Venezuela: un’altra occasione persa
In Venezuela si è persa un’altra occasione, un’opportunità che poteva rappresentare una svolta sostanziale, un cambio di rotta per riconquistare quella democrazia ormai perduta da troppi anni. Nelle elezioni regionali del 21 novembre scorso, i candidati del Governo di Maduro hanno ottenuto una vittoria schiacciante conquistando 20 dei 23 posti da governatore, oltre alla municipalità di Caracas, lasciando a un’opposizione divisa e inconcludente solo le briciole.
Altissima l’astensione, quasi il 60%. Non hanno votato nemmeno i circa 4 milioni di venezuelani residenti all’estero che hanno un peso determinante per l’opposizione essendo molti di loro fuggiti proprio per ragioni politiche e come sempre in questi casi, non ha vinto l’astensione ma piuttosto ha perso la mancanza di una direzione politica e di lotta per la democrazia del Paese.
Per la prima volta dopo 15 anni, l’Unione Europea aveva inviato in Venezuela osservatori elettorali, ma il regime socialista di Maduro ha chiesto “con le buone” ai rappresentanti della UE di evitare commenti sui risultati elettorali, rispettando la sovranità del Paese e senza interferire negli affari interni dello Stato.
E anche questa tornata elettorale non è stata pacifica con scontri in alcuni seggi e con un bilancio di due morti e una ventina di feriti.
Da anni il Venezuela, Paese di 30 milioni di abitanti e ricchissimo di giacimenti petroliferi, vive una grave crisi economica con il razionamento dei generi di prima necessità, aggravata dalla violazione dei diritti umani e da delinquenza e corruzione dilaganti.
Nulla è cambiato dopo la morte del presidente Hugo Chavez, populista autoritario, che ha dato al Paese una guida socialista molto vicina a regimi totalitari come quello castrista, quello libico di Mu’ammar Gheddafi e quello iraniano e solo apparentemente democratica, ma invece decisamente votata ad allontanare dallo Stato la globalizzazione neo-liberista.
Morto prima di finire il quarto mandato, il suo posto è stato preso da Nicolas Maduro. La presidenza temporanea del governo, prima di nuove elezioni, sarebbe spettata al presidente dell’Assemblea nazionale, ma Maduro, erede designato di Chavez, violando alcuni articoli della Costituzione, ha assunto il potere e la guida del Paese, anche se da molti Stati soprattutto europei, non viene riconosciuta né la sua presidenza né il suo governo.
Sotto la sua guida sono peggiorati tutti i parametri economici: la corruzione sempre crescente, la politica economica sbagliata che ha abbassato il prezzo del petrolio (principale fonte di guadagno per il Venezuela), il dilagare del crimine con una percentuale di omicidi fra le più alte del Sudamerica, l’aumento dell’inflazione e di conseguenza della povertà, hanno generato una gravissima crisi economica con proteste di piazza e sommosse popolari, il più delle volte represse violentemente dal regime. Spesso le organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani, hanno riportato notizie e testimonianze di uccisioni, torture e violenze sessuali ai danni dei manifestanti.
Inoltre il sistema giudiziario è per la maggioranza costituito da rappresentanti del governo socialista di Maduro e quindi, di fatto, utilizzato per indurre al silenzio i dissidenti. Nel 2017 la Procuratrice generale del Venezuela Luisa Ortega Diaz, ha promosso davanti alla Corte Suprema, un’azione nei confronti di Maduro per le violazioni della Costituzione, ma in seguito a queste accuse è stata rimossa dall’incarico ed è dovuta fuggire in Colombia per non rischiare di essere ammazzata. Da Bogotà, dove si è rifugiata, ha denunciato Maduro e alcuni suoi ministri alla Corte Penale Internazionale per aver assassinato tra il 2015 e il 2017 circa ottomila persone e per aver violato i diritti umani attuando la tortura e la detenzione arbitraria di civili dissidenti.
Secondo Maduro invece, queste sono tutte accuse infondate, fomentate da governi internazionali in accordo, come sostiene, con pochi “fascisti interni” che sottopongono il suo Stato a un tentativo “di golpe continuo”.
Il 4 agosto 2018, durante una parata militare, Maduro è stato bersaglio di un attentato, attuato attraverso l’utilizzo di alcuni droni esplosivi che hanno provocato 7 feriti. Uscito illeso, ha dichiarato che l’attacco era stato programmato dall’estrema destra in accordo con i governi degli Stati Uniti e della Colombia, anche se rivendicato da un gruppo paramilitare venezuelano. Ma c’è chi sostiene che invece sia stata opera di “terrorismo di Stato”, praticamente un’azione programmata dallo stesso governo per giustificare la repressione violenta dell’opposizione.
Intanto ha promesso di rendere il Venezuela una grande potenza entro il 2050, affermando che l’esercito (l’esercito????) farà da apripista per rendere il Paese “una centrale di felicità e di uguaglianza”.
Per quanto riguarda la politica estera, Maduro ha parlato di “un’alleanza strategica” con la Russia e ha dato il suo sostegno al governo di Bashar al-Asad, che in Siria è responsabile di un’ecatombe di civili inermi. Verrebbe da dire che sa scegliersi amici e alleati degni delle sue idee!
Le relazioni con gli Stati Uniti non sono mai state buone e sono ulteriormente peggiorate quando ha deciso di dare asilo politico a Snowden, responsabile di una grave fuga di notizie riservate dalla banca dati dell’intelligence Usa. E nemmeno con alcuni Paesi vicini sembra andar molto d’accordo, tanto che dal 2015 è in corso una crisi diplomatica con la Colombia per alcuni territori e aree marittime i cui confini sono ancora in fase di definizione e dove intanto Maduro ha inviato truppe, aspettando una risoluzione “amichevole” delle controversie.
Sono ottime invece le relazioni con la Cina e con la Russia di Putin. La Cina è il secondo partner commerciale del Venezuela, ma più che agli scambi commerciali, il Paese asiatico sembra essere interessato alla “posizione strategica” nel Sud America, derivante dalla collaborazione con Maduro e per questo ha concesso al suo governo ingenti prestiti per riattivare, a pieno regime, la produzione di petrolio.
Anche Putin ha offerto sostegno per bypassare le sanzioni internazionali a cui è sottoposto il Venezuela, firmando con il successore di Chavez diversi trattati per la formazione di un moderno esercito, per la vendita di armamenti e per la costruzione di una fabbrica di fucili russi nello stato di Caracas. I rapporti di recente si sono ulteriormente consolidati con l’invio di mezzi militari e mercenari, come in Siria, per creare un avamposto militare russo in Venezuela e conducendo esercitazioni militari congiunte.
Nel frattempo la libertà dei mezzi di informazione è quasi sparita e le redazioni dei giornali quasi tutte chiuse. Il governo controlla ufficialmente i canali pubblici e quelli privati sono gestiti da simpatizzanti del regime. La situazione sembra peggiorare di settimana in settimana e nell’ultimo rapporto dell’International Rescue Committee, il Venezuela è stato inserito fra i primi cinque Paesi che affrontano le maggiori crisi umanitarie insieme allo Yemen, alla Repubblica Democratica del Congo, alla Siria e alla Nigeria. Il popolo venezuelano sembra essere ormai rassegnato, senza voglia di lottare, inerme, come dimostrato da queste ultime elezioni “sprecate”, dove nessuno ha provato a contendere all’attuale governo la guida del Paese.