Il mito dell’Araba Fenice: morte e rinascita
“Risorgere dalle proprie ceneri come l’Araba Fenice”.
È una frase che sentiamo e leggiamo spessissimo, ormai entrata nella quotidianità del lessico di tutti, ma da cosa deriva questa definizione? Cosa sappiamo di questo uccello di fuoco, mitologico e leggendario, presente in tutte le culture del mondo e in molte storie tramandante nei secoli?
Il detto trae origine, probabilmente, da un’interpretazione di Erodoto, storico greco vissuto tra il 425 e il 484 a. C., secondo cui questo mitico uccello dorato, con piumaggio sgargiante viveva nell’Arabia Felix, l’attuale Yemen. Secondo la leggenda ne esisteva un solo esemplare in tutto il mondo e ogni 500 anni si costruiva un nido su un albero di quercia o su una palma, intrecciando piante ed erbe balsamiche e lì, si lasciava bruciare dal sole. Il suo motto era “Post fata resurgam” (Dopo la morte risorgerò) e infatti dal cumulo di cenere poi emergeva una piccola larva, simile ad un uovo che i raggi solari facevano crescere rapidamente e in tre soli giorni la trasformavano nella nuova Fenice, libera di volare per altri 500 anni.
In realtà il mito dell’Araba Fenice è precedente alla versione di Erodoto. Già gli antichi egizi avevano la loro Fenice, un piccolo uccello simile ad un airone raffigurato con la corona Atef o con il disco solare che risorgeva dalle acque.
Per i greci era invece un’aquila dai colori vividi che nasceva dalle fiamme.
Anche nella cultura cinese è ancora presente questo favoloso animale sacro ed è talmente importante tanto da rientrare nel gruppo delle cinque creature magiche che presiedono i destini della Cina: la tigre bianca, l’unicorno, la tartaruga o il serpente, il drago e appunto la Fenice che rappresenta il potere e la prosperità.
Spostandosi in Giappone, è raffigurata come un’enorme aquila che sputa fuoco con piume dorate e gemme magiche che le coronano la testa e annuncia “l’arrivo di una nuova era”, proprio come nel primissimo episodio della serie animata Pokémon di qualche anno fa.
Trasferendosi poi in India, secondo la cultura induista e buddista, la Fenice si chiama Garuda, ha ali e becco d’aquila, un corpo umano, la faccia bianca, ali scarlatte e corpo dorato ed è, ovviamente, un essere sacro.
Anche la religione ebraica le ha riservato un posto: una leggenda narra che Eva mangiò il frutto proibito e venne punita da Dio che la fece diventare mortale. Divenne allora gelosa dell’immortalità delle altre creature dell’Eden e convinse tutti gli animali a mangiare a loro volta proprio quel frutto, finché avessero la sua stessa sorte. Tutti gli animali cedettero, tranne la Fenice che fu così ricompensata da Dio che la pose in una città fortificata e protetta dove avrebbe vissuto in pace per mille anni. Dopo ogni mille anni, ritiratasi nel suo nido, sarebbe stata bruciata dal sole e risorta da un uovo spuntato nelle sue stesse ceneri.
I padri della chiesa accolsero questa versione e fecero della Fenice il simbolo della “Resurrezione della carne”, come raffigurata spesso nell’iconografia delle catacombe. Sulla sua reale esistenza ci sono ancora tanti interrogativi e in moltissimi la ritengono solo il frutto della fantasia, ispirata però ad un vero uccello che viveva nella regione allora governata dagli Assiri, che si estendeva dalle coste del Mar Nero fino all’Egitto, passando per la Siria, la Media, la Mesopotamia, la Palestina e appunto La Fenicia.
Le teorie e le ipotesi legate a questo uccello magico, sono davvero molteplici, ma quello che tutti sono concordi ad affermare è che l’Araba Fenice simboleggia la resurrezione dopo la morte, il potere della resilienza, della capacità di far sempre fronte in maniera positiva alle avversità della vita, coltivando le risorse e le forze che si trovano in ogni essere umano.
Del legame tra questo uccello di fuoco e l’uomo, ne ha scritto anche Carl Gustav Jung nel suo libro “Simboli della trasformazione”. Secondo il filosofo e psicanalista svizzero la capacità di risorgere dalla morte della Fenice, può essere paragonata alla possibilità di rinascere e trasformarsi dopo un fallimento.
Ma c’è ancora altro: il fatto che “risorga dalle proprie ceneri”, simboleggia la capacità di ritornare “a vivere” imparando dai propri errori e facendo leva sulle proprie risorse e sulla propria volontà divenute più forti, nel frattempo, al cospetto delle tempeste degli eventi.
E diventa quindi metafora perfetta per i tempi che stiamo vivendo: dalle ceneri lasciate dal Covid-19 si può risorgere a nuova vita.
Quasi probabilmente “il come eravamo” non tornerà più, ma paradossalmente questa pandemia ci ha insegnato che possiamo risorgere dal fuoco che inaspettatamente ci ha bruciato, proprio come la Fenice, ripensando e ridisegnando i rapporti umani, i metodi di lavoro e di approccio agli eventi, anche i più terrificanti, a cui la vita ci sottopone. E trovare nuove forze per rinascere più forti e più consapevoli.