Un’invenzione, proiettata all’infinito!
Dice un vecchio proverbio: “La vita è fatta a scale, c’è chi scende e c’è chi sale”. Fino a non moltissimo tempo fa, dopotutto, per poter scendere o salire, le scale erano l’unico mezzo disponibile. Ciò spiega il fatto che i piani più elevati erano riservati alle classi meno abbienti, poiché più scomodi e più difficili da raggiungere. Ma con la creazione urbanistica di poli abitativi familiari posti su più livelli, sorse anche la necessità delle persone di raggiungere, con facilità, la parte più alta di un edificio.
L’invenzione dell’insostituibile “ascensore” venne in aiuto a tale esigenza. E non fu un’idea poi così moderna, se pensiamo che già in alcuni scritti di Marco Vitruvio Pollione, architetto ed ingegnere dell’epoca di Cesare e di Augusto, esiste la descrizione di un rudimentale sollevatore di carico, ideato peraltro dal matematico greco Archimede nel 236 a.C., mosso da funi, avvolte attorno a un rullo e fatte ruotare da una forza applicata ad un argano. Sorvolando sul fatto che gli antichi egizi usavano già, nei loro cantieri per la costruzione delle piramidi, una forma di elevatori a fune, azionati da persone, da animali o dall’acqua, nella Roma del citato Vitruvio, sotto il Colosseo, poderosi montacarichi in legno, gestiti dall’energia di centinaia di schiavi, con l’uso di argani e contrappesi, trasportavano, fino al piano dell’arena, gladiatori ed animali di grandi dimensioni.
In Francia, Luigi XV, salito al trono nel 1715 (all’età di cinque anni) usava la “chaise volante” (la sedia volante), una poltrona mobile che, attraverso nascondigli e passaggi segreti, permetteva alle sue amanti di fuggire, senza che nessuno della corte le notasse. Ne fece posizionare una (della quale esistono ancora i disegni), ad esempio, per madame Marie Anne de Mailly-Nesle, duchessa di Châteauroux, la sua preferita. La donna poteva salire fino al terzo piano del Palazzo di Versailles, al di fuori di occhi indiscreti. Da allora, diventò molto di moda, istallare “ascensori” nei palazzi reali, come il primo, azionato a vite, di cui venne dotato, nel 1793, il “Palazzo d’Inverno”, dello Zar Alessandro I, a San Pietroburgo.
La necessità di disporre di impianti di sollevamento per persone, emerse alla prima metà del XIX secolo, nelle miniere e nelle fabbriche. Ma fu la corsa architettonica verso il cielo che, a partire dal 1854, avrebbe plasmato i paesaggi urbani di tutto il mondo, forgiando il mito delle grandi metropoli del nostro tempo, e dato inizio al momento storico della nascita dell’ascensore. Vennero gettate le basi intellettuali, artistiche e pratiche, per la costruzione degli “skyscrapers”, dei grattacieli e, quindi, dal bisogno di rendere più accessibili i piani superiori, nacque l’idea dell’ascensore. Il lusso si sarebbe spostato verso l’alto, come simbolo di potere e sarebbe apparsa la tendenza ad un certo romanticismo legato al cielo. Del resto, il belvedere all’ottantaseiesimo piano dell’Empire State Building, è stato, a lungo, una delle mete più gettonate per infinite proposte di matrimonio.
