I Vigili del Fuoco: dai Cape ‘e fierro del ‘900 all’Ucraina sotto attacco russo, eroi senza paura con elmetto e scale
La storia dei “Pompieri”, termine più romantico della meno popolare definizione di Vigili del Fuoco, è il racconto stesso dell’evoluzione umana e dei sentimenti di solidarietà ed empatia che contraddistinguono la nostra specie. La necessità di soccorso e, ancor più, di domare il tanto necessario ma pericoloso fuoco, è antica quanto l’uomo ed i suoi insediamenti. Le prime solide notizie di un’organizzazione a difesa di popolazione e aree urbanizzate arrivano direttamente dalla Caput Mundi, la Roma di Augusto che pochi anni prima di Cristo aveva organizzato, addirittura con apposite norme, una milizia di difesa civica formata da vere e proprie guardie notturne, una sorta di legione da 7.000 uomini al comando di un Prefectus Vigilium. Di questa primordiale organizzazione, formata da distaccamenti e caserme, esistono ancora oggi testimonianze nel quartiere romano di Trastevere, dove un’appena percettibile iscrizione svela un antico edificio adibito ad excubitorium della VII Coorte dei Vigiles, una sorta di centrale operativa che tra l’altro ha dato il nome alla strada.
Molto significativo il fatto che tali uomini, che assicuravano una vigilanza notturna delle strade sia in funzione antincendio che di pubblica sicurezza, usavano come proprio motto la locuzione “Ubi dolor ibi vigiles”, ovvero “Dove c’è il dolore lì ci sono i vigili”, a testimoniare già con chiarezza l’eroica missione di un corpo che ancora oggi gode dell’indiscussa ammirazione degli italiani. Così, passando per una prima rivoluzione, quella del Corpo dei Sapeurs-Pompiers di Parigi, nati nel 1811, una vera organizzazione moderna di successiva ispirazione per tanti altri Paesi soprattutto europei, in Italia i “Pompieri civici comunali” continuarono ad operare a lungo attraverso organizzazioni locali, con pochi uomini e purtroppo dotati di scarsi mezzi tecnici per garantire un’efficace difesa antincendio. Solo in piena epoca fascista, nel 1935, dopo la tremenda esperienza del ’15-’18 e con la Seconda guerra mondiale in arrivo, finalmente fu istituito il tanto amato Corpo nazionale dei pompieri, poi nel ’41 diventato Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, unità operativa alle dirette dipendenze del coevo Ministero dell’Interno.
Proprio durante la Seconda guerra mondiale i nostri “Pompieri” mostrarono il volto più umano e fraterno di eroi a cui la gente affidava tutte le speranze di salvezza. Mai paghi, sprezzanti del pericolo, feriti essi stessi da bombe ancora in caduta sulle città, furono chiamati nei modi più disparati per riconoscenza, affetto, fiducia e soprattutto valore. Ad esempio a Napoli, ove fu tra l’altro colpita la storica Caserma Del Giudice di Via del Sole, da tempo s’erano guadagnati l’affettuoso titolo di “Cape ‘e fierro”, nomignolo popolare affibbiatogli sia per il caratteristico elmetto in metallo brunito dalla particolare cresta, sia per il più importante significato morale guadagnato sul campo, quello di uomini che «mostravano sempre un coraggio da veri combattenti, quindi con la testardaggine di uomini di ferro». Ma anche nel dopoguerra gli uomini con l’ascia in mano e la bombola d’ossigeno, in tutto il mondo, hanno mitigato le tremende ferite subite da donne e uomini a qualunque latitudine.
Restano scolpiti a fuoco i sacrifici dei circa 190 Vigili del Fuoco che, il 26 aprile del 1986, sacrificarono il proprio futuro intervenendo a Chernobyl, in un’Ucraina ancora sovietica, fermando i tanti incendi che avrebbero disastrosamente ampliato la tragedia radioattiva del distrutto reattore numero 4. Qualcuno ha più volte affermato, correttamente, che salvarono mezza Europa da un piccolo olocausto atomico. Simbolo di questo sacrificio il Tenente Pravik e il Tenente Kibenol, i due capoturno rispettivamente di Chernobyl e della vicina località Prypriat, deceduti due settimane dopo l’incidente a causa delle radiazioni assorbite. Ancora, possiamo ricordare i grandi sacrifici del corpo italiano subito dopo lo sconquasso del terremoto in Irpinia del 1980. “Fate presto” l’iconico titolo del quotidiano Il Mattino, più avanti supportato dalle foto di un addolorato Presidente della Repubblica Sandro Pertini, mentre l’Irpinia riceveva il soccorso di tutti i distaccamenti dei Vigili del Fuoco vicini. Ma spostandoci nel Paese del Sol levante, il Giappone dei Manga, non si possono dimenticare le gesta dei Corpi di Soccorso accorsi dopo il disastro alla centrale nucleare di Fukushima, pompieri arrivati addirittura da Tokyo, città che ogni anno dimostra l’efficienza dei propri uomini con una manifestazione acrobatica diventata molto famosa sui social.
Oggi quel coraggio da leoni, che però non viene ostentato, anzi viene sofferto in silenzio tra affaticati respiri, è mostrato dai Vigili del Fuoco ucraini, quelli di una comunità in guerra, sotto le bombe, anacronisticamente vittima di un conflitto senza senso nell’Europa del III millennio. La società dell’immagine, dei video, della diretta social, da circa un mese ci mostra continuamente questi uomini che provano a spegnere incendi dove le bombe hanno abbattuto vite ed edifici, che si arrampicano per tirar fuori civili da macerie fumanti di assurdità e infamia. Uomini che, come a Chernobyl, a Fukushima o nell’Italia della Seconda guerra mondiale, continuano ad indossare le vesti di angeli senza saperlo, nascosti da divise annerite da detriti e fuliggine a cui tutti, in caso di pericolo, speriamo di poterci aggrappare. Oggi preghiamo per i Pompieri ucraini, affinché si facciano forza durante interventi che li portano dentro lo strazio e la vergogna degli “uomini contro”, per loro che donerebbero la vita per salvare anche un perfetto sconosciuto.