Stelle americane nell’Italia occupata: sport e cinema in Campania a supporto delle truppe alleate
Quando si pensa ad Hollywood, per quelli un po’ più grandicelli che hanno fortunatamente vissuto il fascino del bianco e nero, vengono subito in mente i nomi delle grandi stelle americane come Frank Sinatra, Clark Gable o Humphrey Bogart, accompagnati nel firmamento dello Star System americano dalle divine Ingrid Bergman, Rita Hayworth o Liz Taylor. Pochi, però, ricordano che alcune di queste stelle del cinema americano consolidarono la propria carriera professionale proprio durante i difficili anni della Seconda guerra mondiale arrivando, tra l’altro, a supportare i corpi militari con ben organizzate tournée anche nell’Italia occupata.
Accompagnati perfino da qualche famosissimo personaggio sportivo, ricordiamo ad esempio il gigantesco pugile, wrestler e attore italoamericano Primo Carnera, le semidivinità americane di musica e cinema, negli anni ’40, furono perfino ingaggiate dal governo del Presidente Roosevelt per raccogliere fondi e finanziare il conflitto in Europa contro il nazifascismo. L’operazione, chiamata programma ‘All-Star Bond Rally’, ebbe un successo strepitoso proprio grazie all’immagine e all’intervento dei più noti personaggi dello spettacolo, raccogliendo nei suoi diversi tour ben 185 miliardi di dollari del 1943! Location privilegiate, dove far esibire questi veri e propri influencer del passato, furono ovviamente le più belle strutture dell’arte italiana occupate dalle truppe angloamericane, templi della musica o della cultura come il Teatro San Carlo di Napoli, la Reggia di Caserta o il Teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere, conosciuto tra l’altro come “piccolo San Carlo” per la somiglianza con la più famosa struttura partenopea.
Diverse firme del divismo d’oltreoceano si fecero vedere soprattutto in Campania, diventata una sorta di centro commerciale degli angloamericani e nuovo Quartier Generale militare, il cosiddetto AFHQ (Allied Force Headquarters), impiantato ufficialmente l’11 novembre del 1943 nella Reggia di Caserta. Tra i tanti, si sottolinea la presenza di ‘The voice’, Frank Sinatra, anche conosciuto tra le donne come Swoonatra, nomignolo riferito all’effetto che spesso sortiva nelle sue ammiratrici, tra i grandi protagonisti di questa stagione di presenze stellari tra Napoli e Caserta, nonostante una guerra ancora attivissima a pochi chilometri di distanza. Sinatra sarebbe tornato in Italia anche nel dopoguerra, seppur protagonista di diversi particolari episodi, tra cui una forte contestazione proprio a Napoli nel 1953, letteralmente abbandonato dai fan infuriati perché, a causa dei problemi matrimoniali con l’ancor più famosa Ava Gardner, non si era presentato con lei in teatro!
Non meno interessanti gli episodi che videro protagonista Humphrey Bogart, inviato dal fronte nordafricano a Napoli, sul finire del ’43, con la compagna di vita dell’epoca, l’attrice Mayo Methot, per completare il tour natalizio di 12 settimane tra performance artistiche, visite ai soldati feriti e un appartamento di lusso nel nuovo quartier generale, la già citata Reggia di Caserta, in cui tra l’altro ospitò il famoso Capitano John Houston, quello del film “The Battle of San Pietro”. Molto particolare proprio l’apparizione dei “Bogarts” sul rattoppato palco del San Carlo Opera House, come veniva chiamato in inglese il teatro napoletano, con una performance al limite della sufficienza a causa dei problemi personali della consorte, da tempo ritiratasi dalle scene e intimamente provata dall’alcolismo. Non a caso, infatti, di lì a poco il matrimonio sarebbe naufragato e, secondo le ben informate voci di gossip, la problematica esibizione a Napoli avrebbe rappresentato l’atto finale di un epilogo già ampiamente scritto.
Ma se per lo sport a Caserta gli americani erano sottoposti a forte concorrenza mediatica per la presenza degli straordinari campioni di cricket, i gemelli inglesi Alec ed Eric Bedser, stelle del seguitissimo sport britannico interrotto a causa dei bombardamenti sull’isola, per cinema e musica non c’era proprio storia. Gli americani, oltre a far scendere in campo le teste di serie a Napoli, dove a fine guerra fu organizzato un interessante incontro di pugilato con il seguitissimo Primo Carnera nello “Stadio del Vomero”, si sforzarono anche di più per accontentare le truppe che stanziavano alla Reggia di Caserta e negli altri comandi secondari dei dintorni. È il caso, ad esempio, del Teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere, importante centro dove in tempi lontani sorgeva la potente Capua rivale di Roma, la cui sala fu usata a lungo esclusivamente dalle truppe americane. Nella nota struttura in stile tardo-neoclassico, inaugurata il 12 aprile del 1896, ispirata all’architettura del San Carlo di Napoli, andarono in scena le bellissime jam-session di musicisti americani del calibro di Cole Porter o di Coleman ‘Bean’ Hawkins, il cosiddetto padre del sassofono jazz. Ma il Garibaldi, rinominato Allied Military Theatre, ospitò anche uno degli spettacoli di maggior successo del famoso compositore americano Irving Berlin, che portò in Italia, per intrattenere e sollevare il morale delle truppe d’occupazione, il musical record d’incassi This is the Army! (Questo è l’Esercito), spettacolo molto particolare perché interamente interpretato da veri soldati includendo, in un periodo di fortissima separazione dei ruoli e diritti tra bianchi e neri, anche dei militari di colore. Berlin, musicista che pochi associano ad una delle canzoni più note della moderna tradizione natalizia, l’inflazionata White Christmas, dopo aver concluso un primo tour nelle basi alleate in Nord Africa, avviò le proiezioni in Italia partendo da Napoli nell’aprile del 1944, per poi approdare a Roma a metà giugno passando, però, anche per S.Maria Capua Vetere, dove vi fu una vera e propria ovazione del numeroso pubblico composto, come da accordi, solo da militari presenti sul territorio italiano.
Una storia ricca di perle, via via restituite da locandine, documenti ufficiali, foto e video, che ci racconta l’inizio di una ripresa sociale, economica e culturale di territori appena usciti dalle fasi più cruente della guerra, trasformati in volano per quella ricostruzione che, tra alti e bassi, ci ha consentito di vivere il periodo di pace più lungo della nostra avventura nazionale.