Teatro San Carlo di Napoli: dalle bombe americane alla rinascita nel 1944
I nostri beni culturali, tra cui gli oltre 50 siti protetti dall’Unesco, ad evidenziare la valenza mondiale di una terra che rappresenta solo lo 0,5% del pianeta, sono sempre stati protagonisti di eventi straordinari. Alcuni, in particolare, sono diventati tragici testimoni di momenti fondamentali del nostro cammino storico, soprattutto di quello bellico della Seconda guerra mondiale. Tutti ricordano, ad esempio, la distruzione dell’Abbazia di Montecassino, l’abbattimento dei ponti di Firenze o l’annientamento della Basilica di Santa Chiara a Napoli, anche se numerosi altri tesori italiani sono stati offesi tra il ’40 ed il ’45, alcuni persi irrimediabilmente, altri invece addirittura rinati durante le ultime fasi del conflitto, simboli affascinanti di particolari episodi poco raccontati.
Interessante, in particolar modo, quello relativo al famosissimo Teatro San Carlo di Napoli, il più antico teatro d’opera europeo, costruito ben quarant’anni prima dell’altrettanto famoso Teatro alla Scala di Milano. La città partenopea, pesantemente martellata dalle bombe nel corso della guerra, il 4 agosto del 1943 fu addirittura usata come capro espiatorio, come esempio per terrorizzare il resto del Paese e dare la spallata definitiva al cosiddetto Patto d’acciaio tra fascismo e nazismo. Durante quella vera e propria tempesta di fuoco, oltre a tutto il resto del centro metropolitano, ben 23 bombe americane centrarono varie aree della Reggia borbonica deturpando una parte della facciata, il Teatrino di Corte, la Cappella e la Biblioteca Reale, gran parte del famoso Giardino pensile, il Salone d’Ercole, nonché il soffitto della Sala delle Guardie del Corpo nell’angolo verso il Belvedere. Però anche il famoso Teatro San Carlo, che condivideva e condivide ancora lo spazio urbano e una porzione di mura proprio con la bellissima Reggia di Napoli, fu parzialmente devastato durante lo strike delle Fortezze Volanti statunitensi, subendo danni soprattutto al nuovo ‘foyer’ realizzato pochi anni prima, precisamente nel 1937, come pure al palco, parzialmente sventrato da una bomba.
Un insigne tempio della lirica, sorto nel 1737, definito dal grande Stendhal con parole d’amore, colpito al cuore, come il resto della città:
«…non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. Questa sala, ricostruita in trecento giorni, è un colpo di Stato. Essa garantisce al re, meglio della legge più perfetta, il favore popolare. […] Chi volesse farsi lapidare, non avrebbe che da trovarvi un difetto. Appena parlate di Ferdinando, vi dicono: ha ricostruito il San Carlo!…»
Una bellezza italiana ferita dalle bombe servite ad avviare le trattative per l’8 settembre, ancora sanguinante durante le tremende 4 giornate di Napoli, prima ribellione continentale che cacciando i nazisti dalla città avrebbe fatto trovare agli angloamericani, sbarcati a Salerno poche settimane prima, una devastazione incredibile. Di fatto occupata dal 1° ottobre del 1943, Napoli fu immediatamente riadattata a retrovia del fronte italiano e tutti i migliori edifici, sostanzialmente il nostro patrimonio culturale, si trasformarono improvvisamente in dormitori, uffici, luoghi di svago. Non fece ovviamente eccezione l’illustre tempio della lirica che, incerottato in tutta fretta, fu presto convertito in luogo di ritrovo e spettacolini osé, piazza di spaccio di amori a pagamento potremmo dire oggi, insomma degradato a mero palco da bar per le chiassose truppe americane!
Ma il fascino del teatro voluto da Carlo di Borbone, costruito da Giovanni Medrano e Angelo Carasale, con la sua straordinaria capienza, ben tremila persone, non poteva che suscitare religiosi sentimenti di rispetto tra i più istruiti militari alleati, tra cui un giovane ufficiale britannico della Royal Artillery, il Tenente Peter Francis. Questo giovanotto, mentre passeggiava per una città sventrata e impoverita dalle bombe, a stento riconobbe le scritte di alcuni manifesti strappati rimasti aggrappati alle mura, meglio sarebbe dire alle macerie del Teatro. Incuriosito dalla struttura, da quello che restava dei nomi patinati sulle locandine graffiate dalle bombe, provò ad entrare e rimase completamente ammaliato da questo inatteso luogo di cultura.
Era il 7 novembre del 1943 quando il Tenente Peter Francis aprì quelle porte per la prima volta e si ritrovò davanti alla “grande bellezza” che aveva ospitato nel ‘700 la famosa Opera Buffa, cui nell’800 s’era aggiunto addirittura il contributo di Rossini e Donizetti, ma purtroppo anche di fronte ai gravissimi danni all’atrio, a molti dei palchetti, principalmente del sesto livello, all’area dei camerini, a quella dei magazzinetti delle scenografie, ai laboratori di pittura, ai locali guardaroba dei costumi e a parte del palco, dove miracolosamente s’erano salvate alcune attrezzature della cosiddetta “fossa d’orchestra“. Un vera e propria ispirazione che lo fece innamorare di quell’antico teatro improvvisamente sgomberato e rattoppato dai colleghi americani, a metà mese, semplicemente per organizzare una sala cinematografica sul palco che aveva ospitato le grandi opere di Verdi e Mascagni!
Nel frattempo, però, l’ufficiale britannico si era mosso, stimolando perfino trattative per ricostituire velocemente la vecchia compagnia di musicisti, cantanti, direttori d’orchestra, operai, macchinisti, etc., mentre si scontrava con successo con i vertici militari Alleati, i suoi superiori quindi, per cacciare gli americani e far rinascere il Real Teatro. Peter Francis, un eroe della cultura in divisa, riuscì nel suo intento. Il 26 dicembre del 1943, una stupenda domenica italiana nonostante le ferite aperte dalla guerra, al San Carlo si riapriva timidamente la stagione lirica con La Bohéme, riammettendo via via anche la parte più facoltosa e fortunata della società civile partenopea, insieme ovviamente ai tantissimi ufficiali alleati che avevano appoggiato il suo recupero. La vera ripresa delle attività liriche fu inaugurata il 15 maggio del 1944 con l’attesa rappresentazione dell’Aida, ma il Real Teatro San Carlo era già stato salvato da un giovanotto britannico innamorato di una bellezza italiana che avrebbe amorevolmente curato fino al suo definitivo rilascio all’Amministrazione italiana nel 1946.