Sesso in carcere per i detenuti, la Consulta “apre” al sesso del recluso col partner. Ma non per chi è al 41-bis
La Consulta ha dichiarato illegittimo l’articolo 18 del testo dell’ordinamento penitenziario nella parte che non consente: “Che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia”. La Consulta, pertanto, “apre” al sesso del detenuto col partner. Illegittimo l’obbligo assoluto di controllo a vista degli agenti: la CEDU dà al detenuto il diritto all’affettività, sta alla legge creare in carcere spazi per colloqui intimi. È illegittimo, dunque l’obbligo assoluto di controllo a vista dei colloqui da parte degli Agenti di custodia, quando non ci sono particolari esigenze di sicurezza: il recluso ha diritto all’affettività, un valore che è tutelato dall’ordinamento giuridico e garantito dalla Convenzione europea dei diritti; un’affettività «che non implica, ma neppure esclude la sessualità», già consentita in alcuni Paesi europei; spetta dunque al legislatore creare nelle carceri spazi adeguati per colloqui intimi, come esistono in Francia, Spagna e in molti länder tedeschi, che sarebbero comunque preclusi ai detenuti al 41 bis o in sorveglianza ma non a quelli ristretti per reati ostativi. Lo stabilisce la Corte costituzionale con la sentenza 10/2024, depositata il 26 gennaio 2024, che dichiara illegittimo l’ordinamento penitenziario laddove dispone che i colloqui siano sempre guardati a vista dagli Agenti anche quando non ci sono motivi di sicurezza. Trova ingresso la questione sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto. Nel carcere ci sono spazi riservati per i colloqui con i figli minori, ma non per incontri con il partner a causa della vigilanza continua. Ma l’intimità degli affetti, osserva la Corte, non può essere sacrificata dall’esecuzione penale oltre il necessario: con la sanzione troppo afflittiva viene meno l’obiettivo della risocializzazione. Senza dimenticare il pregiudizio indiretto a chi è estraneo al reato, come il partner del recluso, che sia coniuge, parte di unione civile o convivente stabile. Certo, la Consulta è consapevole dello «sforzo organizzativo» che la sua decisione impone all’Amministrazione penitenziaria, con le carceri che già scoppiano. Ma il divieto indiscriminato di esercizio dell’affettività in carcere è contro il diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dalla CEDU. E «una larga maggioranza» di Paesi UE riconosce l’affettività. L’Alta Corte indica una serie di principi al legislatore chiamato a regolamentare la materia, piuttosto spinosa: le visite coniugali devono svolgersi in modo non sporadico e avere durata adeguata. E si dovrà fare il possibile per riprodurre un ambiente domestico all’interno dell’istituto di pena. Fondamentale la riservatezza: gli agenti vigileranno dall’esterno e lontano da occhi indiscreti di altri detenuti e di quanti sono a colloquio con i reclusi. Prima di autorizzare il colloquio riservato il Direttore del carcere deve verificare l’effettività della convivenza per chi non è sposato. La Corte costituzionale, rileva Giovanni D’Agata, Presidente dello “Sportello dei Diritti”, aveva già posto al legislatore la questione con la sentenza 301/12.