Santa Maria Capua Vetere, violenza nel carcere
Le violenze a sangue freddo sui detenuti di Santa Maria Capua Vetere suscitano più di una riflessione: stupiscono, ma non troppo, coloro che seguono le vicende delle prigioni in generale, e di quel carcere in particolare. La rappresaglia, che ricorda film dei filoni da “horror carcerari”, che sembrano appartenere ad altri tempi ed altri luoghi, è stata l’ultimo tassello di anni di sopraffazioni, ed illegalità: dal sovraffollamento alla mancanza di un allaccio all’acqua decente; da anni, manca acqua pulita dai rubinetti, che esce di un colore tra l’arancione ed il marrone. Le condizioni igieniche erano state denunciate, invano, ma lodevolmente, soprattutto da organizzazioni di volontariato, tra cui “Antigone”, oltre che esponenti radicali. Diversi lavoratori nel carcere, provenienti dall’esterno, avevano rinunciato all’incarico, per condizioni sanitarie troppo avverse: c’era chi aveva commentato che in paesi più poveri forse i detenuti erano nel fango ma l’acqua gliela davano; più di una persona aveva testimoniato quanto dovesse subire commenti sprezzanti e volgari di una parte del personale del carcere, quando parlava di riabilitazione dei detenuti, come se fosse stata una strana novità, senza tener conto dell’articolo 27 della Costituzione Italiana. La visita del Presidente del Consiglio, Prof. Mario Draghi, e della già Presidente della Corte costituzionale, Dott.ssa Marta Cartabria offre maggiore ribalta, quindi, a vicende simili a quelle di altre carceri, ma meglio documentate: anche a Santa Maria Capua Vetere si era verificata una disperata rivolta contro le condizioni igienico-sanitarie indegne, aggravate dalla pandemia. In tali rivolte, dei penitenziari di più parti d’Italia, c’erano stati morti e feriti, oltre che violenze degli agenti, documentate in più di un caso. Nel caso di Santa Maria Capua Vetere, va detto, la Procura si è mossa molto correttamente, salvando i filmati della videosorveglianza, che dimostrano le raccapriccianti violenze: emerge che, partendo da perquisizioni estreme, in cui anche parti intime vengono ispezionate, si è passati a pestaggi sfociati in vere e proprie torture: barbarie proprio da parte di chi avrebbe dovuto tutelare la legge. Perfino un prigioniero in sedia a rotelle è stato malmenato, mentre qualche detenuto ha denunciato che, durante una delle ispezioni corporali, ufficialmente per appurare che non si nasconda qualcosa di illecito all’interno di parti intime del proprio stesso corpo, sia stato addirittura violentato con un manganello. Del resto, le troppo reiterate e gratuite perquisizioni estreme, senza motivi seri, erano già state condannate dalla Cassazione, pur non arrivando al fare violenza nel senso fisico: il confine tra ricerca della sicurezza, legittimo, ed umiliazione gratuita, purtroppo, spesso nei fatti si perdeva. Umiliazioni che lasciano un sapore amaro, e di disgusto, aggiungendo solo male al male, e degradando anche chi le compie. Per questo, gli abusi ulteriori, ed estremi, perpetrati nel carcere “Franco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere nell’aprile 2020 stupiscono, ma, appunto, non troppo. Invece, le gratuite mortificazioni erano già presenti, per quanto in grado minore. Del resto, il carcere è come un “sottosuolo” della nostra società, in cui, sottotraccia, si riflette la violenza della società di fuori: sono proprio parti della società di fuori che andrebbero, per prime, aiutate a riorientarsi in un migliore ordine mentale, quando s’invocano reati contro chi abbia compiuto dei reati (e neanche sempre colpevoli, dati i casi di detenzione preventiva, di presunti innocenti); un incattivimento in cui ce la si prende, in modo non nobile, con chi ce la si possa prendere. Un’onda cavalcata da politici cui fa comodo dimenticare che la violenza verso gli inermi sia tale anche quando colpisca persone che in passato abbiano sbagliato, ma che erano in condizione di particolare afflizione. La tendenza a giudicare troppo facilmente, del resto, già di per sè è presunzione, perchè ci si pone come se si conoscesse tutto, quando non è possibile: ci si pone come nel ruolo di Dio, quindi del Tutto, quando si può essere solo un frammento di una totalità. A suo tempo, peraltro, l’invito ad usare il pugno di ferro, contro rivolte nei confronti di condizioni igienico-sanitarie inaccettabili (ed illegali) era venuto proprio dal Ministro della Giustizia, On. Alfonso Bonafede, supportato da trasmissioni televisive estremiste ed acritiche in questo senso. Responsabilità, dirette ed indirette, sono quindi non solo di una parte delle guardie e di una parte della direzione del carcere su tali eventi drammatici, che, però, offrono occasione per un nuovo inizio di consapevolezza, per una maggiore costruzione dello Stato di Diritto. Del resto, chi chiede legalità la deve dare, anche per rendere possibile maggiore rispetto per uno Stato che non si regga solo sulla forza e non sia quindi debole, di fatto.