1921-2021: Centenario del Milite Ignoto

Cento anni fa, il 4 novembre, veniva tumulato il Milite Ignoto all’Altare della Patria a Roma, una tomba monumentale per commemorare simbolicamente il sacrificio di tutti i caduti e dispersi in guerra.
La storia del Milite Ignoto parte da lontano, oltre un secolo fa.
Dopo la Prima guerra mondiale, in numerosi Paesi che parteciparono al grande conflitto iniziarono ad essere eretti monumenti in memoria di tutti quei soldati mai identificati che caddero combattendo per la propria Patria. Anche in Italia si accese il dibattito e nel 1920 l’idea di onorare la salma sconosciuta di un soldato in memoria di tutti quelli che non tornarono più ai loro cari fu sostenuta dal Generale Giulio Douhet e l’anno successivo nel 1921, un disegno di Legge su presentato alla Camera.
La Legge fu approvata in brevissimo tempo e il Ministero della Guerra diede incarico ad un’apposita commissione di esplorare tutti i luoghi in cui si era combattuto in modo da raccogliere i resti di soldati non identificati appartenenti ad ogni reparto dell’esercito. Fu scelta una salma per ognuna delle zone individuate: Rovereto, Dolomiti, Altipiani, Grappa, Montello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, San Michele, Castagnevizza al mare.
Le undici salme furono così trasferite dapprima a Gorizia e poi il 28 ottobre del 1921 trasportate nella Basilica di Aquileia, ma solo una sarebbe partita alla volta di Roma per essere seppellita al Vittoriano. Le altre dieci sarebbero rimaste lì e seppellite nel cimitero di guerra della città.
Ma chi doveva scegliere la salma che avrebbe rappresentato il sacrificio di circa seicentomila italiani e il dolore di tante famiglie? Una mamma, una mamma che aveva perso il figlio partito soldato e che non aveva avuto nemmeno la possibilità di piangere sul suo corpo.
Inizialmente la scelta cadde su Anna Visentini Feruglio di Udine, madre di due figli dispersi in guerra, uno dei quali premiato con la Medaglia d’Oro al valor militare. Poi si pensò che la madre dovesse essere una donna popolana e si ipotizzò di scegliere una mamma livornese che andò a piedi fino a Udine alla ricerca del figlio disperso. Poi ancora ad una mamma di Lavarone che saputo dove era stato tumulato il figlio si recò in quel cimitero e scavando con le mani e con tutta la forza del dolore, ne ritrovò le ossa e dopo averle pulite e legate con un nastro tricolore le riportò al paese seppellendole vicino a quelle del marito.
Alla fine, però, si pensò che sarebbe stato più significativo optare per la madre di un soldato irredento e la scelta definitiva cadde su Maria Bergamas di Gradisca di Isonzo. Il figlio Antonio si era arruolato nelle file dell’esercito italiano sotto falso nome, essendo suddito dell’Impero austro-ungarico, ma italiano nel cuore e nell’anima. Il suo Antonio cadde in combattimento nel 1916, trucidato da una scarica di mitraglia.
Nelle sue tasche fu ritrovato un biglietto nel quale si chiedeva di avvisare della sua eventuale morte il Sindaco di San Giovanni di Manzano, l’unica persona al corrente della sua vera identità. La salma del giovane fu quindi identificata e sepolta con altri soldati nel cimitero di guerra di Marcesina sull’Altipiano dei Sette Comuni, ma successivamente a seguito di un violentissimo bombardamento che distrusse tutta l’area, lui e i suoi compagni risultarono ufficialmente dispersi.
Durante la cerimonia del 28 ottobre 1921, passata alla storia come “Rito di Aquileia” Maria Bergamas, avvolta nel suo scialle nero, fu chiamata a scegliere quale bara, delle undici tutte uguali e allineate davanti all’altare della basilica, rappresentasse suo figlio Antonio, il Milite Ignoto, simbolo di tutta una nazione.
La donna, straziata dal dolore, passò accanto ad ogni bara e alla fine urlando disperata, si accasciò davanti alla decima. Fu quella la bara scelta e Maria Maddalena Blasizza in Bergamas divenne la mamma del Milite Ignoto e il simbolo di tutte le mamme che avevano perso i loro figli per la Patria.
La salma su deposta su un treno appositamente creato e strutturato per procedere a velocità bassissima, da Aquileia a Roma, in modo che ad ogni stazione o durante tutto il suo percorso, la popolazione potesse onorare “il figlio d’Italia” mai più tornato a casa.
A Roma, ad accogliere il Milite Ignoto c’erano più di trecentomila persone, c’erano le rappresentanze di tutti i combattenti, le mamme e le vedove dei caduti in guerra, i reduci, i gruppi dei decorati con in testa il re Vittorio Emanuele III.
Il 4 novembre 1921 al Milite Ignoto fu conferita la Medaglia D’Oro con la seguente motivazione: “Degno figlio di una stirpe prode di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz’altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della patria”.
Un elmetto fu posto sulla bara da un soldato semplice. Il feretro del Milite Ignoto fu inserito nel sacello dell’Altare della Patria mentre i rappresentanti delle Nazioni straniere intervenuti e i militari presenti erano sull’attenti e la popolazione in ginocchio. Da allora la tomba è sempre sorvegliata da due militari, appartenenti a tutte le forze armate che si alternano e l’Altare della Patria è diventato il luogo simbolo della Nazione, il posto dove è possibile abbracciare simbolicamente tutti quelli che hanno combattuto e sono morti per l’amor di Patria.
La Grande Guerra non risolse i problemi e le vertenze fra gli Stati coinvolti, ma anzi nascose in sé le idee folli che portarono al secondo conflitto mondiale, un abisso senza fine di dolore in cui si sprofondò solamente qualche anno dopo, come se tutti i ragazzi morti su quelle montagne e in quelle valli, durante la Prima guerra mondiale, non avessero insegnato niente.

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