In mostra a Napoli “Le forme dei sogni tornano a mare” di Anna Raimondo
“Senza sogni, incolore campo è il mare” affermava Ungaretti in “Finale”. Per il poeta il mare, essenza di vitalità e immagine dell’uomo inerte, diviene privo di moto e colori se non ci sono i sogni ad animarlo, lasciando spazio ai “tristi fumi” della guerra. L’ammonimento consiste per Ungaretti nell’arrivo di un universo piatto, vuoto, privo di fantasia e destinato a “non sussurrare più”.
Da sempre i sogni rappresentano sensazioni percepite, suoni, voci, immagini e flash che i nostri occhi o le nostre orecchie captano durante le ore della giornata e che vengono rilasciati durante la notte.
Per le popolazioni antiche, i sogni erano in stretto contatto con la fase notturna del sonno, tanto che l’etimologia della parola sogno deriva dal latino somnium (sonno), che a sua volta è riconducibile alla radice sanscrita svap- (da svapnja, sonno). I messaggi trasportati durante la fase notturna per gli antichi Greci erano di vitale importanza e tre ne erano le divinità responsabili: Morfeo, “il modellatore”, colui che dona forma al sogno; Fantaso, “l’apparizione” da cui vengono generati gli oggetti inanimati e Fobetore, “lo spaventoso”, che compare sotto forma di esseri mostruosi.
Per quanto siano astratti, i sogni sembrano assumere concretezza nella nostra mente, anche per questa motivazione si credeva un tempo che Morfeo per assumere le sembianze delle persone sognate, sfiorasse le palpebre con un mazzo di papaveri.
Secondo Freud i sogni rappresenterebbero una finestra sul nostro inconscio, contenuti psichici rimossi che grazie all’interpretazione vengono riportati alla luce.
Qual è dunque la forma, seppur idealizzata, dei sogni?
Anna Raimondo, artista contemporanea e curatrice di progetti di arte sonora e radiofonica, attraverso la mostra “76 52 22 90 Le forme dei sogni tornano a mare”, ne fornisce un’interpretazione.
La personale a cura di Andrea Anastasio, iniziata il 9 aprile e aperta fino al 4 giugno 2022 dal martedì al sabato dalle 14.30 alle 19.30 o su appuntamento, mette in mostra sei sculture sonore (Adlen, Amina, Mariana Carvalho, Moa Magnone, Domiziana Marinelli, James), oggetto di esposizione in anteprima all’Hangar Bicocca di Milano nell’ambito del progetto Flu水o, che vedrà la realizzazione di un tour anche a Shangai e Seul.
Il fulcro principale dell’esposizione si basa su racconti e sogni legati all’ambiente marino e prodotti da individui di origini geografiche e culture differenti, interpretati dallo psicologo Emanuele Ferrigno e dall’esperta di numerologia tradizionale napoletana Gina Piscitelli, la quale ha associato un numero ad ogni oggetto o emozione.
Ogni visione è stata ricostruita sulla base di testimonianze, suoni e voci associati alle immagini, un luogo dove dimensione onirica e sonora si uniscono indagando l’ambito universale dei sogni: secondo i ricercatori a dispetto delle differenze culturali, alcune emozioni come la sensazione di essere attaccati, inseguiti o cadere nel vuoto, sono comuni a tutti gli abitanti del mondo.
Nel suo progetto Anna Raimondo attribuisce alle opere un nome proprio, come nel caso di Mariana, in marmo bianco di Carrara oppure Moa, in vetro di Murano. Ciò che più colpisce è che dietro tali nomi ci sono storie e sogni reali, come per Adlen il migrante sbarcato a Lampedusa che racconta di aver sognato di mangiare dei biscotti mentre la nave affondava. Tale racconto potrebbe, secondo lo psicologo, far riferimento alla necessità di attaccarsi alla vita compiendo l’atto di mangiare. Sulla base delle emozioni che emergono dal sogno, l’esperta di numerologia ha associato al racconto i numeri 90 (la paura), 71 (l’uomo) e 22 (la follia associata alla cattiveria umana).
Arthur Schopenhauer affermava a proposito della dicotomia sogno-realtà che trovava espressione nel celeberrimo velo di Maya: “la vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare”.