Casate di oggi, casate di ieri
Quello dei Buffon, grazie a Gianluigi, ancora oggi in attività, e a due cugini di suo nonno, Lorenzo ed Armando, tutti calciatori nel ruolo di portieri, è un cognome importante, conosciuto in tutto il mondo, da sportivi di generazioni diverse, e non.
Ma tornando, di parecchio, indietro nel tempo, questo nome ricompare, all’insaputa di molti, dopo aver lasciato, dietro di sé, una fondamentale testimonianza, nella storia della cultura.
Georges-Louis Leclerc, nacque a Montbard, in Borgogna, il 7 settembre 1707. I suoi immediati ascendenti provenivano dalla borghesia di campagna, per quanto non mancasse chi si premurava di rammentare che la famiglia apparteneva ad una nobiltà, risalente addirittura ai tempi di Filippo di Valois. Il casato di Buffon venne assegnato in connessione con delle terre, nei pressi di Montbard, acquistate unitamente ad una casa, nel 1717, utilizzando una somma, lasciata in eredità da due zii materni, e da pochissimo elevate a Contea. Nel 1723, dopo aver intrapreso presso il Collegio dei Gesuiti di Digione i propri studi, nonostante una forte predilezione per la matematica, si iscrisse ad un seminario di licenza in diritto, che concluse con successo nel 1726. Due anni più tardi, pervaso da un’incalzante sete di sapere, si trasferì ad Angers, per frequentare il corso di medicina e coltivare così i propri interessi scientifici, rivolti alla botanica ed alla storia naturale. Non riuscì però a portare a termine gli studi medici, per una disavventura amorosa che si concluse in un duello ufficiale, nel quale ferì gravemente l’avversario e fu costretto, pertanto, a rifugiarsi a Nantes, dove strinse amicizia con Lord Kingston e con il suo precettore, un cultore di storia naturale, tedesco, chiamato Hickman.
In compagnia del duca inglese e dell’istitutore di lui, Leclerc Conte di Buffon, intraprese un lungo viaggio che, tra il 1730 ed il 1731, lo portò prima nel sud della Francia e successivamente al di là delle Alpi, dove entrò in contatto con studiosi italiani ed acquistò alcune importanti e costose pubblicazioni di carattere scientifico. Rientrato a casa, chiamato per la morte della madre, ed ereditati i beni di lei, fu costretto a dedicarsi con particolare impegno allo sfruttamento razionale e programmatico del proprio patrimonio, in Borgogna. Attività che non lo distolse minimamente dai suoi interessi di studio e che la sua nomina a Responsabile della Sezione di Botanica presso l’Accademia delle Scienze parigina, intensificarono notevolmente. Circondato da ogni tipo di strumentazione, pubblicò nei “Memories” dell’Istituto, dissertazioni, esperienze e riflessioni sui più svariati argomenti. Sperimentò la forza e la resistenza del legno, la balistica, studiò a fondo le scale aritmetiche, la silvicoltura, la scala cromatica, le cause dello strabismo, la legge dell’attrazione, gli specchi ustori ed il liquido prolifico, prendendo le parti di Isaac Newton (1643-1727), relativamente alla disputa di quest’ultimo con Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716), sul calcolo infinitesimale.
Fu, però, il mondo delle scienze naturali a catturare totalmente i suoi pensieri. Indicò due metodi per trattare la storia della natura dell’uomo, cioè uno antropologico, incentrato sullo studio delle varietà della specie umana ed uno individuale, con la descrizione della generazione, della formazione e dello sviluppo, prestando, altresì, molta attenzione alle differenti età della vita ed alla struttura anatomica della macchina corporea. Animale tra gli animali, debole dalla nascita, l’uomo distanziava per superiorità tutti gli altri esseri viventi e portava nel volto i segni del proprio pensiero, esprimendo mediante la parola le proprie emozioni. Nella stesura della sua monumentale opera enciclopedica, in trentasei volumi, dal titolo “Histoire naturelle”, egli sosteneva che tra l’essere pensante e la creatura animale vi fosse una differenza di natura, una separazione fin dalla creazione, come fattore di evidenziazione della plasticità della specie umana. La collana enciclopedica ebbe un immenso successo, tanto che dei due primi volumi (“Théorie de la terre” e “L’Histoire naturelle de l’homme”), in pochissime settimane, uscirono tre nuove edizioni, che furono tradotte in tedesco, in inglese ed in olandese. Buffon avanzò l’ipotesi delle molecole organiche, del “moule intérieur”, inteso come campo di attrazione. Ogni individuo era uno stampo ed ogni stampo lavorava da elemento di stabilità nella formazione, conservazione e trasmissione dei caratteri e delle funzioni degli individui e delle specie. Teoria che peraltro sollevò accesi dibattiti tra uomini di religione e di cultura. Una disputa che si inquadrava in una querelle ben più vasta e prendeva spunto da tutta una serie di relazioni che riportavano i risultati, del tutto positivi, desunti da alcune operazioni chirurgiche, e che trascinavano con sé pricìpi psicologici e gnoseologici. Di questi interventi, quello che suscitò più scalpore fu, per mano del chirurgo inglese William Cheselden (1688-1752), sugli occhi di un cieco dalla nascita, affetto da cataratte congenite.
