Michelangelo Pistoletto e la mostra INFINITY, 60 anni di carriera al Chiostro del Bramante

Cinquanta opere e quattro installazioni racconteranno presso il Chiostro del Bramante a Roma l’infaticabile estro creativo di un artista che non finisce mai di sorprendere. Alla soglia dei suoi novant’anni dei quali 60 dedicati all’arte, Michelangelo Pistoletto, dal 18 marzo al 15 ottobre 2023, metterà in mostra il suo percorso espositivo INFINITY, L’arte contemporanea senza limiti, con lavori realizzati nel corso della sua carriera.
Un viaggio nel suo pensiero e nelle infinite possibilità del suo modo di leggere e interpretare la realtà. Dopo il successo avuto con CRAZY, La follia nell’arte contemporanea dedicata al leitmotiv della follia, le sale rinascimentali del chiostro romano si arricchiranno delle pagine di vita del Maestro biellese dell’Arte povera.
Uno dei lavori più conosciuti del Maestro, la “Venere degli stracci” del 1967, rappresenta la bellezza universale che si fonde con elementi effimeri. Attraverso l’assemblaggio ripreso dalla copia della “Venere vincitrice” dello scultore neoclassico Bertel Thorvaldsen, unisce, mediante un calco di cemento, tradizione e contemporaneità, forma e assenza di forma creando un cortocircuito potente. Gli stracci sono oggetti poveri che in rapporto all’algida figura femminile conservano la memoria di chi li ha indossati e la Venere sembra scegliere qualche panno con cui coprirsi.
Anche nei Quadri specchianti, appartenenti alla metà degli anni Sessanta, al posto della canonica tela il supporto è una lastra di acciaio sulla quale un foglio di carta velina rappresenta la figura umana. L’oggetto rimane immobile, fulcro della visione mentre ciò che è attorno, grazie alla superficie specchiante muta di volta in volta insieme allo spettatore che cambia nello sfondo ritrovandosi a essere parte dell’opera stessa. Proprio a partire dai suoi quadri specchianti, Michelangelo Pistoletto sviluppa il passaggio dallo spazio immutabile della rappresentazione allo spazio mutevole della vita e del mondo.
Come prende vita l’Arte povera? Tra la fine degli anni ‘60 e il sorgere dei ’70, azioni chiamate attitudini (antiformali) caratterizzano le ricerche artistiche in Europa e negli USA. Alcune mostre a tal proposito sono da ricordare quali “Nine at Castelliˮ (New York, 1968) e “When Attitudes Become Formˮ (Berna, 1969). Tali modalità espressive note con le etichette di process art, antiform, arte povera o anche microemotive art, iniziano a diffondersi per affinità o diversità con tratti caratteristici comuni.
Gli artisti negli Stati Uniti guardano come punti di riferimento a Johns, Oldenburg, Pollock, Judd e Andre, in Europa saranno prese a modello figure come Klein, Fontana, Manzoni.
La materia, fulcro di queste ricerche è per il mondo anglosassone un’entità fisica visivo-cognitiva, mentre per il contesto europeo è un potenziale di energia che si esprime temporalmente e concettualmente.
Elemento nodale è la riscoperta del mondo. Il motto di Boetti «non c’è nulla da inventare, c’è solo da scoprire» sarà ricorrente per diversi artisti. L’attenzione è posta sul processo del “fareˮ e del “situareˮ più che sul risultato estetico finale.
Situare un materiale nello spazio reale significa per l’artista agire sull’apprendimento empirico di quel materiale e farne esperienza. Ciò si traduce nell’andare oltre il concetto dell’opera d’arte come oggetto autonomo e aprire relazioni tra spettatore e processo creativo. Ricordiamo lavori creati con pezzi di feltro ammassati sul pavimento o sospesi a parete e lasciati ricadere liberamente. Tra le sperimentazioni artistiche accumuli di materiali di scarto, tessuti impregnati di lattice sospesi ad aste di fibra di vetro. Il materiale dell’oggetto è sostituito dalla materia stessa che viene manipolata secondo fattori contingenti come l’ambiente, la forza di gravità, la luce, la deperibilità. I prodotti ricorrenti sono quelli che possono essere facilmente piegati, strappati, arrotolati, stesi, riempiti. Plastica, tessuti, caucciù, fibra di vetro, resine si prestano a tale manipolazione che talvolta reinserisce l’importanza del colore ripristinando anche l’importanza del gesto e della manualità che erano stati messi da parte sia dalla pop art quanto dal minimalismo. «I lavori che faccio – afferma il Maestro – […] sono oggetti attraverso i quali io mi libero di qualcosa – non sono costruzioni ma liberazioni – io non li considero oggetti in più ma oggetti in meno, nel senso che portano con sé un’esperienza percettiva definitivamente esternata».

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