Ai Musei Capitolini la mostra Domiziano. Odio e Amore
«Tempi duri generano uomini forti, uomini forti generano tempi felici. Tempi felici generano uomini deboli, uomini deboli creano tempi duri» afferma il biografo G. Michael Hopf, citazione che meglio esprime l’andamento circolare degli eventi avvicinandosi di molto alla teoria dell’anaciclosi dello storico greco Polibio, secondo cui costituzioni fondamentali quali Monarchia, Aristocrazia e Democrazia sono destinate a procedere in maniera involutiva sino ad arrivare al proprio declino rispettivamente in Tirannide, Oligarchia e Oclocrazia.
Un paragone quello tra “felicitas temporum, moderatio, prudentia, virtus” e “inlicita, malis principibus, abrupta”, operato anche da Tacito nell’Agricola, opera preziosa in cui traspare senza mezzi termini la natura subdola e al tempo stesso intrigante dell’imperatore Domiziano, figura emblematica non sufficientemente compresa né dai suoi contemporanei, che vollero per lui la damnatio memoriae, tantomeno dai posteri.
Ed è proprio il “dominus ac deus” il protagonista della rassegna che ancora una volta vede nei Musei Capitolini lo sfondo di un’importante esposizione archeologica romana dal titolo “Domiziano imperatore. Odio e amore”, in programma dallo scorso 13 luglio e fino al 29 gennaio 2023.
Curata da Claudio Parisi Presicce, Maria Paola Del Moro e Massimiliano Munzi, la mostra, promossa da Roma Culture e dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, vede la coproduzione del Rijksmuseum van Oudheden di Leiden, a testimonianza di un’offerta culturale di respiro internazionale già collaudata attraverso l’esposizione “God on Earth. Emperor Domitian”, ospitata nella città olandese con importanti prestiti italiani.
L’iter espositivo vanta collaborazioni provenienti dal British Museum di Londra, dalla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, dal Musée du Louvre di Parigi e dalla Nederlandsche Bank, con un percorso che si articola in 15 sale ed è caratterizzato da cinque tematiche: 1) Domiziano, imperatore e caro agli dei; 2) l’esaltazione della gens Flavia e la propaganda dinastica; 3) i luoghi privati di Domiziano, dalla casa natale sul Quirinale al palazzo imperiale sul Palatino e alla villa di Albano; 4) l’intensa attività costruttiva a Roma; 5) l’impero protetto dall’esercito e retto dalla buona amministrazione.
Cinquantotto le opere provenienti da Leiden: ritratti, busti in marmo e in bronzo, elementi architettonici che, uniti ai trentasei reperti dell’edizione romana, hanno il gravoso compito di delineare un ritratto “chiaroscurale” – nel vero senso della parola – luci e ombre sono quelle che si abbattono su Domiziano, forse più ombre che luci.
“Odio e amore” sulla falsa riga dell’odi et amo di catulliana memoria che spinge ad amare più ardentemente, “sed bene velle minus” (ma a voler bene di meno), ci induce a pensare che “amore e bene” possono essere tradotti in “ammirazione e stima” nei confronti del dominus Domiziano, con relativo omeoarco.
Uno dei tratti preponderanti dell’imperatore che guarda con ammirazione alla monarchia assolutistica di stampo greco-orientale, è la volontà autocratica della conduzione del regno, rinunciando alla continuità dinastica della gens Flavia. Notevole attenzione viene rivolta all’esercito: la retribuzione è portata da 225 a 300 denari, un ottimo punto di partenza per trasformare il principato in dominato.
In politica estera riceve “croci e delizie”, per voler citare la frase affibbiata al suo predecessore Tito. Nell’86 d.C. infatti incassa la disfatta in Dacia durante la quale perde la vita il prefetto del pretorio Cornelio Fusco, evento però addolcito dalla conquista della Britannia ad opera del generale Agricola, modello indiscusso di virtus e, a detta di Tacito, vittima di un principe incapace.
Se è vero che “tempi duri generano uomini forti” la prosperità del successivo governo di Nerva e dell’Optimus princeps Traiano, getterà le basi per l’apogeo dell’Impero Romano.
In qualità di censore a vita, Domiziano si serve dell’odiata lex maiestatis contro ogni oppositore del regime, contrastando ogni forma di culto straniero, dispotismo questo che non poteva far altro che favorire la creazione di congiure, come quella che avvenne nel 96 d.C. e che gli valse la vita. “Il popolo accolse con indifferenza la sua uccisione, i soldati invece malissimo: essi subito tentarono di chiamarlo Divo” racconta Svetonio nelle Vite dei Cesari.
Un paradigma tragico enfatizzato durante la mostra dal quadrante di un orologio concettuale che scandisce lo scorrere della vita dell’imperatore indicando mediante una lancetta a forma di pugnale i momenti salienti del regno; la morte come un timbro, si muore “schiacciati dal male, dalla perversione che c’è nel governo del mondo” come riporta Maurizio Bettini in ripresa di Roland Barthes.
Come interpretiamo il passato, quali insegnamenti scegliamo di trarne secondo la locuzione ciceroniana “historia magistra vitae” sono decisioni in larga parte soggettive, ma il passato sarà sempre il luogo da cui proveniamo, la nostra identità personale, ma soprattutto gli esempi in cui scegliamo di identificarci o meno: Domiziano tra “odio e amore” rappresenta uno di quelli, sta di fatto che come scriveva Orazio in Ep. 1,2, v. 14 quidquid delirant reges, plectuntur Achivi, “tutte le follie dei re ricadono sugli Achei”, o per imitazione di un bagaglio culturale ereditario erroneamente analizzato, sui cittadini.