraverso un ascensore privato o dalla Sala Regia. Era composto da tre vani, un’anticamera, uno studio ed un salotto, quest’ultimo detto dello Zodiaco, perché sul soffitto, a volta azzurra, erano dipinti, in oro, i segni zodiacali. Il salotto era arredato con un divano-letto. Lì, Mussolini avrebbe potuto riposarsi, dopo la colazione che consumava, a volte, su di un tavolo ovale. Ma non lo fece mai, perché odiava la pennichella, che considerava una deteriore abitudine italiana, e romana in particolare. Da esso, si accedeva ad una toilette che, come aveva annotato diligentemente il Navarra, “era munita soltanto di un lavabo, di un water, di un asciugamano e di una saponetta. Null’altro”. Del resto, molto raramente si era intrattenuto con qualche signora in quella stanza, come si è visto, preferiva esaurire la propria quotidiana impresa amorosa sul posto di lavoro.
Ma con Claretta le sue abitudini cambiarono. La ragazza trascorreva molte ore nell’Appartamento Cybo, leggendo o provando qualche nuova vestaglia, in attesa della visita del suo amato, che tendeva a farsi aspettare ed era sempre molto frettoloso. Tuttavia, dal 1936 fino al 1939 almeno, il legame con Mussolini, che aveva 54 anni, cioè trenta più di lei, fu appassionato e tenero, anche se non per questo il Duce interruppe i suoi rapporti con altre visitatrici.
Non trascorsero mai la notte insieme, a Palazzo Venezia. Si incontravano, tra molti e quasi comici sotterfugi, anche a Riccione, quando egli vi si recava con la famiglia, ed i Petacci si trasferivano per l’occasione al Grand Hotel di Rimini, o al Terminillo, durante qualche vacanza sulla neve. Forse in certi momenti, Claretta ebbe l’ambizione di essere, per il Duce, anche un’ispiratrice ed una consigliera politica. Ostacolata ed a volte umiliata da un altrettanto umiliata Donna Rachele, la moglie, non vi riuscì mai, limitandosi a queruli ammonimenti sulla pochezza e sull’infido comportamento di alcuni suoi collaboratori.
In quegli anni, Benito Mussolini aveva tutto ciò che uno statista “cesareo” potesse sognare: l’onnipotenza, una popolarità quasi senza ombre, l’Impero e la “favorita”. Anche se ne mancavano solo nove a Piazzale Loreto.