Un’irrinunciabile presenza…! (1a parte)
Il termine “Polizia” viene generalmente usato per indicare quell’insieme di attività istituzionali, necessarie all’esistenza, in senso lato, della collettività. La locuzione deriva dallo sviluppo dell’antica “polis” greca, concetto, del resto, molto prossimo a quello di “governo”, inteso come potere esecutivo. Correntemente, infine si intende per “Forze di Polizia”, quell’insieme di corpi militari e civili dello Stato, con cui si mira alla rimozione di tutte le cause che possono ostacolare la tranquilla convivenza civile o ledere gli interessi dei singoli, attraverso due diversi indirizzi, di sicurezza e giudiziario. Tutti gli ordinamenti nazionali ne prevedono l’istituzione e l’impiego, con differenziazioni che tengono conto delle relative peculiarità, sia culturali che religiose.
In Europa, un primo modello, comparabile a quello moderno, sorse in Francia nel 1667, sotto il regno di Luigi IV, anche se sarebbe forse più corretto attribuire questo primato alla nascita della “Marine Police”, a Londra nel 1800. I loro compiti non erano poi tanto dissimili da quelli attuali, cioè la garanzia del rispetto delle leggi, il pattugliamento per l’ordine e la sicurezza pubblica e, soprattutto, la protezione della proprietà privata, per cercare di mantenere forte e saldo il sistema di classe. Di particolare importanza fu la concessione di uno stipendio fisso al personale effettivo, erogato dallo Stato anziché dal borsello dei padroni locali. Tale innovazione fu sviluppata dal francese Nicolas Delamare, avvocato e studioso di diritto che, già sul finire del XVII, la inserì in un elaborato testo, dal titolo “Trattato sulla Polizia”, pubblicato nel 1705.
Per quanto riguarda il nostro Paese, bisogna partire da quanto accadde nel Regno di Sardegna. Vittorio Emanuele I, spinto del vento della Restaurazione che, con il Trattato di Parigi del 30 maggio 1814 aveva ripristinato il potere dei Savoia, il 13 luglio di quello stesso anno promulgò le Regie Patenti, una lunga serie di atti ufficiali, leggi e decreti di particolare rilevanza per lo Stato. Tra i tanti provvedimenti, anche la nascita del Ministero di Polizia, Ente nel quale confluirono le competenze della inizialmente autonoma “Direzione Generale del Buon Governo”, sorta nel 1814, ma subito posta alle dirette dipendenze della Segreteria di Stato per gli Affari Interni, la stessa Direzione Generale che, sollecitata dalla Camera dei Deputati e dal Senato Subalpino, aveva istituito, proprio in quell’anno, il Corpo dei Reali Carabinieri, strumento esecutivo per la sicurezza pubblica.
L’intera e complessa macchina era governata dal Ministero della Guerra e della Marina, fino al 1847, quando Carlo Alberto di Savoia decise di affidarla definitivamente al Ministero dell’Interno, con l’istituzione della Direzione di Polizia. L’anno seguente, con l’avvento dello Statuto del Regno, o Statuto Fondamentale della Monarchia di Savoia, del 4 marzo 1848 (noto come Statuto albertino), su input del Re e dell’allora Ministro Pier Dionigi Pinelli, nacque la “Amministrazione della Pubblica Sicurezza”, che operativamente esautorò, nelle sue funzioni, la precedente Direzione di Polizia. Non fu solo un cambio di denominazione. Volle essere l’utilizzo, studiato e condiviso, di una voce che si avvicinasse maggiormente all’opinione pubblica, allontanandosi, altresì, da quel concetto di ostilità che la parola “polizia” aveva suscitato nel popolo, memore di antiche prepotenze e soprusi, accrescendo, nel contempo, forza e professionalità, nel mantenimento dell’ordine e del rispetto delle leggi, sia nel privato che nel pubblico. La riforma prevedeva che le mansioni di pubblica sicurezza fossero affidate unicamente a funzionari civili, secondo il criterio della differente competenza territoriale. Al vertice della Divisione Amministrativa, che raccoglieva più province, vi era un’Intendenza Generale la quale, ramificandosi fino a livello comunale, era gestita da Sindaci di nomina governativa. I Carabinieri Reali ne rappresentavano il braccio operativo, coadiuvati, nei centri più piccoli, dai Carabinieri Veterani. Sebbene, come si evince dal nome stesso, diventati, per età o per altre simili cause, poco appropriati per il faticoso servizio attivo, potevano essere adoperati nell’adempimento di altre incombenze meno gravose. In situazioni di particolare emergenza, ai Carabinieri veniva affiancata la Guardia Nazionale, una milizia volontaria, istituita anch’essa dallo Statuto Albertino.
