Guida in stato di ebbrezza e sotto sostanze stupefacenti o psicotrope: importante sentenza del Tribunale di Lecce
Lo diciamo da anni noi dello “Sportello dei Diritti” a seguito della miriade di ricorsi presentati in difesa di automobilisti a cui era stata ritirata e poi sospesa la patente ma che avevano contestato di aver mai bevuto un drink o che negavano di aver assunto droghe quando si erano messi alla guida: ai giudici civili è demandato il controllo di legittimità degli atti di accertamento effettuati dalla polizia stradale, cui seguono i provvedimenti prefettizi di sospensione della patente di guida, devono accertare la validità di questi atti irripetibili eseguiti con alcoltest o drug test non sempre in condizioni di totale garanzia di correttezza degli esiti. E che spetta alla Prefettura dimostrare la sussistenza dei presupposti, compreso quello indispensabile degli indici sintomatici di una guida anomala che giustificano l’adozione del provvedimento di sospensione. Tale tesi che esprime ragionevolezza e un’interpretazione correttamente orientata del sistema di tutele dei cittadini che si mettono alla guida, ma anche della sicurezza stradale, è stata fino ad oggi troppo spesso incredibilmente confutata tanto da diventare un orientamento ostracizzato da alcuni uffici del giudice di pace. Da oggi, tuttavia, con l’importante sentenza n. 3031/2022 resa lo scorso 27 ottobre 2022 dal Tribunale di Lecce in funzione di giudice dell’appello, nella persona del giudice Viviana Mele, quest’ingiustificabile tendenza potrebbe mutare per la forza persuasiva dell’attenta analisi svolta nella nuova decisione nella quale è stato rilevato come in queste fattispecie “non si tratta di accertare se sia stato commesso il reato di cui agli artt. 186 e 187 C.d.S. e che, dal momento che la sospensione della patente di guida è misura cautelare connessa alla sussistenza del reato, è in facoltà del giudice civile accertare incidenter tantum la legittimità della procedura seguita per il compimento di atti irripetibili, dovendo diversamente ritenere travolta anche la misura cautelare. Sussiste dunque la competenza del Giudice a conoscere della legittimità del provvedimento prefettizio, non essendo corretto ritenere che lo stesso, quale atto dovuto, vada esente da controllo sulla sussistenza dei presupposti che ne hanno consentito l’adozione. Sulla scia della giurisprudenza di legittimità che ha evidenziato in numerosi provvedimenti che “Pur avendo la sospensione natura cautelare e carattere preventivo, essa può essere adottata solo in presenza di fondati elementi di un’evidente responsabilità che devono riguardare non solo il consumo di sostanze stupefacenti, ma anche la conduzione del mezzo in condizione di alterazione psicofisica, da accertare in base ad una valutazione necessariamente sommaria, giustificata dall’urgenza di provvedere. Non è richiesta, a tal fine, l’effettuazione delle analisi ematologiche, essendo sufficienti i risultati degli esami dei liquidi biologici dimostrativi dell’avvenuta assunzione dello stupefacente, unitamente all’apprezzamento delle deposizioni raccolte e del contesto in cui il fatto si è verificato”. Nel caso portato all’attenzione del Tribunale di Lecce, su appello predisposto dall’avvocato Francesco D’Agata dopo la decisione del giudice di pace che aveva rigettato il ricorso di una ragazza cui era stata sospesa la patente per guida in stato di alterazione psicofisica dovuta all’assunzione di sostanze stupefacenti, il giudice di prime cure aveva ritenuto che il provvedimento del Prefetto fosse atto dovuto, non sindacabile. Sulla scorta dei principi su precisati, il magistrato togato nel riformare totalmente la sentenza di primo grado, ha sottolineato come nel caso di specie, la Prefettura avesse omesso la produzione di documentazione inerente agli accertamenti svolti e la sola documentazione in atti riguardasse il ricovero della giovane al Pronto Soccorso, senza neppure i risultati delle analisi di laboratorio. Inoltre, da nessun elemento, né tantomeno dal provvedimento prefettizio opposto, è stato dato atto di alcuna condotta anomala o di alcuna condizione che possa costituire “alterazione” con la conseguenza che non è stata data prova dell’esistenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione. Il richiamo ai soli risultati dell’esame biologico, peraltro, è ritenuto dalla giurisprudenza insufficiente all’adozione del provvedimento di sospensione. Pertanto, non essendovi prova della conduzione di un veicolo in stato di alterazione sotto l’effetto dell’assunzione di sostanza stupefacente, il ricorso è accolto e il provvedimento revocato. Infine, sempre nel caso in questione, tardiva risulta la produzione in appello degli accertamenti compiuti e quanto relativo alla ritenuta conduzione di veicolo in stato di alterazione psicofisica, ha del tutto omesso di soddisfare l’onere probatorio sulla stessa incombente. La conseguenza ulteriore è anche la condanna alle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio della Prefettura. I principi evidenziati nella significativa sentenza, rileva Giovanni D’Agata, Presidente dello “Sportello dei Diritti”, sono importanti perché da una parte costituiscono un richiamo nei confronti dei giudici di pace cui è demandato il primo vaglio della legittimità dei provvedimenti prefettizi di sospensione della patente, a valutare la legittimità degli atti irripetibili presupposti di accertamento delle condizioni di alterazione o meno dello stato alla guida e dall’altra ristabilisce il perimetro del potere discrezionale della Prefettura che non potrà ritenere quale “atto” semplicemente “dovuto” l’emissione del provvedimento di sospensione dopo il ritiro della patente da parte delle forze di polizia solo sulla scorta di semplici esami ematici o del solo alcoltest.