Marcianise (CE) – Il Tarì è custode della Corona

Il Tarì, che con la sua fiera Open di maggio e ottobre, si propone due volte all’anno a Marcianise come la più importante manifestazione orafa del Meridione, si prende la “rivincita” sulla milanese Mario Buccellati, che porta il nome del suo fondatore battezzato “Principe degli Orafi” da Gabriele d’Annunzio. Il confronto si appoggia proprio sul significato del suo cognome: infatti, “buccellato” deriva il proprio nome dal latino buccella, ovvero boccone: per gli antichi romani il buccellatum era un pane rotondo formato da una corona di panini ovvero buccellae. Da qui il passaggio alla corona borbonica costituita dai bocconi diamantati e/o perlati e incastonati nel tondo pane regale… Persa due volte lungo gli anni della regalità, la corona fu finalmente esposta (in riproduzione però) proprio al Tarì di Marcianise per 3 giorni, di cui nel primo le fu dedicata anche un convegno. Trattasi della corona, che cinse il capo di Re Carlo di Borbone il giorno della sua incoronazione quale Re di Napoli e della 1735.
La perfetta assomiglianza con l’originale settecentesco (che fu di Carlo e del figlio Ferdinando IV di Borbone) disegnato all’epoca dal francese Claude Imbert e lavorato dalla sua équipe fiorentina è stata garantita da Ciro Paolillo, Docente di Gemmologia Investigativa alla Sapienza Università di Roma. Contiene, secondo la volontà della Regina di Spagna Elisabetta Farnese, una pietra del tutto eccezionale per dimensioni, peso (un diamante inizialmente rosa di 41,5 carati) e colore (viola “perfetto” ottenuto con un castone in tinta). Questa prima versione della corona dispare dalle rappresentazioni pittoriche con il trasferimento della famiglia reale da Napoli a Palermo.
Se l’aspetto della sua riproduzione moderna rispecchia completamente le opzioni della regina Elisabetta di regalare al figlio la “corona più bella del mondo”, tecnicamente i mezzi utilizzati sono stati dei più moderni, compresa la progettazione 3D (450 ore su 2000 totali col programma CAD Rhinoceros). Così risultò un eccezionale bijoux di 2 chili di argento con 300 diamanti, custodito ora all’Archivio Nazionale di Napoli. La ricostituzione è stata riproposta alla lettera anche nei tagli, dall’intelaiatura in argento dorato, all’incastonatura delle pietre, con oltre 300 cubic zirconia in taglio antico, simulanti i diamanti bianchi; mentre al centro protagonista si trova il grande “diamante viola Farnese” (sostituito qui da un’ametista quadrata, anch’essa tagliata stile XVIII secolo).
La seconda versione francese stile Impero, che dovrebbe iniziare il suo percorso con Giuseppe Bonaparte (ma tuttavia dipinta solo a partire da Gioacchino Murat) – molto più barocca, arricchita di perle e pietre di colore dipinta sulle teste di Ferdinando II e Francesco II di Borbone – e scomparsa allo stesso modo misterioso.
D’altronde l’itinerario iconografico aperto nell’atrio de Il Tarì offre, approfittando dell’abitudine pittorica di inserire le corone nei ritratti dei reali, rappresenta il percorso di ambedue le versioni: per la prima variante della corona c’è il ventinovenne Carlo di Borbone che viene rappresentato in un dipinto di Giuseppe Bonito visibile a Napoli alla Certosa di San Martino mentre Ferdinando IV e la moglie Maria Carolina sono esposti al Castello di Varsavia, nonché in Campania alla Reggia di Caserta e al Museo provinciale campano.
Mentre la seconda corona reale che inizia il suo percorso storico con Gioacchino Murat, affianca anche Ferdinando II e il figlio Francesco II, di cui ritratti arricchiti dalla stessa corona dipinti da Giuseppe Bonolis e rispettivamente Carlo La Barbera possono essere ammirati ancora alla stessa Reggia nonché al Museo di Capua.
Insomma la mostra Corona di Carlo di Borbone fa del Tarì anche un impressionante percorso di arte e di storia perlopiù nei territori dove questa si è svolta per davvero. E non solo, la prossima occasione della Notte dei Musei europei è possibile visitarla anche nel resto dei paesi borbonici.

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