L’orco è finito in carcere solo per 5 anni e mezzo… perché non si butta via la chiave della cella?
Indi Gregory è volata al Cielo – Dagli uffici della banca nella quale lavorava alla cella di reclusione del carcere di Chieti dove B. D’A., 62 anni di Sulmona, si è recato spontaneamente dopo che l’altra sera la Corte di Cassazione ha giudicato inammissibile il ricorso avanzato dal suo difensore, dando di fatto piena esecutività alla sentenza di secondo grado che ha comminato all’uomo una pena di cinque anni e sei mesi di reclusione.
L’accusa è pesante: abusi sessuali aggravati e continuati su minore, ovvero sulla figlia della sua ex compagna di cui avrebbe abusato dal 2009 al 2015, consumando con la bambina, all’epoca dei fatti di appena dieci anni (fino ai sedici anni), rapporti sessuali, ma anche spingendola a guardare materiale pornografico e ad usare strumenti di piacere. Motivo per il quale nel castello accusatorio costruito dalla Procura della Repubblica di Sulmona era stato inserito anche il reato di corruzione di minore, reato però che non era stato ancora definito dal codice all’epoca dei fatti, motivo per il quale l’uomo ha ottenuto in secondo grado una riduzione della pena, rispetto a quella di sei anni e otto mesi di reclusione sentenziata, con rito abbreviato, dai Giudici di primo grado.
L’imputato, dal canto suo, ha sempre respinto gli addebiti, sostenendo che i racconti della ragazza fossero frutto della sua fantasia. Ma i riscontri dei racconti fatti dalla ragazza, con la descrizione minuziosa di una dependance nella quale avvenivano gli incontri e che la vittima non poteva conoscere altrimenti, hanno convinto i Giudici dei due gradi di giudizio sulla colpevolezza dell’insospettabile funzionario di banca. La vittima si era decisa a raccontare tutto dopo la fine della relazione tra l’uomo e sua madre, temendo, prima, che la sua storia potesse nuocere alla felicità della madre che era innamorata. In carcere l’ex funzionario dovrà restare per almeno due anni prima di poter accedere ad eventuali misure di detenzione alternative che il Magistrato di Sorveglianza eventualmente deciderà di concedergli. Con l’inammissibilità del ricorso in Cassazione (che si esprime solo sulla correttezza della procedura del giudizio), vengono così confermate anche le misure del risarcimento, la cui quantificazione è ancora in corso di valutazione in sede civile, ma che i Giudici penali, già nel primo grado, nel 2020, fissarono in una provvisionale di 65mila euro (50mila euro per la vittima e 15mila euro per sua madre).