Da Hofer a Ventura: gli affaristi del Reich e l’arte italiana rubata durante la WW2
Mentre l’Europa si ritrova nuovamente in condizioni di tensione geopolitica, con Putin pronto a scatenare un conflitto armato per la questione ucraina, non possiamo dimenticare le diverse sfaccettature di una Seconda guerra mondiale combattuta tragicamente appena ottant’anni fa. Figlia delle vicende ottocentesche e del conseguente disastro umano della Grande Guerra, la WW2 nasconde al suo interno non solo battaglie e stermini ma, piuttosto, un corollario di eventi che coinvolsero, tra gli anni ’30 ed il 1945, tutti i settori dell’economia, della politica, della cultura e perfino della sfera religiosa. Uno di questi, di cui ancora oggi viviamo i lentissimi sviluppi diplomatici, tra indagini giudiziarie e complicati rientri in Patria, è quello dei furti delle opere d’arte italiane ed europee durante il conflitto, odiosi atti perpetrati sia per vie legalmente “illegali”, sia con secche azioni armate.
Per note ragioni storiche, i tedeschi conoscevano molto bene il Bel Paese e ne frequentavano da sempre i luoghi dell’arte, studiandoli e amandoli senza riserve. Longobardi e svevi, che avevano dominato a lungo in Italia, facevano sentire la Germania d’inizio ‘900 erede diretta di una cultura teutonica che, nei secoli, s’era fusa con la nostra identità plagiandola con un ricco scambio di costumi, idee ed arte. Inoltre, tra le idee con cui Hitler affrontò il suo percorso politico, vi furono sempre l’arte e la voglia di riscatto personale in quell’ambiente che lo aveva rifiutato da giovane, ma che, tra l’altro, doveva servire ad affermare nel mondo il Terzo reich grazie ad una oculata azione di giustificazione storica. Proprio con l’invasione della Polonia, che nel ’39 apriva il periodo più tragico della storia mondiale, si avviarono i primi saccheggi culturali, come ad esempio le bellissime tele sottratte ai principi Czartoryski di Cracovia, tra cui ricordiamo la famosa Dama con l’ermellino di Leonardo da Vinci o ancora lo sfortunato Ritratto di giovane uomo di Raffaello, sottratto dalla medesima collezione e mai più ritrovato.
Già prima della guerra, quindi, il Fuhrer e il suo secondo Hermann Göring avevano avviato la più grande operazione di saccheggio d’arte di tutto il ‘900, e nonostante la propagandistica creazione del Kunstschutz, una sorta di agenzia per tutelare l’arte durante il conflitto, perfino il nostro Paese divenne terreno di caccia dei tedeschi, prima sotto le spoglie dell’alleanza politica, poi con la sottrazione diretta dei beni dopo l’Armistizio. Della prima fase, quella della remissiva alleanza con il potente amico tedesco, ricordiamo ad esempio la forzata cessione del Discobolo Lancellotti, stupenda copia romana dell’originaria opera greca di Mirone, scultura invendibile secondo le norme a tutela del nostro patrimonio, ma ugualmente ceduta a Hitler dal principe Lancellotti in persona che, grazie alle pressioni di Galeazzo Ciano e dei vertici fascisti, la fece “regolarmente contrattualizzare” nel 1937. Ma le inopportune acquisizioni in Italia annoveravano pezzi anche più importanti per il nuovo nascente “Impero tedesco”, come ad esempio le tavole tardogotiche dell’altare maggiore della Chiesa di Vipiteno, con scene della passione di Cristo e della vita di Maria, realizzate dal maestro tedesco Hans Multscher di Ulm. Questo importante polittico, presente nell’affascinante città altoatesina, fu venduto ai nazisti nel gennaio del 1941 attraverso pressioni e collusioni con alcuni “personaggi” di Stato che, per sbloccare l’invio dell’opera in Germania, ne pagarono addirittura i diritti doganali! Una beffa nella beffa che rimane simbolo di questa fase non cruenta dei furti d’arte in Italia. Non solo il nord del Paese risultò attenzionato da questi atti d’amicizia tra le potenze dell’Asse. Göring, che si definiva uomo del Rinascimento e amava la caccia all’arte come segno distintivo elitario, riuscì nello stesso anno a conquistare la Leda e il cigno del Tintoretto e la Madonna dell’Umiltà di Masolino da Panicale. Roma, Firenze, Genova, Venezia, Milano, Napoli, i suoi uomini girarono per mesi in tutta Italia, soprattutto dopo la storica visita diplomatica di Hitler a Roma e Firenze, il 9 maggio del ’38. Dopo quell’evento Firenze diventò uno dei principali centri di acquisto di opere d’arte italiane e molti tra i più importanti antiquari fiorentini fecero lauti affari con Goring, a cominciare dal conte Bonacossi, un facoltoso Senatore del Regno d’Italia che però ufficialmente non fu mai “costretto” a cedere opere d’arte. La versione, ancora molto dibattuta, che non convince del tutto viste le pressioni di quel periodo esercitate dagli incaricati del Reich in Italia, non cancella il fatto che da mercante il conte, pagando percentuali di intermediazione al noto curatore nazista Walter Andreas Hofer, tra il 1941 e il 1942 diede ai tedeschi numerosi pezzi tra cui il ritratto della regina Cristina di Svezia di Tiziano, una Madonna e la già menzionata Leda e il cigno del Tintoretto, ma soprattutto l’opera di Masolino di Panigale poi recuperata nel dopoguerra dall’inarrestabile Rodolfo Siviero.
Tutto ciò fu possibile, anche prima delle tragedie avvenute dopo l’8 settembre, quando Napoli e la distrutta abbazia di Montecassino finirono al centro dell’attenzione dei nazisti, grazie alla compiacenza di affaristi italiani dell’epoca, tra cui si ricorda per notorietà Eugenio Ventura, quello dell’Affare Ventura, l’antiquario fiorentino che scambiò con Goering nove tele di autori francesi (Van Gogh, Cézanne, Degas, Utrillo, Renoir) sequestrate brutalmente dalla Gestapo in Francia, in cambio di opere d’arte di autori italiani. Il Ventura, inquisito dai Carabinieri nel 1946 dopo le ricerche di Siviero, dichiarò di aver intrattenuto rapporti proprio con Hofer e Goering dall’autunno del 1941, arrivando poi a concludere l’affare l’8 marzo del 1943, data in cui i beni furono consegnati e poi conservati in gran segreto presso il Convento San Marco di Firenze fino al loro completo recupero.
Una storia particolare, che continuerò a raccontare nei prossimi articoli, in grado di svelare connessioni incredibili tra militari, politici, antiquari e burocrati i quali, approfittando del caos bellico, provarono ad arricchirsi alle spalle dei popoli europei, tra cui francesi, olandesi ed italiani.