Dal turismo militare di massa della Seconda guerra mondiale all’odierno low cost globalizzato
Nel raccontare le storie della Seconda guerra mondiale, ravvivate purtroppo dall’attuale tragedia in Ucraina, va considerato che, pur nel suo complessivo quadro di assurda disumanità, essa non fu solo sangue e bombe. Mentre si consumava la tragedia, infatti, altre intelligenze già mettevano le basi per ciò che definiamo rispetto, moralità, socialità e democrazia. Proprio dalla guerra, insomma, nacquero fenomeni che oggi appaiono normali, come se l’Umanità li avesse sempre vissuti allo stesso modo. Uno di questi, figlio della bellezza di un continente dove gli aristocratici avevano storicamente vissuto i “Grand Tour”, è rappresentato dal turismo degli anni ’40, un vero e proprio caso sociale germogliato durante un conflitto basato su odiosi preconcetti, condensato nelle prime attività ludiche delle truppe tedesche, poi trasformatosi in business grazie all’iniziativa capitalistica dei vincitori statunitensi, soprattutto nella Napoli già liberata dagli scugnizzi a fine settembre del ‘43.
Come evidenziato dai tanti segni sparsi in documenti e foto di guerra, la nascita del “Turismo militare di massa”, di cui mi occupo dal lontano 2014, va associata all’occupazione nazista di Parigi del 14 giugno del 1940. Figlia delle leggi razziali e della volontà tedesca di creare un modello “puro” di essere umano, il fenomeno si sviluppò durante gli anni bui del nazifascismo come embrionale ampliamento dello svago di lusso a nuove categorie sociali, ma diede pure vita ad un turismo low cost dai grandi numeri, sebbene con il semplice scopo di infiltrare ufficiali tedeschi tra la popolazione occupata e limitare le poco opportune “voglie” dei numerosi soldati della truppa. I militari nazisti di ogni rango furono così spinti a visitare le bellezze francesi dando vita al primo flusso turistico massivo dell’era contemporanea, addirittura pubblicizzato con uno slogan molto conosciuto, “Jeder einmal in Paris” (tutti una volta a Parigi), e basato su pasti in ristoranti esclusivi ed attività ricreative in teatri, musei o centri sportivi. Grazie agli uffici stanziati nel Palais Bourbon, i tedeschi strutturarono un vero e proprio tour operator militare che offriva a tutte le truppe d’occupazione una vacanza nella capitale nemica conquistata, organizzando specifiche escursioni a rotazione, via via estese anche ad altre città, promozionate tramite specifiche riviste bilingue come la Guida Aryene o la Wegleiter, guide redatte per indirizzare i soldati alla scoperta di attrazioni come il Louvre, il Moulin Rouge o le gare sul circuito di Longchamps. Ma questi semi di turismo, innaffiati a Parigi in un clima autoritario, in Italia furono alimentati dall’alleanza politico-militare del Patto d’Acciaio italo-tedesco.
In Italia i tedeschi si incontravano nell’area archeologica di Pompei, in centro a Napoli, nella Reggia di Caserta, al Colosseo a Roma, sui ponti di Firenze, sulla Torre di Pisa, in Piazza Duomo a Milano o Piazza San Marco a Venezia. Alcune mete, poi, erano gettonate per questioni enogastronomiche e naturalistiche come Amalfi, Sorrento, il Vesuvio o Capri. I circuiti che oggi vedono la presenza di visitatori del nord Europa, Germania in testa, ricalcano di fatto la “mitologia” delle mete visitate dai soldati sopravvissuti ed i riti ludici poi tramandati alle proprie famiglie nel dopoguerra. Bellissime le foto di giovani soldati tedeschi che circumnavigavano Capri con i pescatori locali, o che sostano in Piazza Flavio Gioia ad Amalfi sorseggiando al tavolo un fresco vinello locale, come quelle scattate nelle masserie dove ci si recava per pranzare con salsicce e formaggi caserecci, ciò che oggi definiamo ufficialmente “turismo enogastronomico”.
Sul finire del 1943, però, il Reich si avviava al declino abbandonando i nostri territori, lasciando spazio agli Alleati, i nuovi occupanti che dopo lo sbarco di Salerno avrebbero iniziato l’opera di globalizzazione in un’Italia ferma e impoverita dalla guerra, trasformando in veste capitalistica la pratica turistica nazista. Furono quindi gli angloamericani a soffiare sul vento caldo del turismo commerciale, più meramente ludico che culturale, recuperando il tempo perduto con il riutilizzo dei percorsi precedentemente tracciati dai tedeschi, i quali avevano già abituato le popolazioni locali a vivere in un contesto commerciale di servizi resi ad escursionisti in divisa. Erano arrivati i rest camp in Italia, soprattutto nella Campania trasformata in retrovia sicura tanto da ospitare il Quartier Generale Alleato nella Reggia di Caserta dall’11 novembre del 1943. Il Comando americano, ad esempio, assegnava ai propri combattenti, come vero e proprio dovere (duty), una serie di escursioni in siti naturalistici, citiamo ad esempio la Grotta Azzurra di Capri o le Grotte di Zinzulusa in provincia di Lecce, o viaggi a carattere storico-artistico-museale ad Ischia, Capri, Sorrento, Amalfi e Pompei.
Anche gli angloamericani si impegnarono a promuovere il turismo militare di massa attraverso bollettini creati per le truppe. È il caso del periodico Stars & Stripes, che pubblicava indicazioni sui luoghi di interesse italiani, come pure programmi e mappe sull’intrattenimento disponibile nelle città liberate, tra cui concerti e spettacoli la cui testimonianza più bella e autentica è l’artigianale magazine americano The Chronicle’s guide to local recreation centers, redatto ad appena un centinaio di metri dalla Reggia di Caserta. Un giornale locale, votato all’informazione per le truppe presenti nell’unico capoluogo italiano cancellato dal fascismo, in cui venivano riportati appuntamenti, programmi radio, attività sportive e localini presenti in città non solo per i soldati, ma anche per le tante soldatesse a stelle e strisce, le WACs (Women’s Army Corps), cui erano addirittura dedicate sale di ritrovo e parrucchieri su Corso Umberto I. Anche grazie a questo fenomeno gli States conquistarono la fiducia degli affamati italiani, assestarono l’aura da “liberatori” e prepararono il terreno ad un consumo turistico di massa funzionale sia all’inserimento dell’Italia nella sfera delle democrazie capitalistiche, sia al definitivo allineamento della nostra economia al sistema atlantico. Possiamo affermare, quindi, che siamo rinati dalle nostre ceneri anche grazie ad una improbabile massa di turisti in divisa, prima tedeschi e poi anglosassoni, che apprezzarono i luoghi della nostra cultura millenaria avviando il turismo di seconda e terza generazione ed una florida industria globalizzata che, ogni anno, muove milioni di persone e le economie di mezzo pianeta.