Quindi una natura che si poteva modificare e, di conseguenza, anche migliorare. “Trasformismo”, non “fissismo” assoluto. L’accezione più diffusa di evoluzione, che nel XIII Secolo generalmente significava sviluppo, sembra limitare la portata di alcune vedute ardite del naturalista di Montbard. Tra i contendenti volarono accuse di plagio, furono sollevate questioni di priorità e la penna dell’Abate Étienne Bonnot de Condillac (1714-1780), filosofo di chiara fama, divenne addirittura stizzosa nei confronti di Buffon. Il religioso tentò di demolire, con critica particolareggiata, una per una le sue argomentazioni e tentò altresì, combattendo il cliché dell’uomo macchina, di fugare i sospetti di materialismo, che anche su lui stesso si andavano addensando. Il nostro naturalista uscì comunque indenne anche da quella disputa, mentre Condillac, lasciò di lì a poco la Francia, per vivere giorni più tranquilli nella veste di educatore del Duca di Parma.
Focalizzare l’attenzione sul mondo animale di intonazione trasformistica, fu il passo del terzo volume delle “Histoire naturelle” (Histoire des animaux), nel quale, formulando un’obiezione ai “metodi di classificazione”, Buffon considerò le conseguenze a cui portava, ad esempio, la sistemazione dell’asino nella famiglia del cavallo o quella della scimmia nella famiglia dell’uomo, con la conseguente illazione, che scimmia ed uomo avessero avuto un’origine comune. Una sfida da tentare comunque, ad ogni costo.
Altri, dopo di lui, hanno portato avanti la “storia della natura”, che egli ha contribuito a far entrare, con fisionomie e linguaggi ben definiti, nella “storia della cultura”. Ricercare in Jean-Baptiste de Lamarck (1744-1829), in Michel Adanson (1727-1806), in Immanuel Kant (1724-1804), in Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832), in Erasmus Darwin(1731-1802) ed in suo nipote Charles (1809-1882) sviluppi di fermenti buffoniani, significherebbe fare un lunghissimo discorso, che non appare opportuno affrontare ora, così come esaltare in lui la figura di “solitario”, non è storicamente utile.
Nel clima irrequieto che preannunciava, in Francia, la Rivoluzione, il “Journal de Paris”, in uscita il 3 maggio 1788, a soli venti giorni dalla morte, riconosceva a Georges-Louis Leclerc Conte di Buffon scienziato, il merito e l’audacia di aver “percorso l’Universo intero [lett.]”. Con mano instancabile e sicura, aveva consegnato, via via, ai suoi manoscritti la visione d’insieme ed i dettagli di una dottrina veramente monumentale, dottrina che venne, ahimè, dai contemporanei, tacciata di equivocità e di contraddizioni. Le ambiguità e le oscillazioni di Buffon furono legate sia alle cautele, sia ai modi nei quali egli reagì, a contatto con gli elementi di cultura che pesarono molto sulla personale formazione intellettuale. La sua adesione alla teoria della generazione spontanea, di cui si è accennato, non fu dovuta soltanto all’inadeguata interpretazione dei reperti microscopici, bensì al peso della tradizione epicureo-lucreziano-cartesiana, che non cessò mai di condizionarne le idee.
La morte, attesa ma non desiderata, giunta il 16 aprile 1788, nel suo alloggio presso il “Jardin du Roi”, già a quei tempi uno dei più antichi organismi scientifici ufficiali francesi, gli risparmiò di assistere al crollo delle sue illusioni ed alla rovina di un passato che aveva scosso in prima persona, volgarizzando la scienza, convinto, al contrario, di averlo consolidato, per l’assoluta fedeltà ai principi religiosi e sociali su cui quel passato riposava. E non seppe mai di aver influenzato in maniera determinante ed asettica, lui, naturalista, matematico e cosmologo, esponente di un movimento scientifico legato all’Illuminismo, le generazioni successive di scienziati evoluzionisti, come, tra gli altri, Lemark e Darwin.
I suoi funerali si svolsero con fasto ed il corpo venne inumato a Montbard, nell’amata Borgogna. Il suo cervello è tuttora conservato nella base della statua, che la Francia gli eresse, situata nel parco del Museo di Storia Naturale, a Pajou, museo che a lungo diresse e visibilmente arricchì di sapere.