Raccomandati? Stop alla pratica delle nomine dirigenziali dietro segnalazioni
La raccomandazione rispetta ossequiosamente la catena gerarchica. Tuttavia da oggi la Cassazione ha detto basta a questa pratica deprimente che va da Nord a Sud. Per la Cassazione, l’azienda deve risarcire il danno da perdita di chance al lavoratore se conferisce nomine dirigenziali senza motivare la scelta effettuata tra i vari candidati aspiranti al posto. La procedura valutativa esige sempre una “spiegazione” e la lesione è indennizzabile senza la prova che il ricorrente sarebbe risultato vincitore. Lo ha ricordato la sezione lavoro della Cassazione con l’ordinanza 30900/21 del 29 ottobre che ha respinto il ricorso di una società. La corte d’appello di Catania ha confermato la decisione del tribunale che aveva condannato l’azienda al pagamento di una somma in favore del ricorrente a titolo di risarcimento del danno da perdita di chance pari a una percentuale delle presumibili differenze retributive che il ricorrente avrebbe potuto percepire se l’impresa non avesse violato le regole di correttezza e buona fede nella selezione. In particolare il collegio di secondo grado ha affermato che, in assenza di una motivazione sulla scelta effettuata, l’atto di nomina era illegittimo e generava un danno per il ricorrente. La controversia è così giunta in Cassazione dove l’impresa ha sostenuto che il procedimento di selezione per l’affidamento di incarichi dirigenziali restava nell’alveo del diritto privato, in cui non opera la normativa pubblicistica in materia di riserva concorsuale. Inoltre il candidato ricorrente avrebbe dovuto dimostrare le sue possibilità di successo in relazione alle singole posizioni che dovevano essere assegnate. Nella sua sentenza, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, i giudici nel respingere il ricorso, hanno rilevato che nell’azienda in questione la materia della selezione per l’accesso alla dirigenza è disciplinata dalle regole fissate da un accordo sindacale in forza del quale la nomina è effettuata sulla base di una procedura valutativa. Ebbene, ha spiegato la corte, “come la procedura concorsuale, anche la procedura valutativa esige tuttavia una valutazione” e la valutazione “integra di per sé una motivazione”. In difetto, il lavoratore ha pertanto diritto al risarcimento del danno da perdita di chance, non condizionato alla prova, da parte sua, che la scelta, ove correttamente eseguita, si sarebbe certamente risolta in suo favore. L’illegittimità dell’atto per mancanza di motivazione, in sostanza, costituisce una situazione idonea ad arrecare in sé il danno da perdita di chance in capo al lavoratore avente diritto alla valutazione in quanto in possesso dei requisiti formali per essere sottoposto a valutazione, restando incerta solo la misura del danno.