La leggenda Freddie Mercury
Il 24 novembre scorso, in tutto il mondo, è stato ricordato Freddie Mercury, indimenticato frontman dei Queen, a trent’anni dalla morte.
In Italia, anche la Rai ha trasmetto il film del 2018 “Bohemian Rhapsody”, tratto dalla storia del gruppo inglese, che con un budget di 52 milioni di dollari, è arrivato ad incassarne oltre un miliardo, vincendo anche quattro premi Oscar, tra cui quello di miglior attore protagonista a Rami Malek che nel film interpreta proprio Freddie Mercury.
Farrokh Bulsara, questo il nome di Freddie Mercury prima di cambiarlo all’anagrafe inglese, era nato a Zanzibar, allora Protettorato britannico, il 5 settembre del 1946 da una famiglia di origine persi-indiana.
La sua voce potente, forse la più bella del Novecento, è diventata un culto arrivando ad essere persino studiata da un team di ricercatori per poterne cogliere ogni segreto e ogni sfumatura.
Nessuno riusciva a resistere alla sua fenomenale estensione vocale e fu grazie a quella, in un provino improvvisato di notte per strada nel 1970, che il ragazzo arrivato dall’India (dove la sua famiglia si era trasferita in seguito alla Rivoluzione a Zanzibar) conquistò il chitarrista Brian May e il batterista Roger Taylor, che fondarono poi una nuova band che fu ribattezzata Queen proprio su suo suggerimento.
A quanti gli chiedevano il perché di quel nome rispondeva che era solo un nome come tanti, ma che appariva regale, forte e universale. Era immediato, facile da ricordare e aperto ad ogni tipo di interpretazione, anche quelle derivanti dalle implicazioni omosessuali che recava in sé.
Il primo disco dei Queen, che intanto erano diventati quattro con l’aggiunta del bassista John Deacon, arrivò dopo tre anni, ma il successo e il riconoscimento internazionale lo ottennero nel 1975 con il leggendario “A Night at The Opera” che conteneva “Bohemian Rhapsody”. Il mondo rimase incantato dalle musicalità rock associate alla lirica di quel disco, ma soprattutto tutti furono rapiti dalla sfrontatezza, dalla personalità e dalla gestione vocale del suo talentuoso cantante.
Da quel momento i Queen inanellarono un successo dietro l’altro: le tournée si susseguirono e in tutto il mondo, ovunque suonassero i quattro ragazzi inglesi, migliaia e migliaia di persone cantavano. Cantavano pur non sapendo la lingua, come avvenne a Rio de Janeiro, tutti avvolti nell’atmosfera che il gruppo rock riusciva a creare sul palco, trascinato dal carisma del suo fantastico frontman. Sono leggendarie e ancora da brividi le immagini del Live Aid di Wembley del 13 luglio 1985, uno dei concerti più belli della storia del rock di tutti i tempi, dove i Queen, come sostenuto da Elton John “rubarono la scena a tutti”.
Il concerto, presentato come “un Jukebox globale”, iniziò alle 12.00 nello stadio Wembley di Londra e proseguì nel John F. Kennedy Stadium di Filadelfia. Fu organizzato da Bob Geldof per raccogliere fondi da destinarsi all’Etiopia, flagellata da pesanti carestie ed è diventato il più grande collegamento via satellite e la più grande trasmissione televisiva mai realizzata, con quasi due miliardi di spettatori di 150 Paesi collegati in diretta.
Tutte le più grandi star internazionali parteciparono all’evento che ottenne un successo strepitoso e furono raccolti fondi oltre ogni obiettivo prefissato, ma quello che viene, ancora oggi, ricordato in tutto il mondo è la performance strepitosa dei Queen, ritenuta la migliore di tutta la manifestazione: Freddie Mercury riuscì a trascinare l’intero stadio cantando una parte di Bohemian Rhapsody, Radio Ga Ga, Hammer to Fall, Crazy Little Thing Called Love, We Will Rock You e We are the Champions.
Così come avvenne poi l’anno successivo nel Live at Wembley o nell’ultimo concerto che la band tenne dal vivo a Knebworth Park il 9 agosto 1986, davanti a 120mila spettatori. Freddie Mercury era diventato una leggenda.
Certo, talento assoluto e senza pari, ma anche vittima di sé stesso. Alla fine del 1982, anche a seguito dello scarso successo dell’album Hot Space e di alcuni malumori sorti all’interno del gruppo, i Queen decisero di separarsi e dedicarsi a progetti da solisti. Mercury si trasferì dapprima a Monaco e poi a New York, ma la vita notturna e dissoluta che condusse in quel periodo lo condizionò moltissimo tanto da non riuscire “quasi mai a lavorare in condizioni psicologiche perfette”, come da sua stessa ammissione.
E si ammalò di AIDS, malattia spaventosa e allora poco conosciuta che gli causò l’insorgenza di gravi problemi respiratori e il Sarcoma di Kaposi. Mantenne sempre un grande riserbo e in un primo momento tenne nascosta la sua malattia anche agli altri componenti della band, quando decise di tornare e riprendere l’attività con i Queen, ma non trascurò mai la sua carriera musicale, raggiungendo altri strepitosi successi. All’inizio del 1991 morì di AIDS uno dei suoi tanti amanti e le notizie sulla sua probabile malattia si moltiplicarono, anche perché ormai aveva deciso di ritirarsi dalle scene. Il 22 novembre le sue condizioni di salute erano peggiorate a tal punto che il suo staff fu costretto ad ufficializzare la malattia. Il giorno dopo, l’apertura di tutti i giornali riguardava Freddie Mercury e l’AIDS. Ma non si fece in tempo nemmeno a metabolizzare la terribile notizia: il pomeriggio del 23 novembre la leggenda dei Queen entrò in coma e il giorno dopo il suo cuore smise di battere a soli 45 anni per le complicazioni di una broncopolmonite causata dall’HIV. Niente poteva far presagire che la morte sarebbe arrivata così presto, dopo solo 2 giorni aver svelato al mondo la sua malattia, ma in realtà già da qualche settimana il cantante aveva deciso di non prendere più medicine.
Dopo due settimane dalla sua morte, Bohemian Rhapsody il grande successo a cui Mercury era particolarmente legato, fu rimasterizzato e con la nuova uscita, si piazzò nuovamente al primo posto della classifica inglese. Tutti i proventi furono devoluti interamente al Terrence Higgins Trust, organizzazione che si occupa di malati di AIDS.
Dopo la scomparsa prematura del loro leader i Queen e il loro manager organizzarono un concerto-tributo per lanciare la Fondazione “The Mercury Phoenix Trust”, attiva ancora oggi, che si occupa di raccogliere fondi per la lotta all’AIDS.
La morte di Freddie Mercury ha rappresentato un passo significativo nella lotta al virus HIV, ha aperto gli occhi a milioni di suoi fan in tutto il mondo sulla pericolosità della malattia, anche se da molti fu criticato per aver taciuto la sua positività, considerando il fatto che con il suo carisma e la sua fama avrebbe potuto raccogliere fondi da destinare alla ricerca di una cura. Ma dell’AIDS si sapeva ancora pochissimo e forse Freddie aveva paura di essere “marchiato”. Chissà, forse era davvero questa la sua paura più grande quella di essere “ghettizzato” come quando decise di cambiare il suo nome e nascondere un po’ le sue origini persiane.
In una vecchia intervista, interrogato sulla scelta tra Paradiso e Inferno aveva detto “L’inferno è molto meglio. Guarda quante persone interessanti si possono incontrare laggiù! Se devo andare da qualche parte, meglio là”. Chissà adesso dove sarà Freddie…