Nacque, di conseguenza, lo studio ad un costante miglioramento della tecnologia, quando alle strutture di sollevamento vennero applicati dei sistemi di alimentazione a vapore o ad acqua. Era la rapidità con cui si consumavano le corde, a non renderle sufficientemente sicure da essere utilizzate per contenere persone. Bisognava creare qualcosa di diverso. Ad intercettare in anticipo queste istanze, fu un industriale del Vermont, figlio di un agricoltore, Elisha Graves Otis, che alle spalle aveva grande esperienza, sia come titolare di una segheria, sia come produttore di giocattoli. Trasferitosi in una fabbrica di Yonkers, alla periferia di New York, si chiese come poter spostare, in modo sicuro e veloce, i materiali pesanti, ai piani superiori del capannone. Con l’aiuto dei figli, riuscì, nel 1852, a mettere a punto un sistema frenante, in grado di offrire maggiore sicurezza. Due anni dopo ne dimostrò il funzionamento, durante una dimostrazione al New York Crystal Palace, un edificio monumentale, costruito l’anno prima per ospitare l’Esposizione Universale. Come? Salì su una piattaforma, retta solo da una fune, e si fece issare a diversi metri da terra. Poi diede ordine che la corda venisse recisa con un’ascia. Il freno entrò in funzione immediatamente e la piattaforma rimase sospesa, tra lo stupore di una folla, convinta che si sarebbe schiantato al suolo. Aveva inventato il “paracadute” di sicurezza. Se l’ascensore si fosse mosso troppo velocemente, due cunei contrapposti ne avrebbero rallentato la discesa e se la fune di sollevamento si fosse tranciata, la stessa molla avrebbe azionato dei nottolini d’arresto, mantenendo l’ascensore in posizione. Fu la svolta. Elisha Otis, considerato colui che consentì la nascita dell’ascensore come lo conosciamo oggi, sviluppò il suo primo modello, nel 1857, un modello che venne installato, il 23 marzo di quell’anno, in un grande magazzino di cinque piani, a New York, e viaggiava alla velocità di 12 metri al minuto. Quello che era stato un semplice montacarichi, divenne un “mezzo di trasporto” sicuro e veloce, anche per le persone, cambiando definitivamente il panorama globale. Un giornalista americano, Andreas Bernard, un secolo dopo, sulla rivista specializzata “Lifted”, scrisse che l’invenzione dell’ascensore non aveva solo cambiato l’aspetto delle città, ma anche la loro vita interiore.
La “Otis Elevator Company” rimane ancora oggi una delle aziende produttrici e installatrici di ascensori più importanti al mondo, assieme alla svizzera “Schindler”, alla tedesca “Thyssen Krupp”, alla finlandese “Kone” ed alla giapponese “Mitsubishi”, con un marchio, che entrò in breve tempo nei più prestigiosi edifici, dalla Torre Eiffel al Duomo di Milano. In Italia, il primo elevatore di questo tipo fu installato nel 1870 all’albergo Costanzi di Roma e firmato dalla “Officine Meccaniche Stigler”, fondata a Milano nel 1859.
Per l’introduzione del movimento elettrico, negli ascensori, si dovette attendere il 1880, introdotto dall’inventore tedesco Werner von Siemens. Il motore, posizionato sopra una cabina, era in grado di farla muovere all’interno di un pozzo, grazie ad un sistema di ruote dentate a pignone, che si innestavano in cremagliere disposte ai due lati del pozzo stesso. Il primo ascensore elettrico fu costruito a Baltimora, nel Maryland, nel 1887 e funzionava con un motore a bobine che faceva girare un argano rotante, attorno al quale si avvolgeva la fune di sollevamento. Negli anni successivi, divennero di largo uso, tranne che per gli edifici molto alti, ascensori elettrici dotati di trasmissione con vite elicoidale tra motore e argano. Infatti, le dimensioni massime dell’argano limitavano l’elevazione massima, quindi questo modello non fu mai applicato ai grattacieli. D’altra parte i vantaggi di un ascensore mosso elettricamente, nell’ottica dell’efficienza, dei costi relativamente bassi di installazione e della garanzia di una velocità pressoché costante a prescindere dal carico, spinse gli ideatori a cercare soluzioni idonee anche nei grattacieli. La presenza di contrappesi, in grado di generare trazione sulle funi in senso opposto rispetto alla cabina, fu la risposta al problema. In Italia, il primo ascensore elettrico, apparve a Roma, presso il Palazzo Barberini, nel 1903. Successive migliorie, concentrate per renderlo uno strumento indipendente, privo di personale indispensabile all’avvio, all’avviamento o all’apertura delle porte della cabina, lo hanno reso automatico già nel 1924. Oggi si fa distinzione tra un ascensore elettrico ed uno oleodinamico.
Gli ascensori sono statisticamente il mezzo di trasporto più sicuro. Dati curiosamente interessanti, affermano che, in tre giorni, in base ad una statistica mondiale, sono in grado di trasportare l’equivalente dell’intera popolazione sulla terra.
Nel corso della storia, è divenuto uno strumento da ammirare, per attirare folle e ostentare la propria ricchezza. Il prossimo grande sviluppo su cui si sta lavorando, … ascensori destinati a collegare il suolo terrestre con basi spaziali in orbita. Fantascienza? Tutt’altro!
Ed è simpatico e piacevole immaginare che, magari, nelle loro menti, Elisha Otis e gli altri pionieri, questa realtà l’avessero già sognata. Chissà!