Scoperta del MIT: il cemento delle mura romane
Roma città eterna: la locuzione trova ulteriore conferma nei recenti studi condotti dagli scienziati dell’Università di Harvard, del Massachusetts Institute of Technology e del Museo Archeologico di Priverno. Come ben noto, la civiltà romana ha sempre affascinato non solo per motivi di carattere storico e letterario, ma soprattutto per l’accuratezza e la magnificenza architettonica. Reti di strade, acquedotti, porti e imponenti edifici sono rimasti stabili per millenni, e pare che il segreto risieda nei materiali: il team di scienziati, guidato da Admir Masic, ha analizzato le strutture dei monumenti e degli edifici romani più ammirati e studiati ancora oggi. Per diversi anni, è stato ipotizzato che il segreto dell’incredibile durabilità risiedesse nell’utilizzo di materiale pozzolanico, una particolare cenere vulcanica ampiamente utilizzata tra gli architetti dell’epoca. Pare che invece il cemento romano contenga anche dei frammenti di calce, chiamati clasti calcarei, non presenti nelle formulazioni odierne. Questa caratteristica potrebbe essere proprio il costituente fondamentale del cemento romano. <<I nostri antenati – osserva Masic – avevano sviluppato un materiale eccezionale grazie al perfezionamento delle formulazioni nel corso degli anni. Non ha senso quindi omettere l’importanza di un ingrediente così accuratamente presente>>. Grazie ad avanzate tecniche di imaging multiscala e mappatura chimica ad alta risoluzione, è stato possibile acquisire informazioni sulla potenziale funzionalità di questi clasti. I romani utilizzavano varie forme di carbonato di calcio, formati a temperature estreme. Durante la miscelazione a caldo, come spiega Masic, i clasti di calce sviluppano un’architettura fragile, facilmente fratturabile. Tuttavia, il materiale finale può reagire con l’acqua creando una soluzione satura di calcio, che può ricristallizzarsi come carbonato di calcio e riempire rapidamente le fessure che vengono a crearsi con le crepe all’interno del cemento. Quindi il materiale scatena delle reazioni chimiche che riparano automaticamente le eventuali crepe prima ancora che si diffondano. Insomma, si tratta di un vero e proprio cemento auto-riparante. È stata anche effettuata una dimostrazione pratica di questa teoria, utilizzando due campioni di calcestruzzo, uno miscelato a caldo con formulazioni antiche e una controparte realizzata con tecniche moderne. Mentre il modello antico ha mostrato un miglioramento netto delle crepe in due settimane, l’altro pezzo non ha subito variazioni. Al momento, l’équipe di ricercatori sta lavorando per commercializzare la formulazione, potenzialmente rivoluzionaria per l’ingegneria civile odierna. E c’è di più: la realizzazione del materiale può contribuire a ridurre l’impatto ambientale della produzione di cemento, che oggi rappresenta circa l’8% delle emissioni globali di gas serra. In conclusione, oltre alla durabilità, che di per sé rappresenta un fattore ecosostenibile, anche il materiale in sé consentirebbe di rispettare il pianeta, valorizzando al contempo un pezzo di storia che ci sembra tanto remoto, ma in realtà ancora oggi presente nelle bellezze architettoniche che ci circondano.