Finestre sull’arte. Masaccio da Capodimonte al Louvre
Napoli a Parigi per un semestre. Da giugno 2023 il Louvre ha annunciato un accordo di partenariato con il Museo di Capodimonte.
Per sei mesi, all’incirca sessanta opere del Museo napoletano verranno poste in dialogo con le collezioni del Louvre tra concerti, spettacoli e proiezioni in programma.
Tra i capolavori scelti figura “La Crocifissione” di Masaccio, genio adolescente e precursore del Rinascimento, definito da Bernard Berenson «Giotto rinato, che ripiglia il lavoro al punto dove la morte lo fermò».
Tommaso di Mone Cassai ha i suoi natali in San Giovanni Valdarno il 21 dicembre del 1401. Sono gli anni in cui la Signoria di Firenze regna in Toscana dopo la vittoria dei Guelfi sui Ghibellini, anni in cui la realtà artistica e culturale, seppure impregnata di gusto tardo gotico è effervescente. Brunelleschi è a tener testa in quegli anni nel mondo culturale con la Cupola S. Maria del Fiore, lo Spedale degli innocenti, la Sagrestia vecchia di S. Lorenzo, la Cappella de’ Pazzi, di Santo Spirito.
L’origine del soprannome “Masaccio” è così ricostruita dal Vasari ne “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”, un trattato biografico la cui prima edizione fu pubblicata a stampa nel 1558: “le cose fatte inanzi a lui si possono chiamar dipinte, e le sue vive, veraci e naturali.” E ancora “fu persona astrattissima e molto a caso, come quella che, avendo fisso tutto l’animo e la volontà alle cose dell’arte sola, si curava poco di sé e manco di altrui”.
Secondo Landino, umanista, poeta e filosofo del Quattrocento, Masaccio fu “optimo imitatore di natura, di gran rilievo universale buon compositore e puro senza ornato, perché solo si decte all’imitazione del vero”.
Una meteora il Masaccio, del quale pochi e scarni sono i dati documentali. Autore giovinetto di una vera e propria rivoluzione artistica del Rinascimento, comparso improvvisamente – ed altrettanto all’improvviso scomparso ventisettenne – lasciando in uno spazio di tempo brevissimo l’impresa straordinaria da cui muoveranno i grandi della pittura quattrocentesca.
Un artista giovinetto che sceglie con coraggio e audacia la strada della modernità attingendo alle fonti della classicità scultorea greca e romana, applicandovi una tecnica quasi impressionista attraverso l’uso di larghe macchie di colore, lasciando ai posteri la straordinaria impronta prospettica, la solidità spaziale, la plasticità dei corpi che rendono vive e reali le persone negli affreschi della Cappella Brancacci a Firenze appartenente a Felice, ricco mercante di sete il quale nel 1425 commissionò l’opera.
Lontano da ogni ornamento e decorativismo gotico, Masaccio irrompe con pesi e volumi che rendono la sua un’arte unica nella vivace tridimensionalità in cui è catapultato l’osservatore, effetti di riflessi e trasparenze che raccontano il tempo rendendo animate scene e paesaggi.
“Et, gli artefici più eccellenti, conoscendo benissimo la sua virtù, gli hanno dato vanto, di avere aggiunto nella pittura vivacità nei colori, terribilità nel disegno”. Vasari così continua la sua recensione sull’opera di Masaccio che rivela ed esprime fisionomie e segreti dell’umanità.
Francesco Petrarca, protoumanista caratterizzato dal continuo discidium tra tempo della storia e tempo dell’uomo, peccato e virtù, vita e morte, nel Canzoniere si pone domande fondamentali sulla natura dell’uomo e sulle arti.
Mezzo secolo dopo Masaccio offre la sua risposta: l’arte non è più ornamento, non più immagine fine a sé stessa, l’arte è tempo, spazio, anima, al centro è l’uomo nella concretezza del suo essere, nella realtà delle sue espressioni, nelle vibranti testimonianze storiche della contemporaneità.