I seimila di Trapani. La poco raccontata tragedia bellica della “città del sale”
Della Seconda guerra mondiale, al netto delle giuste considerazioni generali, ampiamente sviscerate con fiumi d’inchiostro, spesso si dimenticano eventi di straordinaria valenza storica disseminati lungo lo stivale e tra le tante pagine di storia locale scritte col sangue dei nostri fratelli vissuti nel secolo breve. Mentre alcuni eventi, come quelli che coinvolsero la Città Eterna, quella Roma sostanzialmente risparmiata dalla furia bellica, sono a volte addirittura sopravvalutati, altri sono incredibilmente annebbiati, avviliti, come ad esempio la centralità delle operazioni in Campania e nel basso Lazio, le distruzioni massive a Napoli, Benevento, Eboli, San Pietro Infine, Cassino o, c’è da sottolinearlo, delle belle città della stupenda Sicilia. Le stesse Palermo e Catania, ad esempio, martellate e sventrate dai bombardamenti, esattamente come capitato alle più celebrate Milano e Torino, rappresentano ancora oggi motivo di evanescenza per gli eventi occorsi ad un’altra straordinaria città della Trinacria, ovvero la gloriosa Trapani.
Nella città del sale, o per alcuni “dei due mari”, la guerra portò uno scompiglio tale che il suo ‘900 può essere sostanzialmente riassunto nella tragedia dei 6000, il numero di vittime, non precisamente rispondente alla realtà documentale, che dovette patire tale centro urbano a causa della presenza di diverse importanti infrastrutture militari e della sua centralità nello scacchiere di guerra del Mediterraneo. Trapani, infatti, per la sua posizione geografica, era da secoli importante avamposto italiano nel Mare Nostrum e proprio durante il periodo fascista, considerando anche la nostra breve pausa “colonialista”, rivestiva un ruolo di particolare importanza per i rifornimenti alle truppe nazifasciste impegnate sul fronte africano. Inoltre, con l’intensificarsi del conflitto, era diventata una strategica base operativa per sommergibili, per le più famose e tipicamente italiche “flottiglie MAS” (motoscafi armati siluranti) e per altre tipologie di navi trasporto e da guerra. Non meno importante era pure la presenza di addirittura due aeroporti militari, quello di Milo e quello di Chinisia. Come sappiamo il 1943, l’Annus Terribilis dell’Italia prossima al crollo interno, portò una tempesta di fuoco su numerose città del sud, soprattutto siciliane e campane, perché oltre al necessario scossone politico che gli Alleati volevano ottenere attraverso la strategia dei bombardamenti terroristici a tappeto, era sicuramente indicata un’azione di ammorbidimento delle linee di difesa italotedesche prima dei previsti sbarchi insulari e di terra. Così, già dai primi mesi di quell’anno, le fortezze volanti americane, i tristemente noti B-17 a stelle e strisce, sputarono sul nostro Paese una quantità mai vista di bombe che avrebbero travolto vite, beni culturali, infrastrutture, aree industriali e zone commerciali. Il 6 aprile, dopo le avvisaglie del giorno prima tese alla distruzione dei numerosi velivoli italotedeschi presenti nell’aeroporto di Milo, Trapani divenne il target primario di diverse ondate di bombardieri che puntavano a distruggere il porto e fermare le navi in procinto di portare rifornimenti in Africa alle truppe dell’Asse. Una tragedia incredibile arrivata sulla vita dei siciliani alle tre e mezza di un caldo pomeriggio primaverile, con lavoratori e cittadini che svolgevano le più svariate attività all’aperto, tra mare e terra, tra speranze e semplice cura della propria famiglia, proprio mentre assordanti esplosioni cancellavano, ad esempio, il quartiere di San Pietro e l’ancor più caratteristico Casalicchio che giaceva placido, per sua sfortuna, tra il porto e la stazione ferroviaria cittadina. Come riporto continuamente nei miei testi e negli articoli scientifici o giornalistici, i danni maggiori, per quanto possa sembrare irrispettoso nei confronti dei caduti “umani”, furono quelli inferti al patrimonio culturale ed economico della città. Dopo quel tremendo attacco, considerando anche gli altri strike subiti fino al luglio del ’43, quindi fino allo sbarco in Sicilia, circa il 50% dei vani presenti a Trapani furono distrutti o profondamente deturpati, una quantità superiore alle 30.000 unità, con perdite gravissime tra il meraviglioso patrimonio storico di un’area urbana stratificatasi nei secoli grazie alle differenti dominazioni e ai diversi innesti culturali. Nel corso dei bombardamenti iniziati a gennaio dell’Annus Terribilis, vennero perduti o pesantemente danneggiati il Palazzo della Prefettura, il Teatro Garibaldi, il Seminario Vescovile, diversi noti istituti scolastici e professionali, il palazzo della Banca d’Italia e l’Archivio di Stato, ma soprattutto le chiese di Santa Maria della Luce, di Sant’Andrea, di San Giuseppe, del Purgatorio, di San Alberto della Marinella, della Santissima Trinità, di Sant’Agostino, di San Pietro, di Santa Maria del Gesù, di Santa Elisabetta insieme all’annesso monastero, di San Domenico e di San Michele. In poche ore la parte vecchia e più caratterizzante la cultura della città di Trapani svaniva tra polverose esplosioni e lo shock di un’intera popolazione. Nel dopoguerra, tristemente, la città del sale è stata ampiamente trasformata per suturare le ferite degli attacchi aerei. Intere porzioni del centro sono oggi irriconoscibili rispetto alla bellissima struttura urbanistica di inizio ‘900 e restano un ricordo le strette viuzze antivento a pettine che caratterizzavano l’antico quartiere del Casalicchio, reo di essere troppo vicino alle strutture militari del porto. Di Trapani, di questa città fondamentale per i destini della guerra, della sua gente, di quelle 6000 vittime, ufficialmente ritrattate a meno di 2000, resta una memoria per certi versi troppo labile che abbiamo il dovere di rinforzare. Raccontare la storia di queste città è necessario per cogliere gli aspetti più veri di ciò che fu il dirompente fenomeno bellico degli anni ’40 e lo continueremo a fare da queste pagine perché la storia di ieri è l’essenza dell’oggi. Non dimentichiamolo mai.