Tra leggenda e cinema: l’affascinante Castello di Rocca Calascio in Abruzzo
L’Italia, che nel suo lungo e stretto territorio a stivale conserva 58 beni culturali tutelati dall’UNESCO, è sostanzialmente lo scrigno del Mediterraneo, una vera e propria affascinante raccolta di luoghi leggendari e suggestivi, incredibili architetture, borghi spettacolari, bellezze naturalistiche ed eccellenze gastronomiche invidiate in tutto il mondo. Roma Caput Mundi, Venezia e la laguna, Firenze ed il Rinascimento, Palermo ed i Saraceni, Napoli capitale del Sud, Caserta e la Reggia dei Borbone, ma la lista dovrebbe continuare davvero a lungo, in un incredibile elenco di bellezze senza pari che, nel nostro Paese, annoverano spesso affascinanti castelli. Tra i circa 45.000 manieri presenti in Italia, tra cui si annoverano per fama il Castello Estense di Ferrara, lo Scaligero di Sirmione, lo Sforzesco di Milano, il del Monte di Andria, l’Aragonese di Ischia e, ovviamente, Castel Sant’Angelo a Roma, compare di diritto anche il “finalmente” noto Castello di Rocca Calascio in Abruzzo.
Il gioiello di Rocca Calascio, frazione di Calascio (AQ), che vive esattamente nel cuore dell’Abruzzo, si fa risalire all’epoca di Ruggero II d’Altavilla, che dall’alto della sua potenza lo fece erigere dopo le gesta della conquista normanna dell’Italia centro meridionale. Nel corso dei secoli, poi, le vicissitudini storiche videro diverse famiglie susseguirsi nel possesso di questo maniero d’altura che, trovandosi a circa 1.460 metri di quota, fu prettamente usato per fini militari e di controllo del territorio circostante, per finire successivamente in totale e rovinoso abbandono insieme al vicino antico borgo.
Diventato perfino proprietà dei Medici di Firenze, il castello risultò gravemente danneggiato nel 1703 da uno dei tanti terremoti che affliggono da sempre l’Abruzzo, ma il suo fascino è pure nella posizione strategica di cui gode, con vista diretta sulla valle del Tirino e sull’altopiano di Navelli, che peraltro ha però favorito un rovinoso declino nel corso del ‘900. Dopo diverse vicissitudini, solo nel 1989 Rocca Calascio viene attenzionata e coinvolta in lavori di recupero architettonico per restaurare l’intera struttura, favorendone alla fine sia l’inserimento nei circuiti turistici internazionali, ad esempio quelli relativi al trekking e all’escursionismo montano, incentivati pure dall’essere inserita all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso, sia quelli più prettamente culturali legati, tra l’altro, al suo provvidenziale uso quale set cinematografico.
Infatti, cosa che probabilmente ha salvato tale bellezza da una definitiva e irreparabile perdita, il castello fu scenografia e protagonista di importanti scene della pellicola americana Ladyhawke con Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer, uscita nelle sale nel 1985 e diventata un cult fantasy dopo un’iniziale valutazione commerciale negativa, vista la non brillante performance di vendita dei biglietti ai botteghini di quegli anni complicati.
Favorito dalla sua massiccia forma con torrione centrale di forma quadrangolare e torri perimetrali quasi certamente costruite in epoca più tarda, nonché dalla presenza di uno spettacolare panorama e di alcune ulteriori significative pertinenze, come la vicinissima Chiesa di Santa Maria della Pietà, Rocca Calascio ha pure ospitato, nel suo intero comprensorio (non solo il castello, quindi) diverse scene de Il nome della rosa (1986) con Sean Connery, e dopo il periodo del restauro, favorito ovviamente dall’attenzione mediatica, sono stati ambientati altri film tra cui Il viaggio della sposa di Sergio Rubini (1997, produzione italiana), L’orizzonte degli eventi di Daniele Vicari (2005, produzione italiana) e la serie RAI dedicata a Padre Pio (2006). A livello di produzioni internazionali, la rocca è tornata protagonista in alcune scene del film The American (2010) con George Clooney, pellicola che ha tra l’altro interessato tutta la provincia dell’Aquila.
Una località, quindi, di grande valenza culturale, storica, paesaggistica, che per troppo tempo è stata dimenticata dalle istituzioni italiane, sia prima che dopo la Seconda guerra mondiale, finita addirittura nella lista dei “luoghi fantasma” dal 1957, abbandonata completamente al suo destino. Un’evidenza delle tante contraddizioni italiane, dei suoi amministratori, che dobbiamo ricordare sono rappresentanza delle peculiarità, positive o negative, di tutti i cittadini del Bel Paese. Una contraddizione che continuiamo a perpetrare di continuo, ciecamente, ove non volessimo pensar male, che mette sempre in ultimo piano la valenza della nostra cultura e delle bellezze che possediamo ma calpestiamo malignamente senza saperle valorizzare. Una cecità che consente, ancora oggi, il successo di presunti influencer e youtuber che creano spesso atti vuoti, meramente a proprio vantaggio, mentre chi si impegna giornalmente per “mantenere in vita quel po’ di cultura ancora rimasta” viene sempre più messo ai margini della società, visto come atto hobbistico e gratuito, come destinatario di fondi considerati per lo più come spreco. Una vergogna tutta italiana che, come accaduto a Rocca Calascio, si ferma e inverte solo se dall’inutile vezzo dei social e dei mass media qualcuno, ovviamente per interesse particolare piuttosto che realmente pubblico, promuove questo o quel luogo, questo o quel libro, questo o quel bene culturale.
Una vergogna di cui, purtroppo, sentiamo il peso in pochi.