Richard Long e la Land Art alla Reggia di Caserta
«La natura è sempre stata ritratta dagli artisti, dalle pitture rupestri preistoriche, dalla fotografia paesaggistica del Ventesimo secolo. Anch’io volevo fare della natura il soggetto del mio lavoro, ma in modi nuovi. Ho iniziato a lavorare all’aperto utilizzando materiali naturali come l’erba e l’acqua, e questo si è evoluto nell’idea di fare una scultura camminando […] la mia intenzione era quella di creare una nuova arte che fosse anche un nuovo modo di camminare: camminare come arte».
Così Richard Long, esponente dell’Arte ambientale, descrive uno dei suoi primi lavori e la visione che lo ha condotto nella scelta di una nuova espressione artistica come omaggio alla caducità della natura, del tempo, della materia.
La scelta di agire sul territorio, in luoghi e terreni solitari, desertici o abbandonati dall’uomo, riflette la necessità di riportare l’attenzione, mediante l’arte, sull’impronta umana e sul rapporto individuo-natura che ne scaturisce. L’esperienza dell’Arte ambientale (o Land Art) si sviluppa sul finire degli anni Sessanta soprattutto in area anglosassone, difatti nel 1969 Gerry Schum intitolerà proprio “Land Art” un film in cui documenta i lavori di Robert Smithson, Walter De Maria, Dennis Oppenheim, Richard Long, Barry Flanagan e Marius Boezem, i maggiori esponenti di tale corrente espressiva che va ad inserirsi nel più ampio ambito dell’Arte concettuale.
«Il mio lavoro è diventato una semplice metafora della vita. Una figura che cammina per la sua strada, lasciando il segno. È un’affermazione della mia scala umana e dei miei sensi: quanto cammino, quali pietre raccolgo, le mie esperienze particolari» continua Long, evidenziando come la vita si fonda con la natura e i suoi elementi, dove Arte diventa il solo interesse per il processo creativo, indipendentemente dalla tipologia dell’azione – pura memoria duchampiana – sia essa un’azione realizzata canonicamente con pittura su una tela, uno squarcio come per Fontana o, al contrario, la registrazione di tracce minime e casuali lasciate sul suolo nel corso di un viaggio. La Land Art prevede tempi di esecuzione lunghissimi, opere non accessibili al pubblico e il minuzioso lavoro di squadre di ingegneri; a questo si aggiunga poi il rapporto tra l’artista, il sistema dell’arte e il suo mercato: realizzando opere “in situ”, fisse e soggette al deperimento naturale, l’artista si sottrae alle regole del mercato, rendendo possibile la documentazione dell’opera solo mediante fotografie, grafici, descrizioni e certificati. Richard Long fotografa la linea retta che il suo passaggio ha creato sull’erba della brughiera: «Ho iniziato a lavorare all’aperto utilizzando materiali naturali come l’erba e l’acqua, e questo si è evoluto nell’idea di fare una scultura camminando… Il mio primo lavoro realizzato camminando, nel 1967, era una linea retta in un campo erboso, che era anche il mio percorso, andando “da nessuna parte”. Nei successivi primi lavori cartografici, ho registrato passeggiate molto semplici ma precise su Exmoor e Dartmoor» riporta lo scultore britannico in una delle sue interviste, fissando il focus sull’armonia organica della natura, per cui risulta impossibile non pensare alla “Casa sulla cascata”, una vera e propria scultura commissionata dal miliardario Edgar J. Kaufmann e realizzata da Frank Lloyd Wright nel 1936 in Pennsylvania, immersa in un fitto bosco e collocata su uno sperone roccioso. Numerose sono le influenze di cui risente Long, partendo dallo stesso Wright, giungendo all’idea del sublime di Burke, che suscita in noi un sentimento straniante e negativo che ha a che fare con la forza della Natura, nell’ottica romantica con ciò che produce “la più forte emozione nell’animo umano”, passando per i colleghi contemporanei quali De Maria e il suo “The Ligthing Field”, il campo di fulmini con 400 barre d’acciaio appuntite dell’altezza di 6 m, una delle opere più suggestive degli ultimi decenni, o ancora Smithson, noto per la sua monumentale “Spiral Jetty”, un molo a spirale realizzato nel 1970 e composto di roccia basaltica, detriti, terra, cristalli di sale e alghe nel Great Salt Lake, il più grande lago salato degli Stati Uniti.
In quanto momento di condivisione, collante e strumento di denuncia sociale, l’esperienza artistica di Long ha donato il suo contributo nella compagine del progetto Terrae Motus, in memoria della tragedia del 23 novembre 1980 che tolse la vita a migliaia di persone. Cinquantadue massi di pietra lavica del Vesuvio, tristi testimoni di una serie di sconvolgimenti naturali legati al territorio campano, come metonimia delle tragedie consumatesi. Vesuvius Circle, il vortice di massi realizzato da Richard Long nel 1984, spicca tra le sale degli Appartamenti Reali, all’interno della collezione ideata dal gallerista napoletano Lucio Amelio con la direzione generale di Tiziana Maffei in collaborazione di Angela Tecce, storico dell’arte già dirigente MiBACT e curatore di mostre di rilievo internazionale.
Un cerchio, quello di Long, che altera il Caos della natura convertendolo in forma esatta, armonica, cosmica, dalla forte valenza simbolica, basti pensare a Stonehenge. Un fluire eracliteo, quello della vita e del tempo, suggellato all’interno della rassegna, dall’appello di Andy Warhol con “Fate presto”, il gigantesco trittico collocato in chiusura del percorso espositivo di Terrae Motus, che mostra la prima pagina de “Il Mattino” con le immagini della brutalità dell’evento, un monito quanto mai attuale in riferimento al cambiamento climatico, allo sfruttamento delle risorse naturali e all’inquinamento atmosferico.
«La fonte del mio lavoro è la natura. La tratto con rispetto e libertà. Uso materiali, idee, movimento e tempo per esprimere una visione completa della mia arte nel mondo». Con Long la natura diventa essere senziente, quasi prende il sopravvento sull’io-artista, il quale attraverso l’utilizzo di materiali trovati in sito e, per l’impatto pressoché irrisorio delle opere sull’ecosistema circostante, la critica vuole l’artista “ecologista”. In tal senso la portata del suo messaggio non risulterebbe confinato al campo artistico, ma aprirebbe la strada all’antropologia, dove ecologia (dal greco oikologia) non indica meramente lo “stare al mondo”, quanto più l’abitare un luogo e Richard Long, anche solo lasciando la propria impronta sul suolo, è riuscito ad abitare tutte le sue opere.