Nel 1852, al termine della Prima Guerra di Indipendenza, per fronteggiare le crescenti e cruenti, esigenze di ordine pubblico, venne formato il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, capostipite di quella che nel 1981 sarebbe poi diventata l’odierna Polizia di Stato. Si trattava di un Ente militarmente organizzato, unico esempio nell’Europa del tempo, che suscitò accese polemiche sul piano politico. Nell’espletamento dei propri compiti, data l’esiguità del suo organico, poteva essere coadiuvato dai Carabinieri Reali, dalla Guardia Nazionale e dal Regio Esercito. Le sue prime due Compagnie trovarono sede a Torino e Genova e solo a partire dal 1859 le funzioni di polizia vennero progressivamente estese a tutti gli Stati che si erano uniti al Regno Sardo-piemontese, eccezion fatta della Toscana.
Nel 1858, a conclusione della Seconda Guerra di Indipendenza, l’allora Primo Ministro del Regno, Urbano Rattazzi, firmò un nuovo ordinamento per la Pubblica Sicurezza, ordinamento che riguardava esclusivamente gli organici del personale effettivo. Scomparve l’antica qualifica di Assessore per fare posto a quella di Ispettore e di Applicato, mantenendo intatta la figura del Delegato, qualifiche tutte che rivestirono per decenni una particolare importanza storica.
All’indomani dell’Unità d’Italia, 1861, la rivolta contro la tassa sul macinato al Nord ed il fenomeno del brigantaggio al Sud, scossero il tessuto sociale del Regno, costringendo il Governo, non solo ad emanare misure più severe per ristabilire l’ordine, bensì ad incrementare congruamente l’organico della Polizia, la prima istituzione civile a difesa e a garanzia del processo di unificazione. Nella stesura delle suddette misure e nel concetto generale che un appartenente al Corpo della Polizia fosse un fedelissimo servitore della Patria, da cui era legittimo attendersi e pretendere una dedizione assoluta, nacque spontanea, nel Senatore Silvio Spaventa, Segretario Generale degli Interni, l’idea che un agente dovesse avere l’obbligo del celibato e della dimora in caserma. Certamente le esigenze di bilancio non furono estranee a quei provvedimenti. Se quello era un mestiere che imponeva disagi, fatiche e sprezzo del pericolo, era altrettanto vero che un poliziotto con moglie e figli costava molto di più allo stato e, oltretutto, sempre secondo tale teoria, l’esistenza di una famiglia avrebbe potuto far tentennare, l’uomo, nelle situazioni di estremo rischio. Condividendo in pieno quella linea di pensiero, il Presidente del Consiglio, Bettino Ricasoli, dispose che i Prefetti reclutassero il personale di polizia tra le classi più umili, tra la gente maggiormente disposta ai sacrifici ed alle privazioni più dure.
Solo per la Sicilia e per lo specifico compito di garantire l’ordine e la sicurezza nelle zone rurali, nel marzo del 1877, venne realizzato il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza a Cavallo, in sostituzione dei Militi a Cavallo, retaggio garibaldino del 1860. Già da anni, si era percepita l’indispensabile necessità di dare a tutto il personale, in base al proprio grado ed alle proprie funzioni, un’idonea formazione professionale. Venne concepita, a Torino, la prima scuola tecnica, poi trasferita, nel 1876, a Roma.
Nel 1879 il Ministro dell’Interno, Tommaso Villa, volle a capo del Corpo, il Prefetto Giovanni Bolis. Sotto la direzione di quest’ultimo, l’amministrazione di P.S. subì la prima radicale riforma. Vennero create tre mastodontiche Divisioni, quella giudiziaria, quella amministrativa e quella relativa agli affari riservati. Fermamente convinto che l’ingresso di “giovani d’ingegno e forniti di buoni studi [lett.]”, desse un maggiore lustro all’immagine pubblica ed incentivasse la valorizzazione delle carriere, organizzò corsi a favore dei dirigenti e pretese, per i vertici gerarchici, il possesso della laurea. Parificò lo stipendio dei poliziotti a quello delle Guardie Municipali, ed introdusse, nelle Questure, i cosiddetti “Registri dei Pregiudicati”, con il correlato “servizio fotosegnaletico”, che prevedeva la schedatura delle istantanee dei criminali più pericolosi e la redazione delle statistiche sui reati commessi. Istituì nuovi servizi di vigilanza, nei teatri come sui treni ed attuò la stesura quotidiana di un bollettino di notizie estratte dagli atti ministeriali, affinché la stampa nazionale venisse a conoscenza degli avvenimenti giornalieri. Creò, con funzioni coadiuvanti, il ruolo degli agenti ausiliari, in ferma annuale, non obbligati a risiedere in caserma e liberi di contrarre matrimonio.