Le “Erbe calene a tavola” socializzate dal naturalista Benito Capuano

Benito Capuano, insegnante in quiescenza, amante e cultore da sempre della natura e dell’ambiente, è l’Autore di un pregevole volume-opuscolo dal significativo titolo “Erbe calene a tavola” e nell’introduzione scrive che “è il frutto delle mie conoscenze <verdi> derivanti da interviste a contadini, ricerche, osservazione diretta e soprattutto amore per la natura lasciatomi in eredità da mia madre che seguivo da ragazzo nella raccolta delle erbe campagnole” e per quanto attiene all’utilizzo delle erbe in cucina aggiunge “spero che le varie ricette proposte, reperite tra le signore del luogo o pescate tra i miei ricordi, possano fornire utili spunti per la degustazione di sapori nuovi” ed invita i lettori “ad avvicinarsi alla natura per scoprire canti, profumi, sapori, benefici e per impararla ad amarla sempre di più”.
Il Capuano prima di inoltrarsi nell’essenza della trattazione si sofferma brevemente su “Calvi Risorta” e scrive “(…) Città di storia, d’arte e di cultura (…); dal clima dolce anche nella stagione fredda (…); dell’operosità manuale ed intellettuale degli abitanti, di gentilezza, generosità, altruismo, accoglienza; del vino e dell’olio eccellenti e di tanti altri prodotti genuini del terreno; di colori, profumi e sapori della tradizione culinaria capace di creare anche con le erbe di campo piatti altamente nutrienti e particolarmente gustosi” e sulla “flora calena” evidenzia che “grandi protagonisti della flora locale sono gli ulivi di cui maestosi esemplari secolari con ampie chiome verdi, rami contorti e nodosi, circonferenza di circa 10 metri e tronchi finestrati alla base, vivono ancora in buona salute” e “antichi vigneti coltivati a sangiovese, pallagrello, piedirosso o con vitigni misti” e la vegetazione arborea “è rappresentata anche da querce, lecci, olmi e tanti alberi da frutta, tra cui qualche antica pianta di sorbo, di melo cotogno o di <pappagone>, cespugli di ginestre, lentischi, biancospini, rovi, cisti, mirti, corbezzoli …”.
L’Autore si pone la domanda: “Perché raccogliere le erbe?” e dà la seguente risposta: “Non far passare nel dimenticatoio una bella e utile tradizione che merita di essere tramandata alle generazioni future; diversificare l’alimentazione, portando in tavola, a costo zero, prodotti genuini e ricchi di nutrienti; risvegliare le papille gustative ormai abituate solo alle verdure acquistate dal fruttivendolo; fare movimento, riempire i polmoni d’aria pura, migliorare il tono dell’umore; dare un calcio al telefonino, al tablet, alla televisione, al ritmo frettoloso della vita d’ogni giorno, allo stress, alla depressione, ai pensieri poco piacevoli che spesso ci tormentano; provare tante sensazioni piacevoli regalate dalla raccolta, dai profumi, da forme e colori; cucinare, a casa qualcosa di nuovo, di diverso che ricorda la tradizione del passato, (…)”. Ma poi il Capuano si chiede: perché raccogliere quelle calene? e fornisce la seguente spiegazione: “Per la fertilità del terreno derivante da varie caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche già note al tempo dell’antica Cales e riferite anche da Marco Terenzio Varrone, famoso scrittore latino del passato”.
Il Capuano si chiede, poi, dove raccoglierle, quando e come e per ciascuna domanda fornisce un’esauriente e dettagliata risposta e si sofferma su “l’amarone” boccione maggiore – urospermum dalechampii, su “l’ardica” ortica – urtica dioica, su “l’aureccia ‘e cunigliu” stridoli – silene vulgaris, sul “caccialepre” grattalingua – reichardia picroides, sul “cardigliu lisciu” crespino – sonchus oleraceus, sulla “cassella” cascellone – bunias erucago, sulla “cicoria” cicoria – cichorium intybus, sul “farinello” spinacio selvatico – chenopodium album, sul “lampascione” cipolla col fiocco – leopoldia comosa, sul “lampazzu” romice crespa – rumex crispus, sulla “lengua ‘e cane” piantaggine – plantago lanceolata, sul “ngrassapuorcu” piattello – hypochoeris radicata, sulla “perciacca” porcellana – portulaca oleracea, sul “piscilialiettu” tarassaco – taraxacum officinale, sul “rancecavatti” pungitopo – ruscus aculeatus, sulla “rapesta” senape selvatica – sinapis arvensis e sulla “zecchitella” bardana – arctium lappa.
Un sentito grazie è doveroso rivolgerlo all’Autore, Benito Capuano, per la stesura e per la stampa dell’interessante lavoro nel quale ne esplicita anche lo scopo “suscitare curiosità, interesse, rispetto per la natura oltre a quello di fornire un piccolo punto di partenza a chi volesse ulteriormente approfondire ed ampliare le conoscenze”.

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