Infibulazione, una forma di violenza atroce di cui si parla poco
Si sono concluse da qualche giorno le manifestazioni dedicate alla violenza contro le donne, una piaga sociale che ogni anno vede l’aumento di numeri assurdi legati non solo ai femminicidi, ma anche ad ogni altra forma di sopraffazione fisica e psicologica subita dalle donne in tutto il mondo. Numeri che dimostrano quanto sia difficile debellare questo “fenomeno”, più radicato di quanto si possa pensare nella società moderna.
Le donne vengono invitate a denunciare ogni forma di abuso e, fortunatamente, ci sono sempre più associazioni ed enti, sia pubblici che privati, che si occupano della loro tutela e protezione e che le accompagnano nel difficile e pericoloso percorso delle denunce fino alla successiva “rinascita”.
Ma c’è una forma di violenza perpetrata nei confronti delle donne, soprattutto bambine e ragazze nello specifico, di cui si parla ancora troppo poco: è l’infibulazione femminile.
L’infibulazione è di fatto una mutilazione fisica che prevede la rimozione, totale o parziale, degli organi genitali femminili esterni. Nel mondo sono più di 200 milioni le donne che hanno subito questa pratica, questo “rituale”, che non ha niente di medico, anzi che può provocare gravi infezioni e menomazioni oltre a complicanze durante il parto, fino alla morte della madre e del nascituro.
È una pratica diffusa tradizionalmente in almeno 30 Paesi, soprattutto in Africa in Stati come l’Egitto, la Somalia, l’Eritrea, l’Etiopia, il Senegal, la Guinea, la Nigeria e il Sudan, sebbene molti di questi, l’abbiano dichiarata illegale già da diversi anni, ma è molto diffusa anche nel Medio Oriente, in Asia e in America Latina. Oggi non solo è considerata violazione dei diritti delle donne e delle ragazze, ma anche violazione del diritto alla salute, alla sicurezza e all’integrità fisica, oltre a violazione del diritto ad essere liberi da ogni forma di crudeltà e di tortura.
Si tratta di una usanza antichissima che si fa risalire a civiltà pre-ebraiche, pre-cristiane e pre-islamiche, addirittura alcuni studi la collocano ai tempi dei faraoni, da dove poi sarebbe partita per approdare anche a Roma (il termine infatti deriva dal latino fibula) ed era una misura per controllare la sessualità delle schiave. È di fatto un’operazione brutale e invasiva, praticata senza le necessarie condizioni igienico-sanitarie, senza l’uso di anestetici, antibiotici e materiale sterile e quindi con il rischio di provocare emorragie e gravi infezioni, in cui vengono asportati il clitoride, le piccole labbra e parte delle grandi e che continua poi con “la cucitura” della vulva, lasciando solo un piccolo foro per consentire la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale.
I rapporti sessuali diventano dolorosissimi, quasi impossibili.
Tradizionalmente, l’infibulazione è il passaggio delle bambine all’età adulta, ecco perché viene praticata molto spesso a bambine di età inferiore ai 15 anni, che una volta circoncise sono costrette a contrarre matrimonio in giovanissima età.
Nei Paesi che le praticano, le mutilazioni genitali femminili vengono associate a motivazioni religiose, quasi una purificazione del corpo della donna “impuro e sporco” per prepararlo al matrimonio (sempre combinato) e alla “scucitura” da parte dello sposo, la cosiddetta defibulazione, la garanzia della verginità.
La verginità in tutte le società tradizionali è un prerequisito per il matrimonio e i genitori incoraggiano le figlie, o meglio le obbligano, a sottoporsi alla circoncisione nella speranza di ottenere un prezzo più alto per la sposa, poiché le spose vergini sono pagate di più.
In alcuni Paesi islamici poi, fra le cause di divorzio, ci sono i difetti fisici della sposa e una circoncisione mal fatta o mal riuscita, può esserlo.
La religione si inserisce solo come strumento per giustificare l’atroce barbaria che altro non è che controllo della società patriarcale del corpo e delle funzioni riproduttive delle donne, che non sono libere nella gestione della loro vita, ma alla mercé della volontà dei parenti maschi.
Queste mutilazioni impediscono alla donna di conoscere l’orgasmo perché è solo il maschio che può decidere del loro piacere.
Le donne che hanno appena partorito, le vedove e quelle divorziate (negli Stati dove il divorzio è permesso) vengono sottoposte alla reinfibulazione con lo scopo di ripristinare la “situazione di purezza”.
Quello che fa ulteriormente rabbrividire è che solo le donne possono praticare l’infibulazione ad altre donne, agli uomini infatti non è permesso assistere al “rito” e alla sua preparazione e di fatto la comunità maschile ignora l’enorme sofferenza che ne deriva, non solo fisica, ma anche psicologica, un rito atroce che deruba le donne della loro dignità. Violenza pura!
E purtroppo non è una pratica lontana dalla civilissima Europa, recenti casi di cronaca di Francia e Gran Bretagna, hanno portato alla ribalta questa atroce violenza anche vicino a noi e in Paesi dove c’è una certa progressione dell’Islam come la Francia o quelli del Nord Europa, il barbaro fenomeno è in continua crescita. In Italia si è a conoscenza di oltre 88mila donne “escisse”.
Sebbene sia riconosciuta a livello internazionale come violazione dei diritti umani, si calcola che ancora 68 milioni di ragazze nel mondo, rischiano di subire questa pratica entro il 2030.
L’infibulazione è violenza, fra le più atroci, una violenza che mina anche l’equilibrio mentale delle bambine e delle donne che la subiscono.
Tanto si è fatto, ma tantissimo resta ancora da fare. È necessario continuare a combattere questa violenza barbara per ridare dignità all’essere donna, anche se la battaglia appare alquanto difficile e complessa.