Afghanistan un anno dopo: l’inferno sulla terra
Lucia Rossetti – Era scritto. Un anno dopo l’abbandono da parte degli americani e delle forze NATO, il Paese degli aquiloni è precipitato all’Inferno, anzi la caduta non sembra ancora finita.
In Afghanistan si registra una catastrofe umanitaria, politica ed economica senza precedenti.
Ma dove eravamo rimasti? Agosto 2021, gli americani annunciano che lasceranno l’Afghanistan l’undici settembre, data simbolica e coincidente con l’attentato alle Torri gemelle del World Trade Center del 2001. Un ritiro frettoloso che spalanca le porte al regime talebano.
E tutto succede ancora prima del previsto: i talebani “si prendono” Kabul addirittura il 15 agosto, senza sparare un colpo, quando l’allora Presidente Ashraf Ghani sale su un elicottero e scappa lasciandosi alle spalle la capitale. E un intero popolo senza pace.
Tornano i talebani a governare il Paese, come agli inizi degli anni Novanta e questa volta promettono che sarà diverso, che il regime non sarà oppressivo, che il popolo afgano “risorgerà”. Ma non è vero e il popolo lo sa e ne è terrorizzato (ricordate le immagini di uomini aggrappati alle ali di aerei per poter scappare?). Forse ha fatto comodo pensare che poteva essere così solo agli occidentali, agli “esportatori di democrazia”, scappati di corsa dopo aver lasciato un Paese dilaniato dalla guerra civile e impoverito fino all’inverosimile da venti anni di guerra e attentati terroristici.
Tra le promesse, quella di combattere e respingere l’organizzazione terroristica di Al Qaeda e invece, qualche settimana fa, un drone americano ha ucciso quello che ne era diventato il leader, quell’Al Zawahiri successore di Bin Laden che viveva proprio in Afghanistan.
Avevano promesso che avrebbero rispettato le minoranze e le donne senza ostacolare la loro istruzione, che non avrebbero condannato e ucciso chi aveva collaboratore con il precedente Governo, che avrebbero dichiarato guerra ai coltivatori di papaveri per la produzione dell’oppio e combattuto ogni forma di attività illegale ad essa connessa. Promesse, solo promesse.
Talmente grosse da sembrare da subito inverosimili, ma a nessuno è importato, un po’ come a dire “l’Afghanistan è degli afgani, che risolvessero da soli i loro problemi”.
Nell’ultimo anno, decine di migliaia di afgani sono state giustiziate senza nessun processo.
I diritti delle donne sono stati completamente cancellati: non possono lavorare fuori casa (ad eccezione delle donne medico o infermiere) e per uscire devono essere obbligatoriamente accompagnate da un mahram, un parente stretto, come ad esempio un fratello, il padre o il marito.
Non possono essere visitate da un medico di sesso maschile e a loro è preclusa la possibilità di studiare in scuole, università o altri tipi di strutture educative; non possono andare in bicicletta; non possono utilizzare tacchi; non posso presenziare in televisione o alla radio; non possono praticare sport né indossare vestiti colorati; non possono usare cosmetici né ridere in pubblico; per le donne che hanno relazioni fuori dal matrimonio è prevista la lapidazione pubblica; quelle che hanno ancora un impiego statale devono lasciarlo a favore di parenti maschi. Addirittura, le immagini delle acconciature sulle porte dei parrucchieri sono state subito cancellate con vernice nera. Le donne sono praticamente scomparse dalla vista e non solo perché costrette a coprirsi con burqa e niqāb, ma perché la loro vita è stata circoscritta solo alla cucina e alla camera da letto, in case sempre più fatiscenti. Sparite, cancellate da ogni forma di vita sociale.
La sanzioni inflitte dall’Occidente per la negazione dei diritti umanitari, non fa che peggiorare la situazione dell’intero Paese: il 97% del popolo afgano vive sotto la soglia di povertà.
Sei milioni di bambini afgani sono malnutriti, le donne incinte non hanno da mangiare, gli ospedali sono pieni, Polio, Covid e numerose altre epidemie falcidiano la popolazione inerme.
Le poche organizzazioni umanitarie rimaste nel Paese raccontano che nei campi profughi i bambini succhiano i sassi per attenuare i morsi della fame e che le bambine vengono vendute come spose in cambio di poche centinaia di euro.
I giornalisti ancora presenti nel Paese devono rispettare i dettami del regime ed è scontato dire che non esiste più l’informazione libera con centinaia di testate che hanno chiuso le loro attività.
La maggior parte del denaro che entra nel Paese e che diventa fonte di finanziamento per i talebani, proviene dalle attività criminali legate soprattutto alla coltivazione del papavero per la produzione dell’oppio e di droghe sintetiche: l’80% dell’oppio mondiale viene prodotto in Afghanistan.
È un inferno sulla terra, un paese affamato e terrorizzato.
E pensare che solo agli inizi degli anni Settanta era un Paese completamente diverso. Era la meta hippie preferita dagli europei, un Paese che seppur con qualche problema legato alla religione islamica, viveva di turismo e libertà, dove il 40% dei medici era donna, mentre per gli insegnanti la percentuale saliva a oltre il 70%. Poi è arrivata l’invasione sovietica, i talebani e infine gli americani e la NATO.
Intanto le organizzazioni umanitarie, l’unico sostegno per la popolazione, faticano ma non abbandonano il Paese. Il terremoto devastante di inizio giugno non ha fatto altro che aggravare la situazione.
Le tavole rotonde tra talebani, americani ed europei si sprecano e a parte pochi stanziamenti e accordi economici per la popolazione, non c’è nessun progresso.
In Afghanistan non si vive, si sopravvive. Un giorno dopo un altro.