“Maschicidio” e violenza contro gli uomini: un fenomeno in crescita
Di “femminicidi” e violenza contro le donne, sentiamo purtroppo parlare quasi quotidianamente: sono tantissime le donne violentate, perseguitate e uccise dagli uomini, un fenomeno in costante crescita che non sembra placarsi.
Ma esiste anche il “maschicidio”? Si può osservare il fenomeno tenendo conto dell’altra faccia della medaglia? Si può dare al termine “maschicidio” lo stesso significato e pari dignità che ha il suo corrispettivo opposto pensato al femminile? Certo che sì! Ed è doveroso farlo.
Pur non volendo riportare tabelle, numeri o percentuali, paragonando i due fenomeni, si può di certo affermare che il femminicidio è più frequente del maschicidio, ma con ciò non si può non constatare che la violenza sugli uomini perpetrata dalle donne è in crescita e altrettanto aberrante.
Isaac Asimov sosteneva che “La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci”, senza fare distinzione di genere.
La violenza è violenza a prescindere da chi la esercita e chiunque può essere vittima o carnefice.
Forse, proprio per questo, la cosiddetta “violenza di genere” andrebbe affrontata e analizzata con un’ottica diversa, sicuramente più ampia. Il fatto che il femminicidio sia più frequente del maschicidio porta con sé considerazioni il più delle volte affrettate, superficiali e banali: “Gli uomini sono più violenti e più portati a considerare la cultura “del possesso”; “Gli uomini andrebbero rieducati”; “Bisognerebbe infliggere pene più severe per il femminicidio” e tanti altri pensieri simili, di fatto tutti giusti, ma sicuramente recanti in sé una certa retorica.
Si tende a parlare poco di uomini vittime di violenza perché questa società porta a considerare quasi sempre l’uomo come carnefice, non riuscendo a superare il pregiudizio sociale che impedisce di pensare che la donna possa essere un soggetto violento, esattamente come gli uomini. Uno stereotipo difficile da superare è quello che imprigiona l’uomo nel ruolo di predatore e la donna sempre in quello di preda, ma non è così.
Un altro è sicuramente quello che identifica l’uomo con il concetto di virilità, come soggetto “Alpha” che non può essere considerato debole. Proprio a causa di queste “etichette sociali”, molto spesso l’uomo non denuncia la violenza subita per vergogna del giudizio, lasciandola il più delle volte nascosta, “sotterrata”, ma che condiziona poi pesantemente la sua esistenza.
È meno frequente la violenza fisica delle donne nei confronti degli uomini solo per una mera questione “fisiologica” legata alla forza fisica, ma quello che emerge sempre più spesso è invece la violenza psicologica. Uomini e bambini spessissimo, tra le pareti domestiche, subiscono violenza psicologica dalle donne, una forma di maltrattamento subdola che mira al controllo della persona e ad instaurare nel soggetto che la subisce una sensazione di inferiorità, senza tracce evidenti nel fisico, ma che non è meno grave della forma di violenza più conosciuta. E secondo gli psicologi le donne sono le più propense ad esercitarla, soprattutto in ambito familiare.
Le minacce, i ricatti, le offese, le vessazioni, le persecuzioni e l’abominevole strumentalizzazione dei figli sono manifestazioni di violenza paragonabili a schiaffi, pugni o lesioni fisiche perché ledono la dignità e tracciano talvolta solchi insanabili nell’animo con tutte le disastrose conseguenze annesse. Non è forse una forma di violenza non concedere ai padri separati l’opportunità di vedere i propri figli, quando le condizioni di sicurezza per i bambini lo permetterebbero? L’alienazione parentale è un fenomeno in netta crescita, aberrante e feroce.
Secondo recenti indagini dell’Istat, analizzando la violenza sul posto di lavoro, è emersa una crescente violenza a sfondo sessuale ai danni degli uomini da parte delle donne. Ed è una forma di violenza, per esempio, anche quella che vede la donna “usare le sue armi seduttive” per ottenere un posto di lavoro o un vantaggio a discapito di un collega uomo e della meritocrazia.
Un dato che lascia spiazzati è quello di uno studio americano che ha analizzato i processi per violenza: le donne sono state assolte quasi dieci volte più spesso degli uomini utilizzando “la scusante” di aver agito per legittima difesa anche quando non era così, determinando un’assoluzione anche per donne non innocenti. Molte di loro sono state poi smentite dalle dichiarazioni rilasciate da altre persone coinvolte nelle vicende che hanno fatto cadere l’attenuante della legittima difesa. Anche questa è una forma di violenza, nei confronti degli uomini e della società.
L’uso del termine maschicidio ha, in altri contesti, sollevato moltissime polemiche perché secondo alcuni, soprattutto secondo molte donne, il fenomeno non può essere paragonato al femminicidio, vera e propria piaga sociale. Chi scrive è una donna che non ama l’otto marzo, sempre più riconducibile solo a festa commerciale piena di fiori gialli che ha perso il suo significato iniziale; che non ama le “quote rose” perché quelle sì che sono discriminatorie!
È una donna che semplicemente pensa che tutti gli esseri umani abbiano pari dignità, pur con le loro magnifiche differenze e che la violenza è solo e sempre violenza. E che pensa pure che forse la strada da seguire è quella di smetterla con le polemiche e le classificazioni “di genere” e educare tutti al rispetto delle diversità.