I Voyageurs di Bruno Catalano, una valigia piena di ricordi
“Ti guidi la dea signora di Cipro/
i fratelli di Elena, astri lucenti/
il padre dei venti, e li chiuda/
tutti eccetto lo Iapige, o nave/
che ci devi rispondere di Virgilio/
affidato a te, sbarcalo incolume/
ti prego, sulla terra dell’Attica/
conservami la metà della mia anima […]”.
Nel passo tratto da Orazio, Odi 1,3 Virgilio, poeta anch’egli all’interno del circolo di Mecenate, è in procinto di salpare alla volta della Grecia. A lui Orazio rivolge un propemptikòn [dal gr. προπεμπτικός, der. di προπέμπω «accompagnare»], carme di augurio per un buon viaggio.
Sarà capitato a tutti almeno una volta di augurare al proprio amico una felice partenza ed avere sempre “il vento in poppa”, affinché, in senso metaforico, si incontrino le migliori condizioni climatiche per navigare e affrontare le avversità dell’immenso mare della vita.
Eppure l’augurio di “buon viaggio” costituisce un genere praticato già dai poeti greci arcaici poi diffusosi in età ellenistica e nel quale il giovane Orazio si era già cimentato nell’epodo 10, un propemptikòn alla rovescia, dedicato a Mevio, suo nemico, in cui si augura che la nave affondi.
L’amarezza della partenza, il peso dei bagagli, le braccia e le gambe pesanti, il cuore vuoto; una quasi totale spersonalizzazione dell’individuo: “chi sono io? Dove sto andando?” Forse solo la mente può rispondere glacialmente attraverso l’istinto di sopravvivenza a questa domanda, il cuore invece è rimasto a casa.
Queste alcune delle emozioni provate dai viaggiatori, i cosiddetti “Voyageurs” a cui lo scultore Bruno Catalano dedica una serie di gruppi scultorei caratterizzati dalla dicotomia vuoto-pieno, collocati a Marsiglia nel 2013 in occasione della nomina della città come Capitale della Cultura.
«Nel mio lavoro, sono alla ricerca del movimento e dell’espressione dei sentimenti; faccio emergere dall’inerzia nuove forme e riesco a levigarle fino a dare loro nuova vita. Proveniente dal Marocco anche io ho viaggiato con valigie piene di ricordi che rappresento così spesso nei miei lavori. Non contengono solo immagini ma anche vissuto, i miei desideri: le mie origini in movimento» afferma Catalano, che più di ogni altro può rappresentare e plasmare attraverso l’argilla e il bronzo i corpi lacerati, sfiancati, privi di organi che nonostante tutto si tengono in equilibrio.
Nato in Marocco nel 1960, Bruno Catalano sbarca a Marsiglia. Mille sono le speranze, mille i sogni, ma non può fare a meno di ricordare la sofferenza dell’allontanamento dalla propria terra. Diviene prima marinaio, poi elettricista, solo in seguito incontra l’arte ispirandosi a grandi maestri come Rodin, Giacometti, Camille Claudel e Bruno Lucchesi.
La scultura, il desiderio di dare forma alle proprie emozioni, lo accompagnerà per gli anni a venire, fin quando intorno al 1990 in una fiera d’arte contemporanea trova l’attenzione di un gallerista parigino.
«Nella valigia ci sono ricordi, nostalgia, il peso della vita, i vincoli, ma anche le speranze, l’orgoglio e il desiderio di viaggiare, di vivere» sostiene Bruno.
È forse la nostalgia la “chiave di volta” che tiene in equilibrio l’opera nella sua dimensione surrealista. Il termine “nostalgia”, risulta un composto di due parole quali νόστος (nostos, ritorno a casa) e άλγος (algos, dolore), più generalmente il “dolore del ritorno” che si prefigura ad Odisseo nelle vesti di Calipso: l’attrazione verso qualcosa di ancora sconosciuto e la condizione di naufrago errante in un’isola non sua.
Il concetto di emigrazione ed immigrazione è uno dei più complessi temi del nostro tempo, ma dalle radici profondissime, basti pensare alle popolazioni nomadi del X-VIII millennio a.C. passando per il Medioevo sino a giungere all’età moderna con la scoperta dell’America, il colonialismo e la tratta degli schiavi arrivando poi all’espatrio a cavallo tra Ottocento e Novecento con più di 16 milioni di individui diretti in America.
“Eppure lo sapevamo anche noi/
L’odore delle stive/
L’amaro del partire/
Lo sapevamo anche noi/
E una lingua da disimparare/
E un’altra da imparare in fretta […]”
Così recita un estratto del brano “Ritals” (il termine “ritals” denota un individuo di origini italiane che mostra difficoltà a pronunciare correttamente la r francese) di Gianmaria Testa, contenuto nell’album “Da questa parte del mare” e volta a testimoniare la condizione dei cittadini immigrati in massa in Francia e Belgio prima e dopo la seconda guerra mondiale. L’integrazione non è sempre facile e priva di insidie, il viaggio stesso ne pone alcune se il mare è in burrasca, ma in che modo bisogna trattare gli uomini?
Seneca all’interno dell’Epistola 95 a Lucilio afferma: “consigliamo di porre la mano al naufrago, di indicare la via a colui che si è smarrito […] tutto ciò che vedi, da cui sono racchiuse le cose divine ed umane, è uno solo; siamo parti di un grande corpo”.