Alighiero Boetti e la sostanza della forma
Alighiero Boetti è stato uno degli artisti italiani espressione della tendenza artistica Processuale e Concettuale diffusasi tra anni ’60 e ’70. In Italia con gli esiti dell’Arte povera, etichetta coniata da Germano Celant nel 1967 con centro di sviluppo particolare a Torino e ascrivibile nelle esperienze processuali, si sviluppano fermenti intellettuali e tensioni sociali che saranno radici poi dei moti sessantottini. L’operazione condotta da Celant non passerà inosservata, articolandosi in una serie di esposizioni e testi programmatici fra il 1967 e il 1971.
Boetti ha esposto per la prima volta alla fine degli anni ’60 in una mostra di arte povera da Christian Stein. Classe 1940, torinese di nobili origini, ha iniziato da autodidatta la sua carriera artistica, dopo aver lasciato gli studi universitari e deciso di seguire la propria passione all’interno del collettivo. Tra i suoi modelli ispiratori Paul Klee, Nicolas De Staël; nel corso dei suoi studi si è trasferito anche a Parigi per studiare la tecnica dell’incisione.
“Animali, vegetali, minerali sono insorti nel mondo dell’arte. L’artista si sente attratto dalle loro possibilità fisiche e chimiche e biologiche”. Così il cultore e padre simbolico del gruppo, Celant, rivendica l’interesse per le qualità energetiche e metamorfiche dei minerali. Egli, nello specifico, intende proporre un’arte fondata sulla presentazione di materiali grezzi o appena manipolati. La “Povertà” in tale contesto, indica un termine eticamente positivo, dal momento che rifugge dalle esperienze e dai modelli di un sistema capitalista che ha determinato il boom economico degli anni ’60. Gli artisti che hanno scelto di essere riconosciuti sotto questa formula sono stati tra gli altri Giovanni Anselmo, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gilberto Zorio.
Le Mappe sono le rappresentazioni più famose di Boetti, tratto distintivo della sua volontà di rappresentare ordine e disordine nella ricerca di un equilibrio costante: viaggio e stasi, luce e ombra. Si tratta di arazzi raffiguranti un planisfero politico in cui ciascun Paese è rappresentato con i colori e i simboli della bandiera di appartenenza. Motivo d’ispirazione sono stati i viaggi condotti intorno agli anni ’70 in Afghanistan, dove frequentemente ha affidato la riproduzione dei suoi disegni alle ricamatrici locali.
Alighiero Boetti ha lavorato spesso su tracce di identità in cui la materia non partecipa come entità grezza, ma come flusso di energia. L’effetto che si vuole conferire tramite le Mappe è quello di un mosaico in cui la combinazione dei colori è destinata a cambiare nel tempo, come nel caso dell’Unione Sovietica e la situazione geopolitica del nostro pianeta, motivo che dona ad un’opera statica, un certo dinamismo. “Io non ho fatto niente, non ho scelto niente, nel senso che: il mondo è fatto com’è e non l’ho disegnato io, le bandiere sono quelle che sono e non le ho disegnate io, insomma non ho fatto niente assolutamente”, ha affermato Boetti, non comprendendo quanto e come in realtà il suo linguaggio sia tanto universale quanto contemporaneo grazie all’identità, al senso di appartenenza, al superamento delle barriere linguistiche.