I Caduti di Pietra: anche in Ucraina la cultura è sotto le bombe
A settantasette anni di distanza dalla fine del conflitto più ampio e distruttivo che l’Umanità abbia mai conosciuto, l’Europa torna ad essere un campo di “papaveri rossi” sebbene dal suo ventre sia sorta una porzione fondamentale e fondante della cultura mondiale. Gli attori, magari a parti più o meno invertite, restano però sempre gli stessi. Le cosiddette grandi potenze, tra cui la Russia, erede della tanto temuta Unione Sovietica, hanno già vissuto i tragici quanto inutili momenti dello scontro tra uomini. Nonostante le penose immagini e la costante certezza che in questi conflitti siano sempre gli innocenti a pagare, non possiamo assolutamente dimenticare che le stesse discipline militari hanno più volte teorizzato come la vittoria passi pure per la distruzione e l’annullamento della cultura del nemico.
Già durante la Grande Guerra, primo scontro tecnologico del ‘900, la barbarie bellica ha ad esempio consumato la tragedia di Lovanio in Belgio, città aperta in un Paese neutrale invaso dai tedeschi, che il 25 agosto del 1914 distruggevano l’antica biblioteca universitaria. Nella sua sede, incendiata vilmente dai militari, vi erano alcune delle più antiche e prestigiose collezioni di manoscritti al mondo, tra cui circa 500 codici miniati e 800 incunaboli. Nello stesso periodo in Italia, solo per citare un esempio, come testimoniato dalle parole del famoso scrittore, critico d’arte e giornalista Ugo Ojetti, «…la guerra fu dichiarata la sera del 23 maggio 1915 e la mattina del 24, alle cinque della mattina, due idrovolanti apparvero sulla città di Venezia [….] e le lanciarono quattro bombe. La stessa mattina una squadra di navi austriache postasi davanti ad Ancona, porto oramai non più fortificato, lanciava sette proiettili di grosso calibro contro la Cattedrale di San Ciriaco ben visibile dal mare […..] sei proiettili colpirono la chiesa e uno la torre campanaria. […..] Dopo una sosta di quasi tre mesi, […..] nella notte tra il 24 e il 25 ottobre […..] una bomba cadde sulla Chiesa degli Scalzi a Venezia e distrusse tutta la volta dipinta dal Tiepolo….». Un sottile filo strategico comune che poi avrebbe tessuto nuovo orrore a Napoli, nel ’43, con la messa a ferro e fuoco dell’Università e, ancor peggio, di Villa Montesano a San Paolo Bel sito, a 30 km dal capoluogo campano, dove gli infuriati nazisti, nel ritirarsi, ponevano lucidamente fine all’Archivio storico contenente i registri della Cancelleria Angioina, di quella Aragonese, dell’Ordine di Malta, dell’Archivio Farnesiano, come pure degli Affari Esteri dei Borbone, raccolti in più di 30.000 preziosissimi volumi.
Un problema reale, quindi, tanto quanto le morti umane. Non meno, però, un pianificato e spregiudicato progetto bellico come quello degli scontri sul campo. Così, dopo gli accenni della Prima guerra mondiale, dalla World War II il mondo ha purtroppo imparato la cinica pratica della volontaria e puntuale distruzione dei beni culturali come segno di potenza e, ancor peggio, come strumento per cancellare il volto, l’anima, la religione e l’esistenza dei popoli. Inutili distruzioni, come l’Abbazia di Montecassino, la Basilica di Santa Chiara a Napoli o il Camposanto monumentale di Pisa (a due passi dalla Torre pendente) accompagnati anche dal più speculativo fenomeno dei furti d’arte, in quegli anni principalmente perpetrati dai nazisti a partire dall’occupazione della Polonia del 1939. Non a un caso, a conflitto appena avviato, i nazisti si precipitarono a cercare e sottrarre ai facoltosi principi Czartoryski di Cracovia alcuni capolavori universali come la Dama con l’ermellino di Leonardo da Vinci e il più sfortunato Ritratto di giovane uomo di Raffaello, sottratto dalla medesima collezione e mai più ritrovato al termine del conflitto.
Oggi è l’Ucraina, tralasciando questioni geopolitiche già molto dibattute sui media, a dover subire la strategia del terrore sulla cultura, oltre che sui civili, e probabilmente del furto d’arte quale “bottino di guerra”, trofeo o, potremmo dire, “testa d’Alce” da appendere al muro. Già durante gli attacchi russi del 27 e 28 febbraio, ad appena 3 giorni dall’avvio della scellerata invasione, le bombe di Putin hanno distrutto il Memoriale dell’Olocausto di Babyn Yar ed il Museo di storia di Ivankiv, dando saggio di ciò che accade durante i conflitti in Paesi ricchi di cultura e tradizione. E proprio come nel 1940 in Italia, anche in Ucraina oggi si provano a blindare i monumenti, si tenta di mettere in sicurezza la massa di simboli culturali di una nazione che oggi teme, ad esempio, per la sopravvivenza dell’affascinante Cattedrale di Sant’Andrea e soprattutto della stupenda Cattedrale di Santa Sofia, espressione della religione ortodossa e Patrimonio dell’Umanità dal 1990. Questa monumentale opera architettonica dell’XI secolo, costruita durante il regno del Principe di Kiev, il cosiddetto Yaroslav il Saggio, è ricca di mosaici e affreschi molto ben conservati tra cui di particolare pregio il Cristo Pantocrator a mezzo busto, la Vergine Orans o pregante, la Comunione degli Apostoli. Ma le immagini che ci arrivano da Kiev, e da altre città ucraine ancora parzialmente risparmiate dalle bombe, sono quelle di tentativi, questa volta più approssimativi rispetto a quelli della Seconda guerra mondiale, di “impacchettare” e proteggere statue, musei, chiese, centri storici e tanti altri simboli di una cultura a cavallo tra l’Europa cristiana ed il cuore dell’ex gigante comunista sovietico.
Insomma, una situazione tragica che conferma nuovamente il quadro della follia bellica. Giovani militari, innocenti civili e importanti porzioni di cultura spazzati via da assurde questioni politiche che nel 2022 assumono l’aspetto di un incubo inimmaginabile nel Vecchio Continente. Un ritorno al passato, di quasi un secolo, in un mondo che, invece, dovrebbe vederci tutti concentrati a risolvere i gravi problemi ambientali e di equilibrio delle risorse economiche nei vari continenti. L’augurio, per tutti noi e per i nostri figli, è quello che torni la ragione, che il III millennio sia in grado di far evolvere l’Umanità e non portarla all’autodistruzione.